Alla fine della parabola berlusconiana l’Italia si trova non più liberale di prima, ma più illiberale; si trova in trincea a limitare la libertà di chi non sta dentro una determinata visione di libertà o, addirittura, di “nazione”
Si dice del berlusconismo che sia stato un bagno di liberalismo in un paese ingessato da fedi, religiose o politiche, e dallo stato. Un liberalismo popolare, anzi populista – una definizione stridula. Soprattutto in Italia, che ha avuto una fiorente tradizione filosofica liberale e una rachitica tradizione politica liberale, che l’èra del berlusconismo non è valsa a irrobustire.
Il liberalismo è stato prima di tutto una filosofia che, per non soccombere alle filosofie che predicano l’eguaglianza sostanziale, si è fatto pratica politica, e ideologia. Nel continente europeo, la storia del liberalismo è quindi cominciata nei primi anni dell’Ottocento; Jacques Mallet du Pan e Benjamin Constant sono stati tra i padri fondatori.
La lotta politica nel corso dei decenni non ne ha cambiato il carattere: il liberale non ama arringare le piazze e disdegna i partiti di massa o anche troppo affollati. In Italia il suo grande interprete, Benedetto Croce, era diffidente del suffragio universale e nell’Assemblea costituente mostrò più di un timore per la democrazia dei partiti. Era contrario a che la filosofia che si facesse partito, e anche su questo si trovò in rotta di collisione con Giovanni Gentile.
Croce teneva separata la filosofia dalla pratica, la ricerca della verità da quella dell’utile (e considerava la prima superiore alla seconda).
La “teoria dialettica o liberale della storia” combatte diverse ed opposte teorie, “la teocrazia, la democrazia o il comunismo in quanto teorie”; ma come partiti o “come fatti politici non li combatte ma li abbraccia e comprende in sè” perché la teoria liberale vive della loro lotta. Mentre la filosofia combatte una battaglia di verità che non può non escludere l’errore, questo non si addice al politico o all’”uomo pratico”, che non deve avere “la vanitosa presunzione di possedere la verità politica” e deve accettare umilmente di “rappresentare la parte”, una parte “nel dramma del mondo”.
Il liberalismo aristocratico di Croce si ferma sulla soglia dello strano liberalismo che l’Italia ha ingurgitato nei decenni berlusconiani. Che di liberale aveva quell’aspetto popolaresco massimamente disprezzato da Croce. Per il quale era “illibertà” tutto quel che da Arcore ci veniva detto e mostrato come massima espressione di libertà: “servitù agli appetiti e alle passioni”.
La libertà che è comando a se stessa, sosteneva Croce, è la coscienza morale che sa distinguere tra male e bene, giusto e sbagliato, e riconosce di non essere laddove c’è “servitù agli appetiti e alle passioni”.
Poco o nulla di questo liberalismo stoico si rintraccia nella propaganda che per decenni ha accompagnato la favola, ancora oggi ripetuta, della svolta liberale italiana, dopo Mani Pulite. Si chiedevano Giovanni Sartori e Norberto Bobbio a quale categoria politica appartenesse il proprietario di Forza Italia: l’uno andava al sultanato, l’altro al cesarismo. Per entrambi, di liberalismo vi era debolissima traccia.
L’Italia illiberale
In effetti, alla fine della parabola arcoriana l’Italia si trova non più liberale di prima, ma più illiberale; si trova in trincea a limitare la libertà di chi non sta dentro una determinata visione di libertà o, addirittura, di “nazione”.
Si trova più dominata dal “principio dell’utile”, non necessariamente quello della nazione peraltro, ma quello di una parte, che parte rimane anche quando dice di essere la vera nazione. Insomma, alla fine, l’unica battaglia del liberale “pratico” è stata la lotta ideologica contro quel che non c’era già più quando “scese in campo” e che, in Italia, non c’era mai stato – il comunismo. E per una ragione poco nobile, se vogliamo restare nel contesto crociano: per atterrare il senso del bene generale consentendo a lui e alla sua parte di perseguire il proprio; di usare il potere come un’arma per promuovere scopi privati.
Privatismo del pubblico – il più anti-crociano degli esiti. Un liberalismo per le masse, si dice. Un assurdo. La favola bella propinata nel trentennio è quella per cui l’interesse di chi sta meglio finisce prima o poi per essere nell’interesse di chi sta peggio... basta attendere... che qualche gocciolina di quel benessere giunga a rinfrescare chi sta ai bordi della piscina. Liberalismo per spettatori.
© Riproduzione riservata