Una delle pratiche meno diffuse da parte dei legislatori nazionali è la valutazione degli impatti delle nuove norme. La riforma in tema di autonomia differenziata non fa eccezione, come emerge dai pareri espressi sia dalla Banca d’Italia sia dal Servizio bilancio dello stato.

Il disegno di legge (ddl) sulla «attuazione dell’autonomia differenziata ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione», presentato da Roberto Calderoli, ministro per gli Affari regionali e le autonomie, indica il percorso e le regole da seguire per negoziare con le regioni che ne facciano richiesta «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia».

Tale negoziazione vede come protagonisti governo e regioni. Il parlamento adotta preventivi atti di indirizzo ed esamina il disegno di legge presentato dal governo per l’approvazione delle intese raggiunte.

Le funzioni trasferibili alle regioni sono di tre tipi:

1) quelle concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti equamente su tutto il territorio nazionale, e quindi richiedono la preventiva definizione dei livelli essenziali delle prestazioni (Lep), senza stanziamento di risorse aggiuntive di bilancio;

2) altre funzioni riguardanti i medesimi diritti, ma con lo stanziamento di risorse di bilancio aggiuntive;

3) funzioni relative a materie diverse da quelle già indicate, che non richiedono pertanto la preventiva definizione dei Lep, per le quali il trasferimento può essere effettuato nei limiti delle risorse esistenti.

Autonomia ed efficienza

È sempre efficiente l’impatto del trasferimento di funzioni a una regione? La Banca d’Italia, in una memoria del giugno 2023, ha affermato che, se pure è vero che i decisori pubblici locali hanno una migliore conoscenza «delle specificità e dei bisogni della popolazione di riferimento», e quindi ci si aspetta da loro una «maggiore responsabilizzazione» anche in ragione del più stretto legame con la popolazione stessa, i benefici del trasferimento non sono automatici. Essi potrebbero variare tra le aree del paese, «ad esempio perché diversa è la capacità amministrativa a livello locale».

Inoltre, «un assetto istituzionale estremamente differenziato potrebbe risultare poco trasparente per i cittadini»; rendere più difficoltose «le scelte delle imprese, per esempio richiedendo a quelle che operano su scala sovraregionale di adeguarsi a quadri regolamentari» variegati; «rappresentare un ostacolo alla mobilità geografica» dei lavoratori per l’esistenza di «certificazioni e abilitazioni» diverse su base regionale. Peraltro, la frammentazione derivante dal trasferimento di funzioni può rendere più ardua una «azione tempestiva e di coordinamento, a livello nazionale e spesso sovranazionale», necessaria in talune situazioni, come accaduto durante la pandemia.

Dunque, servirebbe una «disamina dei vantaggi e degli svantaggi derivanti dal decentramento di ciascuna specifica funzione, tenendo conto anche del contesto locale». Disamina che, tuttavia, il ddl non prevede. Ciò che può essere conveniente per la singola amministrazione locale può non esserlo per lo Stato nel suo complesso, ed è agli impatti su quest’ultimo che occorre guardare.

Gli impatti non valutati

Anche il Servizio bilancio dello stato, nel maggio scorso, ha espresso considerazioni sugli impatti della riforma, anzi, sulla mancata valutazione degli stessi. La riforma prevede che le intese fra governo e regioni stabiliscano i criteri per l’individuazione dei beni e delle risorse necessari per l’esercizio delle funzioni trasferite. La concreta determinazione di beni e risorse è demandata ad un decreto del presidente del Consiglio (dpcm), cui segue la predisposizione con legge, da parte del parlamento, dei fondi necessari.

Il Servizio bilancio suggerisce che i dpcm siano sottoposti al preventivo parere delle commissioni parlamentari permanenti. In mancanza, le camere dovrebbe deliberare lo stanziamento di risorse senza aver esaminato e valutato preventivamente i contenuti dei dpcm e i loro impatti finanziari, con il rischio che dopo la stipula delle intese per il trasferimento ci si renda conto che le risorse disponibili sono insufficienti.

Il Servizio bilancio aggiunge che, se pure è vero che l’effetto finanziario della riforma si potrà valutare solo dopo l’approvazione dei trasferimenti di funzioni richiesti dalle regioni, tuttavia nel ddl ci sono «disposizioni di carattere generale» che si applicano «a prescindere dalle funzioni trasferite».

Disposizioni «che impongono comunque quanto meno una valutazione preliminare dell’impatto finanziario del trasferimento». Valutazione che non è stata fatta. Non effettuare un’analisi ex ante degli impatti della regolazione è una scelta politica: significa voler deliberare al buio, così che eventuali criticità non emergano, quindi teoricamente non esistano.

Gli esiti non possono che essere infausti. E, se pure non sarà svolta una verifica ufficiale ex post, saranno i fatti a dimostrare tali esiti in concreto.

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