In un’intervista al Corriere della Sera la ministra per la Famiglia parla delle sue iniziative contro la violenza sulle donne. Ribadisce che la 194 non sarà toccata, ma spiega che la sua frase sulle donne che «purtroppo» abortiscono rivela «un’ovvietà», cioè che «l’aborto non è un momento felice per le donne»
Resta la natalità la priorità assoluta di Eugenia Roccella, ministra della Famiglia e le pari opportunità (e per la natalità, appunto). «Questo governo ha fatto della natalità la sua priorità. Nella prima finanziaria, varata in condizioni difficilissime, abbiamo investito per le famiglie un miliardo e mezzo, peraltro con un primo intervento anche sui congedi. Man mano che si libereranno risorse, potenzieremo gli strumenti a disposizione delle famiglie ma coinvolgeremo in questo sforzo anche le imprese, gli enti locali e il no profit, per costruire un welfare di prossimità» spiega in un'intervista al Corriere della Sera, specificando di preferire il femminile “ministra” perché «in tempi di fluidità di genere mi fa piacere rimarcare che sono una donna».
L’8 marzo le dà l’occasione per ribadire quel che ha già detto la sua presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, sulla legge 194: «Non sarà toccata». Certo, ribadisce la ministra, «per le donne l’aborto non è un momento felice».
Quanto agli strumenti per mettere fine al fenomeno dei femminicidi «abbiamo aumentato di un terzo le risorse per il piano e i centri anti-violenza. E stiamo già lavorando, con i ministri Nordio e Piantedosi, a una revisione della normativa vigente, che è valida ma ha delle falle applicative. Ci sarà un primo pacchetto urgente su braccialetto elettronico, distanza minima di avvicinamento, requisiti per la sospensione della pena, espulsione degli stranieri. E a seguire un intervento di medio termine su aspetti più complessi».
Sul lavoro femminile, invece, la ministra propone «premialità» e incentivi alle imprese, oltre a «strumenti di moral suasion come il codice di autodisciplina» che «servono a promuovere una cultura». Roccella non entra nel merito della potenziale disincentivazione del lavoro femminile attraverso il sistema del quoziente familiare: «In realtà sarebbe meglio parlare di criteri che tengano conto del numero dei figli» che «non devono certamente essere controproducenti».
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