L’eminenza grigia del Pd inaugura il suo think tank («non è una corrente») per rafforzare il lato sinistro della maggioranza. Alla prima riunione i ministri Gualtieri e Manfredi, Smeriglio e il padre nobile Mario Tronti
- Presto un manifesto, una rivista e una scuola di formazione politica. Il principale consigliere di Nicola Zingaretti stavolta prende l’iniziativa in prima persona.
- Un «contributo costruttivo ma non reticente» al governo Conte, «l’unico possibile», l’alternativa è un «crollo catastrofico» o «un governo di unità nazionale, sarebbe mortificazione della politica».
- «Recuperare il popolo perduto», far incontrare socialismo e papa Francesco. Per farlo serve uno schema «proporzionale con sbarramento al 5 per cento, dove ognuno dei partiti del campo democratico si esprime fino in fondo». Guardando M5S.
«Non è una corrente e non è una catena di comando». La premessa di Goffredo Bettini, appena accende lo schermo, è un caveat. Una regola d’ingaggio. Il padre nobile del Pd, quello che fin qui è stato il principale consigliere della segreteria di Nicola Zingaretti, stavolta prende l’iniziativa in prima persona. Ha chiamato a discutere in una riunione online di certo non segreta ma di sicuro riservata, nomi e figure di quella che lui stesso definisce «un’area politico-culturale pluralista, composita, di sinistra, riformatrice, interna e esterna al Pd». Un think tank che presto scriverà un manifesto e si doterà di una rivista e di una scuola di formazione politica. Ma non vuole essere solo – si fa per dire, di questi tempi – un pensatoio, un luogo di riflessione e analisi, piuttosto «un’area di iniziativa politica e di battaglia» nei passaggi politici e sociali in vista. Non è in discussione il governo Conte, «l’unico governo possibile», l’alternativa sarebbe un «crollo catastrofico» o «un governo di unità nazionale che sarebbe mortificazione della politica». Ma sul governo Bettini vuole dare «un contributo costruttivo ma libero e non reticente». Serve chiarezza, spiega: in una parte del Pd e della maggioranza c’è una pericolosa confusione: c’è chi chiede rimpasti impossibili. E allora: «O si manda tutto all’aria o per arrivare a fine legislatura si trova la forza di un compromesso trasparente dinanzi ai cittadini».
Ministri e non solo
Il progetto è alle prime battute, la riunione è ufficiosa, ma già annovera fra gli altri e le altre il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, quello dell’Università Gaetano Manfredi, il sottosegretario Roberto Morassut, l’europarlamentare Massimiliano Smeriglio, gli ex parlamentari Enrico Gasbarra, Ileana Argentin, Lionello Cosentino, Marcella Lucidi, Claudio Mancini, e l’ex presidente della Toscana Enrico Rossi. L’idea è di rimettersi «nel solco dell’esperienza iniziata con la segreteria di Zingaretti e di Piazza Grande», e cioè quella di un partito che si apre alla società e che le vicende successive al congresso, soprattutto l’ingresso al governo, ha rallentato. Bettini sostiene Zingaretti. Ma invita il Pd a decidere cosa vuole fare da grande. «Sul piano politico si è risollevato, ma le vittorie e le soddisfazioni non devono portare a inutili euforie. La destra resta rocciosa, bisogna aiutare il Pd a uscire dalla dimensione dell’emergenza, a darsi un’analisi, un profilo, a scegliere cosa vuol essere nella società italiana». Bettini riparte da lontano, dal triennio ‘89-92, quello della sinistra che ha usato «parole spente» e ha «accompagnato e non contrastato il disorientamento». Ma l’analisi precipita nel presente. Ha creduto nella vocazione maggioritaria dell’èra veltroniana – per meglio dire l’ha inventata – ma «allora c’era l’illusione, o la possibilità, di uno schema bipartitico. Oggi è spazzata via», ora bisogna «recuperare il popolo perduto, tornare a una proposta popolare». Caduto il mito del «riformismo dall’alto», serve un nuovo incontro fra «socialismo e cristianesimo», quello di papa Francesco. Ma per farlo oggi serve uno schema «proporzionale con sbarramento al 5 per cento, dove ognuno dei partiti del campo democratico si esprime fino in fondo». Lo sguardo si allarga ai Cinque stelle.
Di un patto «per un nuovo diritto alla vita, sanità, lavoro ed economia», parla Gasbarra. Di «unire le culture politiche del riformismo italiano, tutte necessarie ma nessuna sufficiente», parla anche Gualtieri, che trova uno spazio nella sua fitta agenda di giornata perché «non è paradossale trovare tempo per alzare lo sguardo rispetto alla gestione di un’emergenza particolarmente convulsa e riflettere sulle prospettive del Pd e dell’Italia, cogliere la portata delle trasformazioni in atto» accelerate dalla pandemia. Siamo alle soglie di un nuovo ruolo delle stato, ora che l’Europa «smette di essere una moneta e diventa uno spazio sociale e politico. La lezione della crisi è stata colta: mentre i giornali italiani parlano i Sussidistan il Fondo monetario ci dà ragione». Serve una «sovranità e un’indipendenza europea», spiega Smeriglio, che non è del Pd, «vale quando dobbiamo confrontarci con la Turchia, ma anche sulle acciaierie e sulle piattaforme strategiche», «il Recovery fund consegna al pubblico la possibilità di programmare un nuovo modello di sviluppo». Ma non è un ritorno al passato: «Diamo attenzione anche alle esperienze irregolari. La discussione deve essere autonoma, meno vincolata alle compatibilità anni Novanta», e cita il modello spagnolo di tassazione dei patrimoni. «La sinistra a chi deve parlare? Fca e Confindustria non sono maggioranza nella società, c’è l’impresa molecolare, ci sono i non garantiti», «vocazione maggioritaria significa una coalizione progressista, civica e ecologista». Perché «non serve un approccio partitico», avverte il ministro Manfredi, «ma una visione innovativa e risposte complesse al cambiamento profondo di cui pandemia è acceleratore. Il mondo che troveremo alla fine sarà molto diverso».
Ritorno alla politica
Insomma serve tornare alla politica «di cui non si parla più, pressati da uno stato di eccezione», conclude provvisoriamente Mario Tronti, padre dell’operaismo italiano, «serve aggregare forze, partire dalla considerazione che fuori dai partiti c’è molto di più di quello che pensiamo», ripartire dagli anni ’80, dalla trasformazione del capitalismo moderno «che ha spiazzato le sinistre occidentali», «negli anni ’90 ci si è crogiolati nel pensiero del nuovo inizio. E da lì è iniziata una deriva inarrestabile verso una sinistra elitaria che si identifica nell’establishment. Si è spezzato il rapporto fra la sinistra e il popolo. La sinistra non sa più chi è il proprio referente sociale e neanche chi è l’avversario vero», «Questo Pd così com’è non va», deve «puntare ad una sinistra popolare che si scrolli di dosso l’immagine di élite brava a governare ma non a gestire i conflitti. Le contraddizioni della storia contemporanea non vanno abbandonate a sé stesse altrimenti a gestirle saranno le forze di destra». Obiettivo, insomma, volare alto. Ma anche per irrobustire il lato sinistro della maggioranza.
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