La ministra dell’Università spiega anche il provvedimento sui ricercatori che la accusano di aggravare il precariato: «Confido nella buona fede dei rettori»
«Nel 2025 non ci sono tagli all’università, il fondo di finanziamento ordinario cresce rispetto al 2024. I dati diffusi dalla Crui, che parla di 700 milioni in meno, non sono veri. Da parte loro c’è solo propaganda».
Risponde così la ministra dell’Università e della ricerca, Anna Maria Bernini, alle parole della presidente della Conferenza dei rettori Giovanna Iannantuoni, secondo cui i tagli in manovra sono pesanti e il governo sta facendo troppo poco per l’università. Ospite dell’evento di Domani “Il futuro è adesso”, in scena ieri al Tempio di Adriano, Bernini ha denunciato i ritardi dei rettori, «incapaci di mettersi d’accordo per farci proposte concrete».
Bernini ha poi commentato il disegno di legge a suo nome, approvato in Consiglio dei ministri ad agosto e ora in discussione in Senato, che propone una riforma dei contratti dei precari dell’università, introducendo le borse di ricerca e potenziando il contratto “post-doc” per i dottori di ricerca. I diretti interessati, a partire dai ricercatori del Cnr, hanno protestato, sostenendo che la moltiplicazione delle figure aggrava il precariato.
«È un primo passo per provare ad affrontare il problema e fare sì che i contratti siano utilizzati in forme corrette. Ma come ministra posso solo stabilire regole generali. Poi spetta ai rettori e ai direttori dei centri di ricerca applicare queste norme nel modo migliore. Confido nella buona fede e nella lealtà di chi li deve applicare», ha aggiunto Bernini.
Secondo il rapporto presentato al Cnel dalla fondazione Nord Est, tra il 2011 e il 2023 550mila giovani tra i 18 e i 34 anni sono emigrati all’estero. E, al netto dei rientri, 337mila non sono più tornati. Tra i vari settori interessati c’è quello medico, su cui si inserisce la riforma dell’accesso alla facoltà di medicina. Una legge che può risolvere il problema della scarsità di medici?
«La riforma era necessaria ed è positiva. Il sistema dei quiz non ha mai soddisfatto nessuno e si è creato un vero e proprio business con i corsi di formazione», ha detto Paolo Miccoli, professore emerito di chirurgia e presidente di United, l’associazione delle università telematiche e digitali italiane.
«E poi, quando vanno avanti nel loro percorso, gli specializzandi si ritroveranno con stipendi più alti, dato che li abbiamo aumentati con la legge di Bilancio. Ma anche di questo i rettori si sono dimenticati», ha insistito una Bernini particolarmente polemica con la Conferenza dei rettori.
Nel panel di ieri, dal titolo “Tra pubblico e privato, l’istruzione universitaria del futuro”, si è parlato anche delle nuove regole per le università telematiche, a cui sono iscritti oltre 250mila studenti, il 13,5 per cento del totale (con un aumento del 410 per cento negli ultimi dieci anni.
Lo scorso gennaio la Lega aveva tentato di rinviare il decreto ministeriale del governo Draghi che obbligava le università telematiche – spesso accusate di essere dei “diplomifici” – ad adeguarsi agli standard qualitativi degli atenei tradizionali. Bernini ha bloccato questo tentativo, impegnandosi a cercare un nuovo accordo. Il decreto che porta il suo nome dovrebbero aumentare la qualità dell’offerta formativa, con norme sul numero di studenti per professore strutturato e sulle attività da svolgere obbligatoriamente in presenza.
Su questo si è trovato un buon compromesso? «Siamo moderatamente soddisfatti, è stato seguito il metodo giusto. Però non può essere che le università telematiche abbiano lo stesso rapporto tra studenti e docenti delle università tradizionali.
Del resto non sono università con aule fisiche», ha detto Miccoli, che presiede United, l’associazione di 7 su 11 università telematiche riconosciute dal Mur (tra cui Pegaso, Mercatorum, e-Campius e San Raffaele). «In ogni caso va superata l’idea che le università telematiche siano dei diplomifici con docenti di scarsa qualità».
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