Da fine settembre al 16 novembre la curva dei detenuti positivi in carcere è passata da 10 persone a 758, distribuiti in 76 carceri. Nello stesso mese e mezzo, il personale risultato positivo è cresciuto da 11 persone a 936. Per ora, la situazione sembra gestibile, rispetto alla prima ondata: «Al di là di qualche caso isolato a livello periferico, non notiamo particolari responsabilità che potrebbero essere imputate all’Amministrazione penitenziaria, la quale – per quanto possibile alle condizioni date – si è adoperata al meglio per fornire dispositivi di protezione individuale in numero adeguato e ha diramato importanti direttive per prevenire e isolare il contagio, che erano mancate nella primavera scorsa», dice Gennarino De Fazio, Segretario Generale della Uilpa Polizia Penitenziaria.

Tuttavia, «tutto ciò rischia di non essere sufficiente e di mandare la situazione sanitaria fuori controllo», nel caso in cui non si intervenga sul fattore che determina la diffusione del contagio: il sovraffollamento nelle strutture.

Secondo quanto riportato dal Garante nazionale dei detenuti, attualmente in carcere sono «54.767 persone quelle registrate ma 53.992 quelle fisicamente presenti. L’accentuata differenza tra registrati e presenti è dovuta in larga parte al numero di licenze e permessi che il decreto-legge 137/2020 ha prorogato fino alla fine dell’anno». Un calo che però non è sufficiente, considerando che le strutture detentive hanno una capienza effettiva di circa 47 mila posti.

Tradotto in percentuale: il sovraffollamento è del 115 per cento. Il numero è anche più alto in alcune strutture, come il carcere di Latina, dove il sovraffollamento tocca il 190 per cento. Inoltre, i posti disponibili in concreto sono meno di quelli ipotizzati se si considera che, per prevenire i contagi, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha diramato una circolare che impone a tutti gli istituti di creare delle “sezioni covid” dove separare i positivi, che devono passare la quarantena in isolamento in cella singola.

La richiesta è corale: arriva dal Garante, da Antigone, l’associazione che si occupa di detenuti, ma anche dal sindacato della polizia penitenziaria, che chiede «il deflazionamento sensibile della densità detentiva; rafforzamento e supporto efficace della Polizia penitenziaria; potenziamento incisivo dei servizi sanitari».

La carenza di dati

Calcolare il rapporto tra tamponi e positivi in carcere, tuttavia, è fuorviante se confrontato con il dato nel paese perchè lo screening è molto più capillare: tutti i nuovi detenuti, infatti, prima di essere fatti entrare nella propria sezione vengono sottoposti al test e, se trovati positivi, messi in isolamento.

Un elemento che complica la mappatura del contagio in carcere è legato alla diffusione dei dati. Il “censimento” dei positivi avviene giornalmente, sia per quanto riguarda i detenuti che il personale, e i dati confluiscono al Dap. Il dipartimento, che dipende dal ministero della Giustizia, però non li rende pubblici e consultabili sul suo sito, ma li mette a disposizione del Garante e dei sindacati che decidono discrezionalmente quando divulgarli. I numeri riportati nel grafico in questa pagina, infatti, sono la ricostruzione di tutti i dati fino ad oggi resi disponibili da queste fonti (che, come scritto, li ricevono dal ministero della Giustizia), senza però una cadenza precisa. 

Dubbi sulla completezza dei dati sono stati avanzati in particolare dai sindacati di polizia, con riferimento ai casi di positività dei detenuti al 41 bis, il cosiddetto regime di carcere duro che prevede un isolamento molto stringente. Ma soprattutto un regime – applicato in 12 carceri, per circa 650 detenuti - applicato a una popolazione carceraria molto anziana, con un’età media di 65 anni e con molti ultra-ottantenni con problemi di salute pregressi al covid.

Il 41 bis

Il protocollo quadro sottoscritto dal Dap e dai sindacati di polizia prevede che “Tutte le articolazioni centrali e regionali dovranno comunicare sistematicamente alle organizzazioni sindacali, in forma anonima, il numero del personale e dei detenuti risultati positivi”. Tuttavia, lo stesso sindacato Uilpa polizia penitenziaria ha sollevato dubbi sul fatto che «i dati forniti risultino incompleti e comunque tali, a volte, da suscitare più dubbi di quanti ne dipanino».

A sostenere l’ipotesi è il fatto che alcuni giornali – in particolare il Dubbio – hanno segnalato la positività di almeno 4 detenuti nel carcere di Milano Opera, dopo aver ricevuto segnalazioni dagli avvocati difensori, mentre le comunicazioni del Dap ai sindacati indicavano che a Opera nessun detenuto fosse positivo. In una nota del 13 novembre, De Fazio ha scritto di aver «ripetutamente sollevato tale incongruenza a margine di riunioni con i vertici del Dap» e chiesto spiegazioni, a cui è seguito un nuovo report del Dap, che rendicontava 4 detenuti positivi a Opera, senza però indicarne il regime di detenzione.

Segnalazioni analoghe di detenuti al 41 bis positivi arrivano anche dal carcere Tolmezzo, dove sarebbero positivi almeno 12 reclusi in regime di carcere duro. Anche i questo caso, però, mancano riscontri ufficiali e il Garante ha solo potuto confermare che ci sono detenuti positivi a Tolmezzo, ma i dati che riceve dal Dap non dividono i reclusi per circuiti di appartenenza.

 

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