Un emendamento del Pd voleva allargare a Ferrari e Aci la possibilità di certificare le auto d’epoca, mentre oggi il settore è nel monopolio dei privati. Secondo i dati, i veicoli che godono di questi vantaggi fiscali sono infatti 553 mila e di questi circa l’80 per cento viene usato tutti i giorni, mentre teoricamente la certificazione servirebbe per mezzi storici
Nelle pieghe del nuovo codice della strada si annida un danno erariale da 30 milioni di euro l’anno che, come stimato dalla Camera arbitrale internazionale e spiegato a Montecitorio dal deputato Pd, Anthony Barbagallo, è destinato ad aumentare.
A provocarlo un settore che all’apparenza sembra interessare i soli collezionisti: quello delle certificazioni di auto d’epoca. Ovvero auto che dovrebbero circolare solo di tanto in tanto per ragioni espositive. Invece, nella zona grigia della certificazione di storicità e del conseguente regime fiscale favorevole, hanno trovato spazio veicoli di tutti i tipi, addirittura carri attrezzi e furgoni da lavoro. Secondo i dati dell’Aci, che è un ente pubblico, i veicoli che godono di questi vantaggi fiscali sono 553mila e di questi circa l’80 per cento viene usato tutti i giorni.
Il codice della strada approvato nel 1992 prevede una disciplina vaga per le auto di interesse storico e collezionistico: per usufruire di agevolazioni nella circolazione devono risultare iscritte «in uno dei seguenti registri: Asi, Storico Lancia, Italiano Fiat, Italiano Alfa Romeo e Storico FMI». Esiste poi un regolamento di attuazione che fissa i vent’anni di anzianità come età minima per essere considerati di rilevanza storica.
La normativa, tuttavia, presenta due problemi mai risolti: la direttiva europea del 2014 fissa a trent’anni l’età minima per definire i veicoli di interesse storico e la certificazione di rilevanza storica (Crs) viene emessa da enti privati, senza regole sui parametri né sulla professionalità dei certificatori.
«Sollecito affinché venga sanata l’anomalia secondo la quale anche solo degli amatori possano avere un ruolo così rilevante», ha commentato Rocco Guerriero, presidente della Camera arbitrale internazionale. La vaghezza dei criteri e la non professionalità dei certificatori hanno però generato una nutrita casistica giudiziaria. L’ultima vicenda è quello di tre Ferrari sequestrate a Chivasso. Certificate ma, secondo l’indagine della procura di Ivrea, false.
Non solo, ormai Asi opera in regime di un monopolio di fatto, perché gli altri enti sono quasi inattivi e – legittimamente secondo le norme vigenti – le casse dell’ente vengono rimpinguate da questo servizio. Per ottenere la certificazione bisogna essere iscritti e dunque viene chiesta una quota annua a cui si somma un ulteriore pagamento per la certificazione, che poi viene trascritta sul libretto di circolazione.
I benefici per chi la ottiene, però, sono notevoli: esenzione totale o parziale dal pagamento del bollo auto, esenzione totale dall’imposta provinciale di trascrizione e riduzione del costo della polizza assicurativa. Proprio da qui deriva il danno erariale ipotizzato.
L’emendamento
Per tentare di correggere la stortura, il dem Barbagallo ha presentato due emendamenti al codice della strada. Il primo prevedeva di aggiungere altri tre enti certificatori – Ferrari Classiche e Storico, Aci Storico e Aavs di Trieste – e di fissare a trenta gli anni minimi per l’attestazione di storicità, come prevede la direttiva Ue.
Il secondo rinviava alla redazione di un decreto ministeriale per disciplinare i requisiti e le modalità di certificazione. Il governo e i relatori, però, hanno dato parere contrario e gli emendamenti sono stati poi bocciati dall’aula. «Abbiamo provato a dare un contributo per migliorare la situazione. Bastava poco per correggere questa stortura, ma il governo si è voltato dall’altra parte», ha commentato Barbagallo.
Dietro al no del centrodestra, però, si annidano questioni politiche. Gli emendamenti di Barbagallo erano sostanzialmente analoghi a quelli presentati da Flavio Tosi (Forza Italia) in commissione. Quelli del deputato azzurro, però, sono stati inspiegabilmente ritirati. Secondo fonti parlamentari, il no alle modifiche è venuto dalla Lega. «È stato un diktat di Salvini», che guida il ministero dei Trasporti, è il commento sotto richiesta di anonimato di un esponente della maggioranza.
Il risultato di aver lasciato le cose come stanno è quello di tagliare fuori dalla certificazione sia l’Aci, che è un ente pubblico, sia Ferrari, che in questo modo non può certificare le sue stesse auto storiche.
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