Da oggi arriva nelle librerie «E noi splendiamo, invece» (Sperling&Kupfer). «I diritti sono senza aggettivi. Prima di parlare ai giovani, il Pd li ascolti. Elly Schlein? Secondo me dovrebbe correre alle europee»
Arriva oggi nelle librerie E noi splendiamo, invece (Sperling&Kupfer), il libro di Alessandro Zan. Citazione pasoliniana, linguaggio semplice e diretto, un libro politicamente impegnativo che rivolge ai giovani un invito alla mobilitazione: «Non accettate la politica che vuole normalizzale l’odio, comprimere gli spazi di libertà, che aumenta le pene per le proteste. Se le persone si mettono assieme possono sconfiggerla».
Onorevole, il ddl Zan è stato affossato: cioè seppellito per sempre?
Il realtà l’affossamento può portare alla nascita di un germoglio. E la rinascita dopo l’affossamento del ddl Zan sono state le tante piazze di giovani che hanno detto che non ci staranno a quell’applauso osceno di esponenti di destra, la stessa che governa oggi, felici di aver affossato una legge di civiltà. Ma da quella violenza è nata un’altra resistenza.
Nel libro propone una stagione di mobilitazione democratica. Nell’Italia che lei definisce a rischio orbanizzazione, è possibile?
Dobbiamo dire alle nuove generazioni e ai movimenti che le istituzioni sono di tutti, che serve agire con un approccio da avanguardia, ma tenendo presente che se non vai a votare c’è qualcuno che decide per te. E contro di te. Perché il voto è uno strumento per dire: non vi lasceremo campo libero. Il sovranismo è il franchising dell’intolleranza. Sa adattarsi come un liquido in un recipiente, è diverso da paese in paese, ma è lo stesso veleno. Orbán ha trasformato l’Ungheria in un’autocrazia: attacca i diritti delle persone, imbavaglia i giudici e chiude le università e i giornali. In Polonia è accaduto lo stesso, ma lì c’è stata la resistenza delle donne, delle femministe, dei giovani, della comunità Lgbt è andata a votare stravolgendo i pronostici. L’Italia ha istituzioni democratiche più forti, qui il sovranismo non mette in campo cambiamenti plateali, ma occupa la Rai e le istituzioni per comprimere spazi di democrazia, come una goccia cinese. Per non svegliarsi in un’Italia che assomiglia all’Ungheria dobbiamo attrezzarci. E al mio Pd dico: serve una comunicazione politica più immediata, non temiamo i linguaggi del presente. Deve tornare a essere pienamente il partito delle persone più in difficoltà e quello del desiderio di futuro.
Ci sono 10 milioni di ragazzi fra i 18 e i 34 anni, di cui 6 milioni non votano. «Parliamo con i ragazzi», lei scrive, non «ai ragazzi».
Molte volte il Pd ha parlato dei giovani senza conoscere a fondo i problemi che i giovani denunciano. I giovani fuorisede che hanno piantato le tende contro gli affitti alti, quelli che compromettono il loro diritto allo studio, hanno sollevato un tema forte e vero. E i giovani fuorisede magari vorrebbero votare ma studiano lontano dalla loro città e non hanno i soldi per pagarsi il treno: il Pd deve battersi per una legge che dia il diritto di voto anche a loro. Ascoltare le loro proposte significa farli partecipare alla vita democratica del paese.
Schleinismo in purezza?
Elly Schlein è una speranza per il Pd che per troppo tempo è stato il partito del vorrei dire certe cose ma non riesco a dirle. Siamo un partito plurale, che è una grande risorsa, ma questo non deve diventare balbettare su ogni cosa. Per arrivare alla sintesi spesso si diluiscono i contenuti e non si riesce a dire nulla di efficace.
Come si risolve il caso Veneto, dove una consigliera Pd si è astenuta sul fine vita, e la legge non è passata?
Se sei una consigliera regionale, trovi il modo migliore per esprimere i tuoi legittimi dubbi e poi esci dall’aula senza vanificare l’azione di un Pd che aveva deciso in modo inequivocabile e di votare la legge Coscioni.
Nel libro lei scrive: forse è più difficile cambiare il Pd che il paese. Solo una battuta?
Il Pd è l’unico partito democratico del paese dove la leadership è scelta dai cittadini e non c’è un solo capo al comando. È un partito plurale, che discute davvero, ma deve fare un salto di qualità: essere molto chiaro sui temi. Lo sforzo che Elly Schlein sta facendo è di dare messaggi chiari, dal salario minimo alla sanità, al congedo paritario, ai diritti.
Lei scrive della battaglia cruciale del prossimo voto europeo. Non è che si candida?
La riflessione sulle candidature è in corso. Saranno fatte le valutazioni più opportune sulle europee, perché è un appuntamento che non possiamo mancare: l’Europa è l’unico argine che abbiamo per difendere i diritti delle persone, non solo quelli civili. I diritti sono l’essenza della cittadinanza, senza diritti le persone sono più deboli. L’Europa è diritti per tutti: non è accettabile che un europeo d’Ungheria abbia meno diritti di un europeo di Francia o di Germania. E ora l’Europa è di fronte a un bivio: o diventa più politica e solidale nel solco del sogno di Ventotene, o vinceranno i sovranismi dei nazionalismi e delle discriminazioni.
Schlein deve candidarsi?
La decisione spetta a lei, io penso che la sua candidatura sarebbe un valore aggiunto per il Pd.
L’Italia è il paese di Vannacci?
Stiamo assistendo allo sdoganamento di ogni contenuto discriminatorio. Vannacci, o i vari Vannacci, quelle idee le hanno sempre avute. Ma oggi c’è un tentativo di normalizzarle. È il contrario di quello che sostengono i paranoici contro il politicamente corretto: si lamentano che l'Italia stia diventando un paese in cui non si può più dire niente, invece accade l’opposto. Oggi in Italia si può insultare chiunque, dire dalla tv che odi i gay, gli ebrei, le persone di etnia diversa dalla tua, e non succede niente: la normalizzazione dell’odio, con l’aiuto di Giorgia Meloni, Matteo Salvini e i loro. Un tempo Vannacci non avrebbe mai detto pubblicamente quello che ha scritto, si sarebbe vergognato.
Una frase che si sarà sentito ripetere migliaia di volte: la sinistra non vince con i diritti civili. È così?
Me lo dicono. Ma è una mistificazione della realtà. Le persone non vivono in compartimenti stagni. Nella loro vita tutto si tiene. Intersezionalità significa questo: che un lavoratore può essere discriminato per classe sociale, orientamento sessuale, identità di genere o provenienza etnica, o per tutto assieme. I diritti non sono solo civili, sociali, ambientali. Sono diritti. Intersezionali come le discriminazioni. La politica della sinistra sarà matura e contemporanea quando parlerà di diritti senza aggettivarli. La sinistra vince se si batte per i diritti, tutti i diritti.
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