- Il Partito democratico ha detto no alla bozza di autonomia del ministro leghista, Roberto Calderoli, e la linea è condivisa anche da tutti i candidati al congresso.
- Tuttavia, in passato, Bonaccini è stato tra i promotori dell’autonomia per la sua regione e ne ha chiesto l’attuazione anche al governo Draghi.
- Il Pd ha messo in campo varie proposte sul tema, dunque il suo non è un no all’autonomia in quanto tale, ma solo a quella leghista. Per evitare che il tema che sta dividendo il centrodestra faccia lo stesso anche tra i dem.
L’autonomia differenziata del ministro leghista Roberto Calderoli è una bomba pronta a esplodere nel centrodestra e l’obiettivo del Pd è che non faccia altrettanto a sinistra.
Il partito si è compattato sul no alla bozza leghista, in linea con il rifiuto non solo dei governatori del sud, Vincenzo De Luca e Michele Emiliano, ma anche degli amministratori locali. Eppure, la questione delle autonomie non è mai stata un tabù per i dem. Anzi, il primo tentativo di metterla in pratica risale alla riforma del Titolo V della Costituzione, approvata nel 2001 con il governo di centrosinistra guidato da Giuliano Amato.
In tempi più recenti proprio il favorito alla guida della segreteria, il governatore emiliano Stefano Bonaccini, è stato tra i grandi sostenitori di un progetto autonomista. Pur senza indire un referendum come il Veneto e la Lombardia, dal 2017 ha portato avanti un lavoro condiviso con le altre regioni del nord per ottenere più funzioni, con la cosiddetta “autonomia negoziata”.
In quest’ottica ha siglato una pre intesa con richiesta di competenza su 15 nuove materie con il governo Gentiloni, l’ha rivendicata in campagna elettorale nel 2020 e, nell’aprile del 2022, la sua regione ha chiesto al governo Draghi di riprendere il confronto.
Il no di Bonaccini
Oggi, invece, proprio Bonaccini è contrario alla bozza Calderoli, a lui si sono accodati tutti i candidati alla segreteria e in particolare la sua più diretta competitor, Elly Schlein. Una compattezza quasi insperata, in una fase congressuale in cui dividersi nel dibattito è un istinto naturale.
Tuttavia, ammette un dirigente dem, «il tema è irritante per alcune sensibilità culturali del partito» e «per ora sta reggendo la linea della mediazione interna, che si puntella sulla volontà di non cedere ai tranelli esterni».
Tradotto: sull’autonomia il Pd ha sempre coltivato linee interne diverse, che si sono incontrate sul no alla bozza Calderoli ma mai ancora su una proposta condivisa, certificando l’esistenza di una sorta di “questione settentrionale” opposta a quella meridionale.
Tuttavia le ragioni del no sono condivise e non preconcette, ha spiegato il sindaco di Pesaro e sostenitore di Bonaccini, Matteo Ricci: «La Lega vuole piantare una bandierina politica e, invece di partire dai lep e da un ragionamento pragmatico come negli anni passati ha fatto il Pd in Emilia-Romagna, è pronta a dividere il paese».
Dietro il nuovo posizionamento di Bonaccini, infatti, ci sono gli amministratori locali che lo sostengono e che hanno usato argomenti concreti per convincerlo. Tra questi, anche Emiliano e De Luca, suoi sostenitori congressuali.
«Le regioni hanno approfittato della debolezza delle province per accentrare funzioni, mentre è già saltata due volte la riforma degli Enti locali», spiega Ricci, sottolineando come l’autonomia regionale come impostata da Calderoli creerà tensioni anche tra comuni e regioni. Insomma, il no a Calderoli è doppio: nel merito dell’impostazione della riforma prima ancora che politico. «Il Pd non è contrario all’autonomia tout court, ma all’autonomia differenziata che, invece di ricucire l’Italia, la divide», è la sintesi di Ricci.
Le proposte del Pd
Del resto, proprio il Pd del Veneto ha depositato in dicembre il suo disegno di legge sull’autonomia, portato in Senato da Andrea Martella. Il punto di partenza è una legge quadro approvata dal parlamento, la fissazione dei livelli essenziali di prestazione calcolati sulla base dei fabbisogni standard per garantire l’uguaglianza di tutti i cittadini nelle materie essenziali ed esclude alcune competenze, come l’istruzione, da quelle devolvibili alle regioni.
Tuttavia, le sensibilità sul tema sono varie e si traducono in diversi disegni di legge. Una posizione autonoma è quella del deputato romano Roberto Morassut, che al congresso sosterrà Elly Schlein, secondo cui adagiarsi sull’autonomia costringerà sempre i dem a fare il controcanto alla Lega.
Invece, secondo Morassut, l’autonomia è una riforma da fare a valle di un progetto più ampio, che vede a monte il ripensamento dell’attuale impianto regionale, riducendo il numero delle regioni e affrontando in questa chiave il rapporto tra aree urbane e aree interne.
«Il sud è composto di troppe piccole regioni, che solo accorpate potrebbero gestire virtuosamente una eventuale autonomia», spiega Morassut, che ragiona di un accorpamento da sud a nord con la creazione di 12 macroregioni e la creazione di tre città metropolitane a Roma, Napoli e Milano. Il progetto di riforma costituzionale è stato presentato, come Morassut fa da diverse legislature, in tre disegni di legge e ricalca il modello tedesco.
Dal Veneto alla Sicilia, tuttavia, il Pd ha trovato proprio nella contrarietà all’autonomia un punto di condivisione. Il miglior accordo di desistenza possibile per evitare, proprio durante il congresso, la spaccatura tra nord e sud che si sta aprendo a centrodestra.
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