La destra cattolica la attacca frontalmente sui diritti, ma su ambiente, disuguaglianze, povertà e (in parte) l’Ucraina è in sintonia con il papa. La segretaria del Pd dovrà però vedersela con la “variabile vaticana” sui temi eticamente sensibili
- Fra i vari banchi di prova cui è attesa la nuova segretaria del Pd, Elly Schlein, c’è anche la cosiddetta “questione cattolica”,un tema che per la giovane leader ha almeno tre risvolti: uno interno al partito, uno relativo alla società italiana e un altro che attiene agli scenari politici globali.
- Rispetto ai cattolici conservatori, l’ingresso sulla scena pubblica italiana di Schlein rappresenta un tipo di conflitto politico che è ben presente a livello internazionale. Ma nel laboratorio di Bologna, casa del cardinale Matteo Zuppi, si lavora per una convergenza con il cattolicesimo sociale.
- Le prime reazioni di alcuni esponenti storici dell’area cattolica del partito sono state almeno in parte negative. L’addio di Fioroni e la tiepida reazione di Rosy Bindi.
Fra i vari banchi di prova cui è attesa la nuova segretaria del Pd, Elly Schlein, c’è anche la cosiddetta “questione cattolica”,un tema che per la giovane leader ha almeno tre risvolti: uno interno al partito, uno relativo alla società italiana e un altro che attiene agli scenari politici globali.
A prima vista il problema che si pone è semplice e a che fare con le etichette che vengono attribuite in queste ore a Schlein con allarme misto a compiacimento dai settori della destra cattolica: femminista, gender fluid, favorevole all’eutanasia, alla legalizzazione della cannabis, all’allargamento dei diritti lgbt, all’aborto; e poi fautrice di un’ecologismo che limiterebbe la proprietà privata.
Con lei il Pd diventerebbe, in quest’ottica, un partito radicale di massa, mettendo in fuga i cattolici e i moderati. Non solo: secondo una certa lettura del profilo biografico della Schlein, la nuova segretaria del Pd proveniente da una famiglia colta, di formazione cosmopolita, con radici ebraiche, già militante nella campagna per la presidenza di Barack Obama nel 2008, è la rappresentante perfetta di quell’ideologia globalista e progressista che vorrebbe imporre i propri valori a tutti alterando le tradizioni nazionali a cominciare da quelle religiose (con venature fondamentaliste).
Un quadro a tinte fosche dunque, utile ad alimentare quella polarizzazione fra estremi che caratterizza molta parte, anche se non tutta, della cultura politica della destra a livello mondiale.
In questo senso, l’ingresso sulla scena pubblica italiana di Schlein da protagonista, rappresenta un tipo di conflitto politico che è ben presente a livello internazionale. Tuttavia il quadro è più complesso.
Il laboratorio Bologna
Intanto perché la stessa Elly Schlein intrattiene rapporti con l’associazionismo cattolico impegnato su diversi temi sociali. Bisogna poi considerare che l’Emilia-Romagna, e Bologna in modo specifico, sono diventate un laboratorio politico e culturale di primo piano; l’arcivescovo di Bologna, il cardinale Matteo Zuppi, è infatti anche il presidente della Conferenza episcopale italiana.
E se è vero che Zuppi sui temi eticamente sensibili si è allineato prudentemente alle posizioni tradizionali espresse dalla chiesa (si pensi all’eutanasia), al tempo stesso si è fatto portavoce di una chiesa attenta a molte delle questioni centrali del nostro tempo: dalla povertà crescente (fra l’altro la Cei chiede di aggiornare e migliorare il reddito di cittadinanza, non di cancellarlo), all’accoglienza dei migranti, dai problemi legati all’assenza di lavoro, alla promozione della pace, alle tematiche ambientaliste, e anche – in modo particolare – al nodo della denatalità e alle politiche di sostegno alla famiglia.
E di certo anche su questi ultimi due temi verrà valutata la credibilità di Schlein rispetto alle preoccupazioni dei vescovi.
Il peso del Vaticano
È evidente, però, che fare la leader del Pd comporta responsabilità più grandi che vanno oltre l’importante affermazione alle primarie.
La neoeletta segretaria dovrà infatti confrontarsi presto o tardi con la “variabile vaticana” che continua ad avere il suo peso sulla politica italiana, anche a prescindere da quanto sia forte il processo di secolarizzazione della società nel suo insieme.
In questa prospettiva, il fatto che a Roma ci sia un papa come Francesco è un piccolo vantaggio per Schlein; si pensi solo al tema della salvaguardia del creato, della riconversione ecologica degli stili di vita e dei modelli di produzione, posto da Bergoglio al centro del suo magistero quale sfida decisiva per la sopravvivenza dell’intera “famiglia umana”.
Senza dubbio la sensibilità ambientalista di Schlein, quasi un dato generazionale, potrà esserle d’aiuto. Anzi, su questo fronte sbaglia chi vede nelle posizioni ambientaliste della segretaria del Pd un risvolto radical-chic: si tratta al contrario di avere uno sguardo rivolto al futuro prossimo, secondo le stesse parole di papa Francesco.
Più difficile sarà scendere sul terreno dei diritti civili; già la proposta di legge Zan aveva incontrato la diffidenza di parte del mondo cattolico che sospettava l’introduzione di una sorta di reato d’opinione attraverso il provvedimento.
Ma, più in generale, per quanto il papa abbia ripetuto più volte che non intende “immischiarsi” nella politica italiana (un compito che demanda alla Cei), è un fatto che ogni volta che si toccano le materie relative al matrimonio, alla famiglia, al riconoscimento di diritti per le persone lgbt, dal Vaticano arrivano felpate, ragionevoli o esplicite voci di dissenso o vengono sollevati dubbi che trovano poi riscontro puntuale nelle aule parlamentari.
Più semplice, sulla carta, la questione del conflitto ucraino, almeno sul versante cattolico; qui la segretaria del Pd dovrà navigare con equilibrio fra la collocazione internazionale dell’Italia (con il conseguente sostegno a Kiev), e la richiesta di una proposta negoziale da parte dell’Ue e dell’Italia (fino ad oggi assente), di una conferenza di pace, per uscire dal conflitto; su questo terreno l’intesa con la chiesa dovrebbe essere più immediata.
Le radici del Pd
Da ultimo, ma non certo per importanza, c’è il tema del partito. Il Pd nasce come confluenza di diverse culture politiche novecentesche, ma essenzialmente come l’incontro fra la sinistra della Dc e gli eredi del Pci.
La fotografia della storica stretta di mano attraverso un lungo tavolo fra Enrico Berlinguer e Aldo Moro rappresenta simbolicamente quell’incontro a causa del quale lo statista democristiano fu poi assassinato, perché troppo in anticipo sui tempi in un’epoca dominata ancora dalla Guerra fredda.
Schlein, tuttavia, ricordava Marco Damilano su questo giornale, è nata dopo la morte di Berlinguer (oltre che di Moro), è una figlia di questo tempo, e il Pd che costruirà, se saprà tessere la sua tela, inevitabilmente le assomiglierà.
In ogni caso, le prime reazioni di alcuni esponenti storici dell’area cattolica del partito – ma con diversa sensibilità politica – sono state almeno in parte negative. Beppe Fioroni ha lasciato il Pd perché, ha detto a Tv2000, l’emittente della Cei, «è un Partito democratico distinto e distante da quello che avevamo fondato che metteva insieme culture politiche diverse dalla sinistra al centro, con i cattolici democratici, i popolari e la Margherita. Oggi legittimamente diventa un partito di sinistra che nulla a che fare con la nostra storia, con i nostri valori e la nostra tradizione».
Più sfumata ma comunque problematica la posizione di Rosy Bindi, che ha rinunciato ad andare a votare alle primarie: «Non vado perché rischierei di mettere scheda bianca e non mi piace. Preferisco che sia palese il fatto che non mi convince nessuno dei due candidati». Per Schlein, insomma, il lavoro non manca.
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