La premier vuole minimizzare la debacle in Sardegna, ma la sconfitta l’ha costretta a riflettere. Per stemperare il clima con gli alleati, l’ipotesi è di ritornare all’usato sicuro in Basilicata e Umbria
Il day after la sconfitta del centrodestra in Sardegna ha due parole chiave: riflettere e minimizzare. Di «riflessione» hanno parlato in uno stringato comunicato congiunto di Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Antonio Tajani dopo il vertice a palazzo Chigi in vista delle prossime regionali, con lo strumento che i tre adottano ogni qualvolta ci sia da imporre un time-out tecnico. Minimizzare è l’alta linea guida, indicata a tutto il gruppo di Fratelli d’Italia nel mattinale di indicazioni politiche studiato da Giovanbattista Fazzolari: «Si è trattato di un evento locale», che non avrà effetti sul governo.
Dietro il muro di silenzio e le dichiarazioni pubbliche limate in ogni aggettivo, però, l’umore della coalizione è nerissimo e sul banco degli imputati finisce per la prima volta la premier che sembrava invincibile. Fonti di Lega e Forza Italia, del resto, fanno notare soprattutto la seconda parte del comunicato congiunto, quella che parla di «valutare possibili errori fatti». In particolare uno: la scelta del candidato Paolo Truzzu imposto personalmente da Meloni con una prova di forza che ha umiliato la Lega e rotto lo schema storico del centrodestra secondo cui il secondo mandato non si nega mai agli uscenti. Si è incaricato di ricordarlo al posto del suo segretario Andrea Crippa della Lega, che ieri è stato avvistato su un volo diretto a Cagliari: «I candidati non si scelgono sulla base dei rapporti di forza e bisogna ascoltare i territori», ha detto riferendosi allo scarso appeal da sindaco di Truzzu, che a Cagliari ha perso di venti punti. «Impareremo anche da questo», ha scritto la premier via social.
Alla leader, infatti, non sfugge che la sconfitta su di lei pesa due volte. Quello che viene descritto da un parlamentare di FI come «un peccato di ubris» la pone davanti a un bivio per uscire dall’angolo in cui si è messa da sola ed entrambe le direzioni comporteranno dei rischi. La macchina della politica, infatti, non si ferma mai: il 9 e 10 marzo si voterà in Abruzzo dove il candidato è Marco Marsilio di FdI; il 20 e 21 aprile toccherà invece alla Basilicata, e l’uscente Vito Bardi di FI non è ancora stato confermato.
L’appoggio a Forza Italia
Meloni, infatti, ora deve guardare avanti e decidere il da farsi. Una delle strade possibili è quella caldeggiata da Forza Italia, che alle elezioni sarde ha tenuto con il 6,3 per cento quasi doppiando la Lega: tornare prudentemente alla regola dell’usato sicuro e ripristinare il bis automatico per i governatori uscenti di berlusconiana memoria. Giorgio Mulè, il più efficace nel comunicare, ha ripetuto in interviste e dichiarazioni pubbliche che ora è importante «non arrivare a ridosso nella scelta dei candidati» e ha invitato a sciogliere subito il nodo della Basilicata. In favore di Bardi, evidentemente. In questa direzione, infatti, sarebbero arrivati segnali rassicuranti proprio nel vertice di ieri.
Certo il redde rationem non è nell’indole della premier e, in ogni caso, non c’erano garanzie che il leghista Christian Solinas avrebbe fatto meglio. Anzi, i sondaggi erano incerti anche su di lui. Eppure, in lei starebbe maturando la consapevolezza che tutti i segnali le stanno dicendo di fermarsi.
la restaurazione
La direzione, infatti, sarebbe quella di andare verso una conferma dei prossimi uscenti. «Nessuna preclusione su Bardi, con lui abbiamo governato bene cinque anni», ha detto infatti il fido Giovanni Donzelli e proprio questo ha rasserenato la giornata di FI. Questo dovrebbe avere un effetto stabilizzante complessivo e - per non scontentare la Lega più di quanto già non sia - da fonti di maggioranza trapela che anche in Umbria, al voto in ottobre, la pur non amata Donatella Tesei dovrebbe essere confermata.
La variabile della Lega, tuttavia, rimane quella più preoccupante per Meloni. «Ma non sarò mai quello che, quando le cose vanno bene, è merito mio e quando le cose vanno male è colpa degli altri», ha detto Salvini, ma il sentiment più condiviso tra i leghisti è di aver subito in Sardegna un’umiliazione pubblica ingiusta, aggravata dalla sconfitta di Truzzu. E che ora merita un risarcimento. Non a caso a dirlo è il solito Crippa, che ormai da mesi ha il compito di dire ciò che il segretario non può e che anche ieri ha stuzzicato gli alleati: «In Basilicata occorre fare una valutazione su chi possa vincere». Tradotto, non necessariamente il forzista Bardi, che nell’ultimo sondaggio 2023 di Swg sul gradimento dei governatori si è trovato agli ultimi posti con il 33 per cento. Anche per questo l’assicurazione sull’Umbria sarà necessario e la premier sa anche che presto la Lega – bassa in Sardegna e sempre più evanescente al sud – tornerà a pretendere il terzo mandato per i suoi governatori del nord: Luca Zaia e Massimiliano Fedriga, al voto nel 2025.
Quel che è certo è che i prossimi saranno mesi di fuoco. La fibrillazione è massima: prima del voto sardo, in Abruzzo Marsilio – anche lui generazione Atreju – era dato testa a testa con il candidato di centrosinistra Luciano D'Amico. Ora, invece, il governatore uscente potrebbe trovarsi a rincorrere e una seconda sconfitta consecutiva peserebbe come un macigno sulla premier.
Anche questo condizionerà le valutazioni in vista delle Europee. Meloni ha fatto sapere che scioglierà la riserva in aprile – cioè dopo il voto in Abruzzo e Basilicata – e la tentazione, se entrambe le scadenze andassero male, sarà quella di candidarsi. Intanto, a scaldarsi c’è anche una rientrata Letizia Moratti, rinvigorita dalla tenuta di FI. Quando aveva accettato la carica di presidente della consulta di FI aveva escluso di candidarsi, ora invece «avremo modo di parlarne più avanti».
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