Il fatto che il 26 febbraio scorso il comune di Salò abbia revocato la cittadinanza onoraria a Benito Mussolini ha riportato alla memoria un’usanza che, dal 1923, si era imposta nell’Italia fascista: per alimentare il culto del duce era prassi che i comuni (le cui assemblee elettive erano state in molti casi sciolte, a favore di un commissario regio o di un prefetto) gli attribuissero la cittadinanza onoraria.

Nel 2021 già il comune di Adria aveva revocato la cittadinanza al dittatore, attribuendone una a Giacomo Matteotti. Mentre, subito dopo Salò, il 27 febbraio scorso, Casalecchio di Reno ha votato per il ritiro della benemerenza. Presentando in aula la proposta, l’assessore Andrea Gurioli, ha affermato che la revoca non ha niente a che fare con la cosiddetta cancel culture, ma con la necessità di sanare un palese contrasto tra l’onorificenza e i principi della Costituzione.

Gurioli, cioè, ha richiamato l’attenzione sul fatto che il procedimento ha un valore non solo simbolico. Il timore di essere tacciati di revisionismo è lo scoglio sul quale sono andate a scontrarsi negli anni passati iniziative simili (a Bologna nel 2014, a Bergamo nel 2015, che poi ci ha riprovato con successo nel 2019).

Il solo scoglio esistente, del resto, in quanto (eccezion fatta per i regolamenti comunali che vietano espressamente la revoca nel caso l’insignito sia defunto) i parametri legislativi in materia sono pochissimi ed estremamente vaghi.

Proprio la lacuna legislativa fa di questo “spazio” pubblico un terreno particolarmente soggetto a essere investito da un confronto polarizzato, con prese di posizione che intendono fissare i limiti oltre i quali un sistema di valori non si riconosce più come tale. Uno “spazio” che si offre come occasione di riflessione critica e di affermazione d’identità, dunque.

8 aprile 1937

L’eco di quanto sta succedendo in Italia in questi giorni è arrivata anche in Svizzera, paese che con le onorificenze a Mussolini ha ancora un conto aperto.

L’8 aprile del 1937 era giunta a palazzo Venezia una delegazione dalla Svizzera guidata dal professor Emile Golay, rettore dell’Università di Losanna. La delegazione era venuta per consegnare al duce il titolo di dottore honoris causa dell’ateneo e ne faceva parte anche il matematico Pasquale Boninsegni, amico di Mussolini dal 1904.

Nei due anni trascorsi in Svizzera (1902-1904), Mussolini aveva seguito, nell’ateneo losannese, le lezioni dell’illustre economista Vilfredo Pareto, di cui Boninsegni era allievo. Pareto ha sollecitato poi Mussolini a marciare su Roma mentre Boninsegni è stato l’instancabile promotore dell’attribuzione del dottorato honoris causa.

Il massacro di Addis Abeba

Mussolini li ha nominati entrambi senatori del Regno e più volte si è mostrato munifico con l’università di Losanna. La cerimonia a palazzo Venezia si è svolta nemmeno due mesi dopo il massacro di Addis Abeba che l’esercito fascista aveva perpetrato contro civili etiopi (19mila morti) in uno dei momenti più violenti di una guerra imperialista che la Confederazione elvetica ha deciso di non sanzionare veramente.

Anzi, la sovranità dell’Italia sull’Etiopia è stata riconosciuta dalla Svizzera già nel dicembre 1936. All’epoca del conferimento del dottorato, insomma, la politica violenta messa in essere dal fascismo a tutti i livelli non era un segreto per nessuno.

Eppure, l’iter politico-burocratico che ha portato all’onorificenza nel 1937 non ha incontrato alcun ostacolo: né nelle sedi accademiche (ad eccezione del voto contrario del professor Jean Wintsch) né in quelle politiche del Consiglio di stato.

Clima favorevole

A chi si chiede ancora come questo sia potuto accadere, gli storici non possono che ricordare il contesto filofascista della Svizzera di quegli anni: tra gli episodi più cruenti, la repressione da parte dell’esercito di una manifestazione antifascista a Ginevra nel novembre 1932, finita con 13 morti e centinaia di feriti.

L’aria svizzera era favorevole: il 16 e 17 dicembre 1934 si è tenuto a Montreux il Congresso fascista internazionale, voluto per aggregare attorno a quello italiano i movimenti fascisti di tutto il mondo. Sempre nel 1934 Henri Guisan, colui che guiderà la Confederazione negli anni del Secondo conflitto mondiale, un riconosciuto “padre della patria”, è stato generosamente ricevuto da Mussolini.

Nel resoconto ufficiale della visita, Guisan scriveva: «Non è né il regime politico, né l’esercito che dobbiamo invidiare all’Italia, ma l’uomo geniale che presiede al suo destino». I fasci di Losanna esistevano già dal 1923. Il dottorato a Mussolini è frutto di quel clima.

La mostra

A breve saranno ottantotto anni che la società civile svizzera si rivolge all’Università di Losanna affinché prenda posizione e ritiri l’onorificenza. Fin da subito ci sono state lettere di protesta, poi le richieste di accesso agli archivi (nel 1976 il rettore Dominique Rivier ha negato la consultazione dei documenti allo studioso Claude Cantini, preferendo insabbiare il dossier), quindi le petizioni al Gran consiglio, l’ultima nel 2023, sostenuta da Anpi Ginevra, Colonie libere italiane e Comitato 25 aprile di Zurigo.

Dopo quasi ottantotto anni una risposta è arrivata. Il 13 novembre 2024 l’Università di Losanna ha inaugurato la mostra Docteur Mussolini. Un passé sensible (è visitabile fino al prossimo 21 settembre ndr), che ripercorre questa vicenda attraverso moltissimi documenti finalmente usciti dagli archivi. «Una scelta della direzione dell’Università per condannare l’attribuzione del titolo – ha spiegato la curatrice, Olga Canton Caro – per ricostruire un contesto storico e far riflettere sul problema del conflitto memoriale». Un’iniziativa di alto profilo comparata agli oltre ottanta anni di duro silenzio.

E tuttavia, ad accogliere il visitatore della mostra, c’è il rettore dell’Unil, Frédéric Herman, che parlando da uno schermo dice che no, il titolo onorifico non verrà ritirato. La lacuna normativa e il timore di sottrarre al dibattito pubblico un episodio tanto importante le ragioni a sostegno della posizione del rettorato.

L’eco che attraversa le Alpi in questi giorni e arriva dall’Italia dice però che riflettere sul passato e criticarlo democraticamente non impedisce di fare gesti, anche istituzionali, che promuovono una cultura del rispetto dei diritti umani, dell’accoglienza, del pacifismo, della solidarietà tra popoli.

Ci sono momenti storici in cui si è chiamati a fare questi gesti.

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