- Solo tremila i preiscritti nel voto online, un numero troppo basso per arrivare ai 50mila ai gazebo. Ma Gualtieri ne è sicuro.
- Sono centonovanta i gazebo per sette aspiranti candidati sindaci, altrettanti presidenti di seggio, una valanga di candidati presidenti di municipio. Ma l’asticella del successo immaginata sembra davvero ottimistica.
- Secondo gli sfidanti il Pd ha tenuto la sfida «silenziata» per mantenere il voto nel perimetro dei simpatizzanti dem e tenere alta la percentuale del suo «candidato unico».
Il confronto non è spumeggiante, Cristina Grancio, la candidata socialista, entra ed esce dalla diretta: la sua linea telefonica non funziona, anche questa è Roma. Tobia Zevi arriva in ritardo, Imma Battaglia e Giovanni Caudo se ne vanno prima. I sette candidati delle primarie che domani si celebreranno a Roma espongono i loro programmi. Quasi non parlano fra loro, e per di più il predestinato vincitore Roberto Gualtieri («il candidato unico» del Pd, così è definito nella propaganda di partito) tiene i toni molto bassi perché poi dovrà convincere tutti a fare campagna per lui. Per questo promette una giunta «con la squadra plurale, e un programma inclusivo». Ieri ha incassato il sostegno di Nicola Zingaretti, presidente della regione e mancato sindaco al suo posto.
La moderatrice Emma Amicone, portavoce di Tutti per Roma (il movimento civico che nel 2018 ha portato migliaia di cittadini in Campidoglio e che fa da padrone di casa), cerca di tenerli sulle questioni concrete: «A Roma ci sono oltre 40 immobili di privati e di enti pubblici occupati da oltre 2mila famiglie, oltre 16mila famiglie in graduatoria per le case popolari, oltre 5mila famiglie che dal primo luglio verranno sfrattate per morosità». Tema cruciale. Perché alla fine della campagna delle primarie di Roma l’unica storia che ha bucato le cronache nazionali è il confronto precedente, tenuto a Spin Time, edificio rigenerato e – sì – “okkupato” della capitale. Il fatto che l’ex ministro Gualtieri sia andato in un’occupazione ha scatenato il fuoco su di lui, amico e non. Fratelli d’Italia ha presentato un’interrogazione parlamentare, la sindaca Virginia Raggi ha impartito lezioncine, lei che in merito ha sentimenti altalenanti: nel 2016 in campagna elettorale è andata al Cinema Palazzo, nel quartiere San Lorenzo, a solidarizzare e promettere; quattro anni dopo lo ha fatto sgomberare. Per la cronaca, l’ex ministro ha proposto un Piano straordinario per il diritto all’abitare, e l’acquisizione di edifici abbandonati con 9 miliardi del Recovery fund. Ma non è abbastanza per accendere la passione nelle «primarie silenziose» (copy Imma Battaglia). Secondo gli sfidanti il Pd ha tenuto la sfida «silenziata» per mantenere il voto nel perimetro dei simpatizzanti dem e tenere alta la percentuale del suo candidato.
Ai gazebo
Ma alla vigilia, il rischio della scarsa partecipazione ha già un numero che fa paura: tremila. Sono meno di tremila i cittadini che si sono prenotati online. Era una procedura complicata, serviva lo Spid, le credenziali del Sistema pubblico d’identità digitale. Restano pochissimi. Il quartier generale di Roberto Gualtieri, il predestinato alla vittoria, conta su altri numeri per tenere su la partecipazione: sono centonovanta i gazebo per sette aspiranti candidati sindaci (sul sito www.tunoiroma.it gli interessati e le interessate possono trovare il proprio), altrettanti presidenti di seggio, una valanga di candidati presidenti di municipio. Ma l’asticella del successo immaginata a 50mila – «40mila veri» viene spiegato in gergo, «più delle primarie del 2016» dice Gualtieri, insomma più di 47mila – sembra davvero ottimistica. Però sembra altrettanto incredibile che i navigati uomini-macchina della federazione romana facciano circolare numeri così arditi senza qualche certezza.
Ieri i candidati hanno esposto le loro idee. «I servizi vanno avvicinati ai cittadini, serve l’Ama di quartiere», secondo Paolo Ciani (Demos), per Battaglia bisogna trasferire molti poteri ai presidenti di circoscrizione, Stefano Fassina ha insistito sul lavoro e sull’emergenza abitativa, Tobia Zevi è il più netto a dire no alle alleanze con il M5s. «Gli impegni presi pubblicamente sono cosa seria», ha ammonito Amicone. Ma per mettere a terra gli impegni i sei dovranno «pesarsi». Da questi pesi si capirà il profilo dell’alleanza che sosterrà Gualtieri. L’urbanista ed ex assessore Giovanni Caudo, per esempio, vanta l’endorsement di Ignazio Marino, tornato da Philadelphia dove ora lavora per dargli una mano, attaccando alzo zero il Pd che lo ha defenestrato nel 2015. In un’intervista al manifesto Caudo è sembrato adombrare l’ipotesi di una sua non partecipazione alle liste, in caso di sconfitta alle primarie. Cosa che ha fatto sospettare gli avversari un accordo già stretto con Gualtieri per entrare in giunta. «Non c’è nessun accordo del genere», viene replicato dall’entourage dell’ex ministro. C’è chi dice di «sapere» che Caudo andrà forte. Chi invece si sente forte di un movimento che lavora «a terra» dai tempi della pandemia, come Liberare Roma, come Battaglia, ex consigliera comunale. Da questo lato della coalizione il punto è capire se, dopo le primarie, ci saranno le condizioni di una lista unica a sinistra. Anche perché fuori dalla coalizione si è lanciato un altro ex assessore, questa volta di Raggi, l’urbanista Paolo Berdini. Ma prima di tutto serve che le percentuali di tutti, vincitori e sconfitti, siano relative a un numero di elettori se non incoraggiante, almeno non avvilente.
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