- Si scioglie il ghiaccio fra la corrente di Orlando e l’ex vicepresidente dell’Emilia-Romagna che domani organizza la sua kermesse a Roma.
- Polemiche dei riformisti sui saggi considerati troppo di sinistra. Ceccanti: «L’assemblea deve cambiare il Manifesto del 2007 o deve azzerarlo?». Stiamo a un passo dalla segnalazione di una procedura illegittima. Che potrebbe persino far saltare tutto il banco.
- Gori paventa l’abbandono in caso di vittoria di Schlein. Guerini: «Ma no, nessuno se ne deve andare ma bisogna evitare una 'deriva minoritaria».
La cortina di diffidenza, se non proprio di ghiaccio, che c’era fra Elly Schlein, l’ex civatiana movimentista e quasi sardina, e l’area della sinistra laburista socialdemocratica e molto partitista, ha cominciato a sciogliersi durante un colloquio fra lei e Andrea Orlando, due giorni fa, in un corridoio riparato della Camera.
Vis à vis, riservato, ma comunque fatto trapelare ai cronisti. Giovedì sera poi se n’è riparlato in un seminario della sinistra del Pd, organizzato dal vicesegretario Peppe Provenzano a porte rigorosamente chiuse.
Formalmente si ragionava ad ampio raggio sulle politiche di redistribuzione e sull’ultimo libro del professore Carlo Trigilia, La sfida delle disuguaglianze (Il Mulino). Ma in codice si volava anche un po’ più basso, e si planava sulle secche del congresso costituente Pd. Fra i presenti anche Gianni Cuperlo e, appunto, Orlando.
Della sinistra Pd, Provenzano è da sempre il più sbilanciato verso Schlein. Adesso si sarebbe convinto anche Orlando. Che continua a lavorare sulle tesi del congresso «costituente» (è praticamente l’unico che lo fa), dunque respinge con fastidio ogni domanda sui candidati.
E infatti ieri i suoi smentivano l’avvenuta liaison politica con l’ex vicepresidente dell’Emilia-Romagna.
Anzi parlavano d’altro: attaccavano «nel merito» i riformisti del Pd che hanno lanciato un allarme sulla piegatura gauchista del lavoro dei saggi che dovranno scrivere il nuovo manifesto del Pd.
«Quindi, ricapitolando», è la polemica del giovane Marco Sarracino, neodeputato e segretario provinciale del Pd di Napoli, «nel Pd tutti d’accordo per una fase nuova, per un partito nuovo, per una identità definita e chiara. Ma senza mettere niente in discussione, tranne come al solito l’ennesima leadership. Mi batterò contro questa logica. Serve un vero cambiamento».
L’avviso di Ceccanti
Il fatto è che la differenza fra cambiamento e stravolgimento non è neanche tanto sottile.
Per questo il costituzionalista Stefano Ceccanti ha mandato al segretario Letta una lettera di avviso: «Il mandato del comitato costituente è di proporre all’Assemblea nazionale di aggiornare un Manifesto da guardare comunque con rispetto; o di azzerarlo ritenendolo da cestinare in blocco per sostituirlo con un testo completamente diverso? Dobbiamo aggiornare la Costituzione o cambiare di Costituzione?».
Non tutto si può fare, secondo Ceccanti: «È evidente che un’Assemblea ad un mese dalla sua scadenza ha la legittimazione per operare la prima scelta, ma non la seconda».
Siamo a un passo dalla segnalazione di una procedura illegittima. Che potrebbe persino far saltare tutto il banco.
D’altro canto, le truppe che sostengono Schlein si stanno inspessendo. E sono cruciali per affrontare il primo voto del congresso, quello dei circoli del Pd.
Dario Franceschini è dalla sua parte, anche se non ha convinto tutta la sua corrente (il sindaco di Firenze Dario Nardella, per esempio, sarà al fianco di Stefano Bonaccini, l’europarlamentare Pina Picierno non ha ancora deciso, oggi sarà a Bari per un’iniziativa organizzata con Albero Losacco, vicinissimo a Franceschini).
Enrico Letta anche, sebbene personalmente starà ben attento a non esporsi per fare da «garante» del congresso. Guarda con simpatia a lei l’ex segretario Nicola Zingaretti.
E se si aggiungono anche i militanti e dirigenti che fanno riferimento ad Orlando, se l’ipotesi di Matteo Ricci rientra in qualche modo – ma Goffredo Bettini lo sostiene – forse non si arriva alla maggioranza del partito, ma almeno si entra in partita.
Al sud sta dalla sua parte un combattente come Michele Emiliano, presidente della Puglia. Mancano solo quelli di Art.21, ma fin qui Roberto Speranza si è mosso di concerto con la sinistra Pd.
Tutto questo affollato presepe si può comporre a patto che al suo “lancio” di domani a Roma Schlein non sbagli qualcosa. O non sbagli troppo, data la sua tendenza a procedere in proprio. Intanto il suo staff resta amletico: sarà davvero il lancio ufficiale della corsa a congresso? Non si sa.
Guerini avverte
E che il campo “di sinistra” si stia rafforzando lo si deduce anche dal nervosismo di chi è vicino a Bonaccini. Il sindaco di Bergamo Giorgio Gori non gira attorno al tema della scissione possibile.
Se vincesse Schlein, spiega, potrebbe lasciare il Pd: «Ho condiviso la carta dei valori, al di là delle leadership che si sono alternate. Oggi leggo che qualcuno vorrebbe mandare quella carta al macero, e sospetto che siano gli stessi che vorrebbero Elly Schlein segretaria, per dare vita alla “rifondazione”».
Ma è un problema che secondo lui avrebbero anche altri: «Io penso che molti si allontanerebbero. La “deriva francese” tante volte auspicata da Renzi – con un Pd sempre più piccolo e sempre più a sinistra – diventerebbe un rischio concreto. Vogliamo darla vinta a Renzi?».
Domanda retorica, che serve ad alzare la tensione, e a far circolare l’idea che con Schlein al Nazareno il partito si sfascerebbe. Un’idea che peraltro è molto verosimile.
Così verosimile che deve essere fermata – ma in realtà soprattutto sottolineata – dal solitamente riservato e taciturno Lorenzo Guerini, il leader della corrente Base riformista, che sostiene Bonaccini.
«Ma no, nessuno se ne deve andare», corregge Gori, che però «pone temi importanti», «evoca l’esigenza di evitare una 'deriva francese' e minoritaria del Pd che sembra emergere da alcune suggestioni di queste ore sul nostro manifesto dei valori».
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