Il gran tessitore dei dem romani: «Il Pd ribadisca che è il motore dell’unità di un’alleanza paritetica e non pretende egemonie a tavolino, esse si conquistano sul campo». Rutelli come possibile federatore? «Aiuterebbe a rimettere insieme qualche coccio»
Al successo del Pd al voto europeo «ha contribuito in modo determinante la segretaria stessa». Ormai lo dicono tutti, ma Goffredo Bettini lo aveva “previsto” nelle tante presentazioni del suo ultimo libro Attraversamenti (Paper First). «Nei mesi passati Elly Schlein ha reso più limpido il profilo politico e programmatico del Pd. Sulla lotta alle disuguaglianze, sull’ambiente e sui diritti. La campagna elettorale è stata intelligente e efficace. Siamo apparsi il voto più naturale per contrastare la destra e il governo Meloni. Infine, mi faccia dire: il pluralismo delle liste ci ha permesso di parlare a mondi diversi. Senza determinare confusione; piuttosto una ricchezza di voci che si sono virtuosamente sommate».
Nel Pd si è chiusa la stagione delle critiche alla segretaria?
Mah... il clima è stato sempre fortemente unitario nei mesi passati. A partire dal comportamento di Stefano Bonaccini, il suo contendente al congresso. Tutti hanno sostenuto il nuovo corso, anche se con accenti diversi. E tutti hanno sottolineato che la vera prova per la segretaria sono le elezioni politiche del 2026, che affronteremo con più serenità dopo il successo ottenuto. Ero fiducioso, ma nelle mie più ottimiste previsioni avevo pensato al 23 per cento. Siamo a un dato ben oltre.
Lei è buon amico di Giuseppe Conte. Come si spiega il tonfo dei Cinque stelle?
I motivi sono tanti. Per regole interne, hanno messo in campo liste deboli. Il loro elettorato, poi, è legato a battaglie concrete sul sostegno al reddito, che non sono direttamente collegate ad un voto europeo. Peraltro, la destra ha smontato alcuni obiettivi raggiunti grazie al M5s, diffondendo sfiducia, soprattutto al Sud. È emerso il problema del radicamento nei territori e l’astensionismo li ha colpiti duramente. Poi, sulla pace hanno sofferto la concorrenza di Avs, di Santoro, di alcune bellissime candidature del Pd, come quelle di Cecilia Strada e Marco Tarquinio. Conte ha reagito con serietà. Non vuole nascondere il dato, intende aprire una discussione vera. E noi dobbiamo seguire con attenzione e rispetto. Guai a dare il senso di approfittare delle difficoltà di un possibile alleato. Dopo il voto, non l’ho sentito. Abbiamo parlato qualche ora prima e mi sembrava consapevole delle difficoltà.
Il Pd ha vinto la competizione a sinistra con M5s?
In un’alleanza la competizione c’è sempre. Ci fu anche tra Ds e Margherita. L’essenziale è far prevalere l’obiettivo comune, come seppe fare Prodi. Non dire parole che feriscono e allontanano gli elettorati in modo difficilmente recuperabile. D’altra parte, l’obiettivo comune è oggi quanto mai chiaro: realizzare un campo di forze democratiche che cambi l’Europa, sulla base di principi di solidarietà, giustizia sociale, libertà e pace. Occorre tessere con la politica i fili che legano le diversità, sapendo che la destra è molto più divisa di noi. Noi abbiamo la Costituzione come fondamento della nostra ispirazione comune. I processi concreti aggiusteranno le cose in partenza non perfettamente a posto. L’importante è rimetterci in cammino.
Al centro, Matteo Renzi e Carlo Calenda si sono combattuti e azzoppati a vicenda?
Hanno subito un duro colpo; una difficoltà di ciascuno, persino caratteriale, a convivere con gli altri ha portato un’area liberale, libertaria, moderata e con ambizioni modernizzatrici a non esprimere alcun rappresentante in Europa. Un guaio per un elettorato tradizionalmente presente nella storia repubblicana e indispensabile per un’alternativa, costretto a rimanere muto, disorientato e disperso, se non cambia qualcosa.
E il centrosinistra a restare monco e non competitivo contro la destra. Serve “un” Rutelli, come federatore, o proprio Francesco Rutelli?
Quando nel mio libro ho parlato per primo di Rutelli, mi riferivo al dispiacere che un talento come il suo avesse scelto da tempo di rimanere ai margini dell’impegno politico. Tanto più dopo il voto, lui e altri – non mi permetto di avanzare nomi – potrebbero essere importanti nell’aiutare a rimettere insieme qualche coccio. Ma questo dipende da tanti fattori, che non sono alla mia portata.
Sul voto di Roma e Lazio, è stata la prima corsa che Nicola Zingaretti fa senza di lei, dopo un sodalizio lunghissimo. C’è stata una grande affermazione di Dario Nardella e Matteo Ricci. Cosa dice questo voto?
Più che un sodalizio lunghissimo, una vita intera insieme. Ma in questo passaggio Nicola non aveva bisogno di me. Ero certo della sua elezione. La direzione regionale e quella romana hanno indicato lui e Schlein come le preferenze da esprimere, lasciando libera la terza. Mi è sembrato giusto sostenere, oltre alla segretaria, Matteo Ricci: uno straordinario amministratore e un politico popolare e colto, di una generazione più giovane. Ha ottenuto un risultato eccezionale che, insieme a Decaro, Bonaccini, Gori, Nardella e altri, conferma quanto sia indispensabile per il Pd l’esperienza degli amministratori capaci. E Tarquinio: un giornalista e intellettuale cattolico che ha testimoniato come valore assoluto l’obiettivo della pace. L’ho visto un po’ solo e sono felicissimo di essere stato tra i pochi a spendermi per lui; è stato eletto per un soffio dopo una campagna elettorale bellissima, intransigente, povera, e contrastata da più parti.
Nel 2014 il Pd ha preso persino il 40 per cento. Poi però non ha vinto alle politiche: può farlo stavolta?
Non ho la ricetta. Suggerisco qualche mia impressione. La segretaria continui così: pensi con la sua testa e segua il suo intuito. Ha funzionato. Consideri, allo stesso tempo, senza sospetto il pluralismo delle idee. Lo incoraggi e ne tenga conto. Il Pd o è questo o non è. Bandisca le strutture di potere verticale, o chiuse nei territori, che significa valorizzare aree di pensiero e chiamare gli iscritti a decidere sui temi fondamentali, ogni volta mischiandosi diversamente. Ribadisca che il Pd è il motore dell’unità di un’alleanza paritetica e non pretende egemonie a tavolino, perché esse si conquistano sul campo. Infine, che le ingiustizie, il lavoro povero, i colpi allo Stato sociale, le condizioni di vita delle persone sono sempre più un problema democratico; devono essere affrontate rompendo lobby e compatibilità finora inamovibili, egoismi e volgari ostentazioni di ricchezza. L’Italia si sta spezzando in due. La nostra missione è ricomporla.
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