- Dalle modifiche al decreto benzina agli interventi contro l’illegalità. Nonostante il ministro Urso abbia tentato di dialogare personalmente con loro e abbia dato la disponibilità del governo i benzinai non si sono placati.
- «Abbiamo manifestato l’intenzione del governo di ascoltare e migliorare eventualmente il decreto, e anche di accogliere le loro richieste», ha detto Urso. Ma Fegica e Figisc vogliono vedere come saranno le nuove misure e che Salvini intervenga sulle concessioni autostradali. Faib non firma la nota ma «congela» e aspetta l’incontro di giovedì.
- «Il tutto – si legge nel comunicato dei benzinai - deve trovare collocazione all’interno di un accordo sottoscritto in sede di presidenza del Consiglio, a indicare la collegialità dell’intero governo e sottrarre la vertenza in atto a qualsiasi speculazione all’interno della maggioranza».
Le parole non bastano più, i benzinai vogliono un impegno scritto. L’incontro tra governo e associazioni di categoria è andato male anche stavolta e all’uscita è ancora previsto lo sciopero per il 25 e 26 gennaio. Il ministro Adolfo Urso ha deciso di prendere parte al tavolo tecnico con la categoria convocato al ministero delle Imprese per cercare di trovare una soluzione dopo il varo del decreto benzina, e ha detto che l’esecutivo li vuole ascoltare: «Abbiamo manifestato l’intenzione del governo di ascoltare e migliorare eventualmente il decreto, e anche di accogliere le loro richieste» al fine «di contenere ogni tentativo speculativo che possa emergere in questa filiera» ha aggiunto Urso, ma non è stato abbastanza.
Dopo l’incontro durato circa tre ore ha portato ancora a un nulla di fatto e Fegica e Figisc hanno pubblicato una nota congiunta in cui dettano le condizioni per non fermarsi. Faib parla invece di sciopero congelato e tenta toni più concilianti in attesa dell’incontro fissato per giovedì mattina.
La nota
Prima Fegica e Figisc hanno espresso la loro delusione: «Ancora oggi il governo non ha saputo o voluto assumere la responsabilità di prendere impegni concreti sulle questioni che direttamente possono incidere anche sui prezzi dei carburanti. Immaginando evidentemente di poter continuare ad ingannare gli automobilisti gettando la croce addosso ai benzinai».
Di Vincenzo fa sapere che le tre sigle incontreranno la capogruppo del Pd Debora Serracchiani e parleranno con il partito d’opposizione di tutto quello che no va. Nella nota si legge che confermano «il pessimo giudizio sul decreto». Il testo, emanato la settimana scorsa dopo le ripetute accuse di «speculazione» da parte dell’esecutivo e della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni è intervenuto sulla cartellonistica. Il testo pubblicato domenica e approdato lunedì alla Camera prevede che ogni distributore debba mostrare il prezzo medio stabilito dal ministero dell’Ambiente, accanto a quello proposto al cliente finale. In caso di violazione delle disposizioni si applica una sanzione amministrativa pecuniaria, che va da 500 euro a seimila euro. Dopo la terza violazione, può essere disposta la sospensione dell’attività per un periodo non inferiore a sette giorni e non superiore a novanta giorni.
«Pasticciato ed inefficace, a cui sarà necessario mettere mano pesantemente in sede di conversione», la prima cosa che chiedono.
Poi «abbiamo proposto con serietà al governo di assumere alcune iniziative tutte ispirate al recupero della piena legalità nel settore ed al ripristino di un sistema regolatorio certo, con l’obiettivo di adeguare efficienza e gli standard di servizio offerti agli automobilisti italiani e ottenere la proposizione di prezzi dei carburanti equi e stabilmente contenuti».
La posta è salita, non si tratta più del solo decreto: «Nel medio periodo è necessario l’avvio di un confronto che metta immediatamente in cantiere la riforma del settore volta a chiudere 7.000 impianti, che secondo una stima prudente sono attualmente nelle mani della criminalità più o meno organizzata», l’accusa durissima, che l’esecutivo fino a oggi ha accolto con il silenzio. Da lì infatti, dicono i gestori, bisogna «recuperare circa 13 miliardi di euro sottratti ogni anno alle casse dello stato e quindi ripristinare condizioni di mercato e concorrenza non drogate».
E non sui cartelli, hanno fatto notare, ma sono necessarie altre norme e sanzioni -attualmente inesistenti- «per i titolari degli impianti che non rispettano gli obblighi di legge imposti sui contratti di gestione e gli accordi collettivi, posto che almeno il 60 per cento dei gestori è senza contratto o con contratti illegali e condizioni economiche minime». Lanciano poi un messaggio a Matteo Salvini. Necessario che il ministero delle Infrastrutture e dei trasporti «apra immediatamente il confronto sul decreto ministeriale che regola le concessioni delle aree di servizio autostradali».
Un accordo scritto
E tutti i membri dell’esecutivo devono mettere il loro impegno nero su bianco: «Il tutto deve trovare collocazione all’interno di un accordo sottoscritto in sede di presidenza del Consiglio, a indicare la collegialità dell’intero governo e sottrarre la vertenza in atto a qualsiasi speculazione all’interno della maggioranza».
In attesa delle valutazioni del governo lo sciopero previsto per i giorni 25 e 26 gennaio è confermato ma a loro interessa raggiungere l’obiettivo: «Per fare emergere serietà e competenza richiesta c’è tempo fino al minuto prima della chiusura degli impianti».
Faib tende la mano, anche se «congela» lo sciopero. «Si è fatto un passo avanti. È stato un incontro molto positivo: il governo sta lavorando a soluzioni diverse rispetto al cartello, anche informatiche, che pur garantendo la massima trasparenza sugli impianti non impongano oneri quotidiani eccessivi ai gestori, disinnescando la questione delle sanzioni», ha detto Giuseppe Sperduto, presidente di Faib Confesercenti. «Sarebbe la strada giusta. Speriamo si concretizzi. Lo sciopero per noi resta congelato in attesa di un nuovo incontro al Mimit giovedì mattina alle 9.30, in cui si discuteranno questi temi». Lo stesso giorno in cui è prevista una conferenza stampa con il verdetto.
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