Il braccio destro di Giorgia Meloni Giovanni Donzelli ha commesso ieri peccato di hybris, come i greci definivano la tracotanza e l’eccessiva sicurezza degli uomini e dei potenti. Per attaccare le opposizioni che chiedevano lumi sulla gestione del caso di Alfredo Cospito da parte del governo, il deputato ha infatti letto in aula alcune intercettazioni inedite tra l’anarchico e alcuni mafiosi detenuti al 41 bis.

Con l’intento di dimostrare che la battaglia contro il carcere duro sarebbe “sfruttata” dai boss per modificare la legge a loro vantaggio. L’intervento di Donzelli non ha precedenti ed è di una inaudita gravità. Non solo per la sgrammaticatura istituzionale delle sue parole in parlamento, dove ha chiesto al Pd se stava «con i terroristi o con lo stato».

Ma anche perché le registrazioni ambientali di detenuti ’ndranghetisti e del clan dei Casalesi sono ovviamente riservatissime, e possono essere rese pubbliche solo dal ministero della Giustizia e in casi straordinari. O dall’autorità giudiziaria, in caso di apertura di un’inchiesta penale a seguito dell’invio delle registrazioni da parte del magistrato di sorveglianza.

Com’è possibile dunque che l’onorevole Donzelli avesse in mano le conversazioni segrete dei mafiosi fatte appena qualche giorno fa? E come è accaduto che ne abbia diffuso il contenuto, compresi nomi e cognomi degli intercettati? Il capogruppo di Fratelli d’Italia, che è pure vicepresidente del Copasir, ha provato a giustificarsi affermando di aver «consultato i documenti al ministero della Giustizia, come può fare qualsiasi deputato».

Una balla sesquipedale: chi scrive ha chiamato gli uffici del ministro Carlo Nordio, che hanno negato che le relazioni della polizia penitenziaria siano consultabili da terzi, onorevoli compresi. Si tratta infatti di atti riservati interni al Dap, e che possono finire solo sulla scrivania del ministro della Giustizia o del sottosegretario con delega all’Amministrazione penitenziaria. In questo caso si tratta di Andrea Delmastro, compagno di partito di Donzelli.

Nessuno dei due, ça va sans dire, può consegnare le intercettazioni ad altri. Non sappiamo se la vicenda nasconda o meno possibili reati. Ma qui interessa poco: è un fatto che Donzelli (e soprattutto chi gli ha dato le registrazioni) abbia impiegato informazioni sensibili come proiettili politici. Rendendo contemporaneamente pubbliche conversazioni di prigionieri che sono stati posti al 41 bis proprio per evitare che gli stessi possano comunicare o dare messaggi all’esterno.

Il fedelissimo di Meloni li ha propalati al posto loro, realizzando un paradosso stupefacente in seno a un governo che da mesi fa la guerra alle intercettazioni di vip e politici. Anche a quelle non più segrete. Donzelli ha dimostrato di non essere in grado di maneggiare notizie confidenziali. E di conseguenza di non essere adeguato al ruolo di numero due del Copasir. In un paese serio, le sue dimissioni sarebbero già sul tavolo.

 

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