- «O ci rendiamo conto che in alcuni settori le buste paga hanno orari solo formali e paghe da fame oppure difenderemo scatole sempre più vuote» dice l’ex sindacalista.
- «Se il salario minimo è concorrente con i minimi contrattuali “decenti”, spingerà a non rinnovare i contratti, e questo sarebbe un capolavoro. Siamo in una situazione in cui la contrattazione nazionale fatica e quella decentrata perde terreno».
- «A mio avviso ci sono due problemi che hanno impedito di evitare il massacro dei salari. Il primo è che tutti i governi, al di là del colore politico, hanno depotenziato il ruolo e gli organici delle autorità ispettive».
Marco Bentivogli (ex sindacalista Cisl, ndr), il salario minimo non serve secondo Giorgia Meloni, il governo, Matteo Renzi e la Cisl, il sindacato di cui lei è stato dirigente. C’è un filo comune delle argomentazioni?
Ognuno risponde per sé e illustra le proprie argomentazioni. Io credo che sia necessario un maggiore rapporto con la realtà. Non bisogna generalizzare. La contrattazione resta lo strumento migliore per dare norme al lavoro. Del resto dire che la copertura dei minimi contrattuali copre il 100 per cento del lavoro dipendente – perché ogni dipendente ha un contratto nazionale – è corretto ma sempre più teorico. La quota di lavoro povero è cresciuta e non ci si può girare dall’altra parte.
O ci rendiamo conto che in alcuni settori le buste paga hanno orari solo formali e paghe da fame oppure difenderemo scatole sempre più vuote. Nel terziario spesso non si rinnovano i contratti. A primavera nel settore privato, 6,2 milioni di lavoratori, su 12,8 totali, non avevano il contratto rinnovato. Un contratto che dovrebbe essere simbolico, quello della formazione professionale, non si rinnova da dieci anni.
La Cisl dice no perché è tradizionalmente un sindacato vicino ai governi?
Veramente era la Cgil a parlare di «governi amici». Nella storia della Cisl la scelta del dialogo senza pregiudizi con ogni governo resta un valore. Conflitto e dialogo si devono alternare in relazione ai risultati per i lavoratori. È altrettanto evidente che se il governo si limiterà alle strette di mano, bisognerà pensare ad altro. Ma il sindacato non ha un ruolo di opposizione politica, deve fare di tutto per condizionare l’azione di governo. Già i partiti campano di solo “noi l’avevamo detto” su cose che non hanno mai detto ne fatto.
Il salario minimo rischia di “mangiarsi” la contrattazione?
Se il salario minimo è concorrente con i minimi contrattuali “decenti”, spingerà a non rinnovare i contratti, e questo sarebbe un capolavoro. Siamo in una situazione in cui la contrattazione nazionale fatica e quella decentrata perde terreno. Ed è un male. Il salario minimo come soglia di decenza e di garanzia può, come in altri paesi, dare forza al sindacato.
Utile come primo controllo. Ma attenzione, crescono i finti lavoratori autonomi: autonomi a parole, in realtà le aziende li fanno lavorare come dipendenti. Se i lavoratori guadagnano meno dell’importo di questa soglia – e succede, c’è chi prende anche meno di tre euro – allora l’azienda va chiusa. Poi si verifica a quale contratto collettivo fa riferimento perché i contratti nazionali devono rimanere il riferimento per il giusto salario.
Ci sono responsabilità sindacali in questo ritardo?
Una parte del sindacato ancora crede nella centralizzazione della contrattazione, e anche le imprese credono troppo poco nella contrattazione aziendale e territoriale. Il mercato del lavoro è sempre più polarizzato su lavoro “scelto” e “lavoro povero” e sono entrambi spazi del lavoro che si allontanano dalla rappresentanza tradizionale. Anche per questo non è il momento dell’arrocco. La contrattazione si svolge in virtù della rappresentanza, non è un’investitura divina. Per questo bisogna applicare l’art.39 della Costituzione e fare una legge sulla rappresentanza, anche per associazioni datoriali.
Meloni ha già detto no: insistere su una legge che la maggioranza non farà passare serve solo a rimettere insieme le opposizioni?
Meloni e Salvini credono che le ragioni delle imprese siano connesse agli slogan e all’applausometro delle convention di categoria. Dovrebbero capire che le aziende che si nutrono di lavoro povero non sono solo indecenti sul piano della dignità ma fanno dumping alle aziende sane e virtuose. Le opposizioni, a partire dal M5s, che è stato al governo per tutta la scorsa legislatura, dovrebbero raccontarci i motivi del loro risveglio tardivo. Tuttavia una posizione comune non guasta. A patto che non ci si unisca sugli slogan.
Dunque una soglia minima per un’ora di lavoro è indispensabile?
Sì. Ci sono quasi tre milioni di lavoratori che hanno una paga oraria al di sotto di qualsiasi contratto collettivo nazionale. Secondo il fisco ci sono 5,2 milioni di lavoratori che guadagnano meno di 10mila euro l’anno. Ci sarà anche tanta evasione fiscale, ma sono cifre inaccettabili. A mio avviso ci sono due problemi che hanno impedito di evitare il massacro dei salari. Il primo è che tutti i governi, al di là del colore politico, hanno depotenziato il ruolo e gli organici delle autorità ispettive.
Tutte le campagne sui controlli continui che vengono fatte vedere sono in realtà false perché i controlli sono pochi e a campione e senza interoperabilità dei dati. Il secondo problema è che il numero di contratti collettivi, inclusi quelli pirata, che in realtà non contano nulla, complica l’operazione di rilevazione delle irregolarità.
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