- In commissione giustizia la sfilata delle argomentazioni fantasiose contro la legge: c’è anche chi spiega che «lo stile di vita lgbt è incompatibile con lo sviluppo sostenibile». Pd e M5S torneranno alla carica. O una data certa, o subito in aula. Dove si rischia lo scapicollo.
- Iv offre un tavolo alle destre. Ma Scalfarotto ammette: «Gesto di buona volontà ma non porterà ad alcun risultato. La destra vuole solo perdere tempo. I voti di Italia viva fin qui sono stati determinanti e ci saranno».
- Il Pd alla ministra Bonetti: «La definizione “identità di genere” è stata inserita nella legge proprio grazie a lei, l’articolo uno è stato concordato parola per parola».
«Le audizioni hanno mostrato che non ci sono spazi di mediazione. Se non ci sono le condizioni per andare avanti in commissione dovremo passare al voto dell’aula, dove ciascuno si assumerà le proprie responsabilità». Franco Mirabelli è il capogruppo Pd in commissione giustizia, è conosciuto per essere un uomo paziente e un gran mediatore. Ma ormai anche lui si è convinto non c’è modo di velocizzare l’andamento lento innescato dal presidente leghista Andrea Ostellari sulla legge contro l’omotransfobia. Le audizioni, con in ritmo di un appuntamento a settimana, sono state architettate come una sfilata di no al testo. Con le motivazioni più fantasiose. E a prescindere dal testo. Martedì scorso c’è stato chi ha sostenuto che «lo stile di vita Lgbt è incompatibile con lo sviluppo sostenibile», chi ha lamentato che ci sono troppi gay nei programmi tv, chi ha – in quella sede – proposto sacre alleanze «delle culture sul concetto di sanità mentale, per fare clamorose iniziative comuni» e spingere il paese «in una direzione sana sul terreno dell’affettività».
Ma ormai siamo alla battaglia finale. Il problema non è il circo Barnum delle audizioni. Nel frattempo il renziano Davide Faraone ha proposto un tavolo per trovare una mediazione con le destre e modificare il ddl. La ministra della Famiglia Elena Bonetti, che alla Camera era grande sponsor della legge, stavolta si è messa nella scia. Il messaggio «in chiaro» agli alleati dell’ex maggioranza giallorossa sembra di buon senso: meglio cambiare il testo che affossarlo. Ma è altrettanto chiaro che gli spazi di mediazione sono finti: Lega e FI solo di recente hanno presentato una proposta di legge antiomofobia (prima firmataria la senatrice Licia Ronzulli), fino a poche settimane fa sostenevano la loro posizione storica: non c’è bisogno di una legge. Posizione che riecheggia ancora nelle audizioni.
Dentro Italia viva fioriscono dubbi. Nella riunione di deputati e senatori l’ex ministra Maria Elena Boschi avrebbe avanzato perplessità sulla proposta del tavolo. Ieri Ivan Scalfarotto, sottosegretario all’Interno e attivista dei diritti, ha ammesso sul manifesto che il tavolo non serve a nulla: «È un grave errore trattare con la destra sul ddl Zan. Lega e FdI vogliono solo affossarla». Scalfarotto se la prende con la senatrice Monica Cirinnà che per prima ha detto quello che ormai sanno tutti: Iv ha cambiato posizione. Eppure alla legge ha lavorato la responsabile giustizia Lucia Annibali. E la discriminante contro «l’abilismo» – l’incitazione all’odio contro le persone con disabilità – porta la firma di un’altra autorevole renziana, Lisa Noja. Scalfarotto nega ogni illazione: «I voti di Iv fin qui sono stati determinanti e ci saranno». Ma il gesto «di buona volontà di Faraone non porterà ad alcun risultato. La destra vuole solo perdere tempo. Su temi come questo, le unioni civili, l’aborto, la spaccatura è insanabile: o stai da una parte o dall’altra».
Polverizzare l’alleanza
E però al Senato circola un’altra versione. Matteo Renzi – e Iv che però non è compatta, abbiamo visto – non vuole concedere a Enrico Letta quella che sarebbe un’indubbia vittoria politica: il sì a una legge per la quale si è speso molto, l’unica possibile delle sue campagne identitarie. Ancora di più Renzi vuole polverizzare lo schema dell’alleanza giallorossa, da cui il suo partito ormai si smarca sistematicamente. La battagli contro l’omofobia finirebbe dunque impallinata da esigenze tutte politiche. «Dialoghiamo? Ma certo», non si oppone Monica Cirinnà, madre delle unioni civili e madrina delle battaglie arcobaleno. Ma a queste condizioni: «Per noi ci sono tre punti irrinunciabili: l’identità di genere tra le aggravanti, perché non si possono lasciare i più fragili senza protezione dall’odio; il coinvolgimento delle scuole nell’educazione contro le discriminazioni e la previsione di punire l’istigazione ai crimini d’odio con parole che ledono la dignità dei cittadini. Italia viva pensa che si possa trattare su questo? Strano: ricordo che la definizione “identità di genere” è stata inserita nella legge proprio grazie alla ministra Bonetti, con cui l’articolo uno è stato concordato parola per parola».
Oggi si riunirà di nuovo la commissione giustizia. Pd e M5s chiederanno a Ostellari di stabilire tempi certi per la fine delle audizioni e per il passaggio del testo in aula. Richiesta finale. Altrimenti la battaglia approderà alla capigruppo. E si apriranno ufficialmente le ostilità con tutti i mezzi offerti dai regolamenti parlamentari. Con il rischio però dello scapicollo finale: in aula la legge dovrà affrontare una serie di emendamenti a voto segreto. Segreto fino a un certo punto, in realtà. In teoria i numeri per respingere gli assalti ci sono: ma a condizione che tutta l’ex maggioranza giallorossa resti compatta. Alessandro Zan, primo firmatario del testo, cerca di abbassare i toni. Non vuole credere che Renzi arrivi fino a rompere il fronte comune: «Piuttosto pensiamo a parlare con tutti i senatori, uno per uno, anche dell’opposizione. Lavorerò per questo fino all’ultimo minuto».
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