La senatrice Cirinnà: «Sono pronta per le primarie» Zingaretti benedice: decidono i territori. Fra le incertezze dei dem, il leader di Azione prepara la sua corsa
- Il leader Pd: «Dopo i ballottaggi, ora è giusto che si aprano percorsi che coinvolgano grandi personalità della città», «non imporrò scelte, decidono i territori»
- Dopo il no di David Sassoli e Roberto Gualtieri, circolano ancora i nomi dell’ex ministro Massimo Bray e del rettore dell’Università La Sapienza di Roma Eugenio Gaudio
- La corsa da outsider del leader di Azione può attirare una fetta di elettorato di centrosinistra. Con l’effetto che il candidato della coalizione, o la candidata, rischierebbe di non arrivare al ballottaggio
«Fatemi concorrere, poi se trovate uno più forte di me sono contenta. Ma almeno cominciate a muovervi, fate un sondaggio, mettete in campo questi quattro o cinque nomi, vediamo chi è più convincente. Ma partiamo. Zingaretti trovi il migliore e io lo voterò e gli farò la campagna elettorale».
Dai microfoni di Radio Cusano la senatrice Pd Monica Cirinnà si leva un sasso dalla scarpa. Il 10 settembre ha annunciato l’intenzione di correre a Roma per le primarie del centrosinistra. Ma il suo partito fino a ieri la snobbava. Per la Capitale i vertici Pd puntavano su David Sassoli, presidente dell’europarlamento, o su Roberto Gualtieri, ministro dell’Economia.
Il messaggio non precisamente subliminale era: Cirinnà non è abbastanza autorevole per affacciarsi dal prestigioso balconcino sui Fori Imperiali in compagnia dei grandi del mondo, quelli che faranno pellegrinaggio da papa Francesco durante il Giubileo 2025.
Ora, dopo il prevedibile no sia di Sassoli che di Gualtieri, Cirinnà resta in campo per le primarie. Ci sono anche altri concorrenti ufficiali: Paolo Ciani, consigliere regionale e riferimento della Comunità di Sant’Egidio, e il giovane attivista Tobia Zevi.
Orizzonte 2021
Il segretario del Pd Nicola Zingaretti, dopo aver annunciato a più riprese di avere in testa «un nome», ora non può che benedire il ricorso ai gazebo. La data potrebbe essere il 6 dicembre, contagio permettendo.
«Non siamo in ritardo, fino a ieri ci siamo occupati delle amministrative del 2020, da oggi ci occuperemo delle città che vanno al voto nel 2021», dice a margine della presentazione del Rapporto Mafie nel Lazio, «ora è giusto che si aprano percorsi politici che coinvolgano grandi personalità della città», «ci sono già energie positive che si sono messe a disposizione», «il segretario del Pd non imporrà scelte, decidono i territori».
Mentre parla, rispondendo su un suo eventuale incarico da ministro inciampa in una frase dal senso sibillino: «In questi mesi ho onorato un doppio impegno, quello di presidente della regione e di leader nazionale e oggi avverto un po’ il peso e la fatica di un doppio ruolo, soprattutto nel momento del Covid-19, che richiederà una presenza e che sarà costante», e conclude, «nelle prossime settimane vedremo e discuteremo su come andare avanti».
Sconcerto fra i cronisti, sembra l’annuncio di dimissioni, poi il giallo si chiarisce: intendeva solo dire no a un suo impegno nel governo, resta segretario e presidente del Lazio.
Torniamo al Campidoglio. Il leader Pd spiega che non era possibile affrontare il tema del candidato a Roma del 2021 – ma anche di Milano, Torino, Bologna e Napoli – prima della chiusura della partita delle amministrative del 2020. Ma nel frattempo in città c’è chi si sta organizzando.
Virginia Raggi si è ricandidata contro il parere del suo stesso partito, e si attrezza per attirare qualche simpatia a sinistra: secondo Il Foglio ha offerto una consulenza alla cronista di Repubblica Federica Angeli, sotto scorta per aver accettato di testimoniare contro il clan Spada. La destra invece aspetta le mosse degli avversari. L’indicazione del nome spetta a Fratelli d’Italia, il cui candidato “naturale” sarebbe il vicepresidente della Camera Fabio Rampelli, che però nega l’intenzione di correre.
Il centrosinistra dunque si affiderà alle primarie. Anche se circolano ancora nomi di “papabili” fuori dall’orbita dei gazebo: Massimo Bray, direttore dell’istituto dell’enciclopedia Treccani ed ex ministro della Cultura; Eugenio Gaudio, rettore della Sapienza.
Ma soprattutto, complice le incertezze dem, ora riprende quota il nome di Carlo Calenda. L’ex ministro ed europarlamentare non passerebbe per le primarie. Ha abbandonato il Pd, nelle cui liste è stato eletto a Bruxelles, in polemica contro l’alleanza con il M5s, quella che invece Zingaretti rivendica come indicazione politica delle ultime amministrative.
E così i dem finirebbero nei guai: la corsa di Calenda da outsider può attirare una fetta di elettorato di centrosinistra. Con l’effetto che il candidato della coalizione, o la candidata, rischierebbe di non arrivare al ballottaggio.
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