- «Oggi il parlamento deve dire no all’escalation degli armamenti. Ed esprimersi su quando parte davvero la diplomazia».
- «Il Pd è di centrosinistra. Art.1 è stato un tentativo per tornare nel Pd con maggiore capacità di contrattazione. La sinistra francese ha interpretato un disagio sociale che sarebbe andato a destra. In Italia c’è qualcuno che ha voglia di porsi questo problema?»
- «La commissione antimafia serve ancora. Non abbiamo mai parlato di impresentabili, si presentino pure. Ma i cittadini devono essere informati. Se non ci sono più le comunità politiche che selezionano la classe dirigente, non resta che la conoscenza dei casi».
Rosy Bindi ammette che nel momento dell’emergenza, quando il parlamento ha detto sì al primo invio di armi in Ucraina, non sa quello che avrebbe votato. Ma ora è diverso, secondo l’ex ministra. «Sembrano passati anni luce dall’inizio della guerra, perché in guerra un giorno vale anni, macerie, morti. Oggi dobbiamo dire no all’escalation degli armamenti»
Il 21 giugno il parlamento dovrebbe dire no a nuovi invii di armi?
Sì. E soprattutto il parlamento dovrebbe esprimersi su quando parte davvero la diplomazia. Si vedono tentativi, telefonate, ma non un’azione vera per il cessate il fuoco e avviare una trattativa. E poi come il parlamento pensa al futuro? Dalle guerre si esce se c’è un progetto per il dopo. E qui l’Italia e l’Europa dovrebbero esercitare un ruolo da protagonisti.
Draghi è andato da Biden, non è cambiato niente?
Draghi a Biden ha detto parole chiare per la pace. E questo ha influito, almeno nei toni di Biden, che però poi ha stanziato 40 miliardi per le armi. Italia, Francia, Germania e Spagna devono prendere un’iniziativa e darsi, almeno loro, un coordinamento di politica estera. L’Europa deve diventare un soggetto politico autorevole per fermare il conflitto e ricostruire il futuro, che preveda anche un nuovo rapporto con la Russia.
La maggioranza è divisa, Salvini ha un attivismo opaco con la Russia. Anche l’Italia ha un problema con la politica estera?
Salvini fa Salvini, nei rapporti con Putin non si smentisce. Anche se non credo che sia in grado di trarre le conseguenze sulla durata del governo. Ma certo, non c’è possibilità di dialogo anche con la Russia se non c’è chiarezza sui rapporti con le forze politiche dei paesi europei. Quello di Salvini non è un problema di sgrammaticatura istituzionale, se ci fosse un La Pira io le sgrammaticature le accetterei volentieri. Salvini dimostra che il suo cordone ombelicale con Putin non l’ha rotto. Questo è un problema anche per la democraziafutura nei nostri paesi.
Intende nel caso in cui la Lega vincesse le elezioni?
Sì, nessuno può pensare che la crisi che la guerra sta provocando in Italia e in Europa non rischi di avere conseguenze anche sui sistemi politici.
La guerra scava distanze anche nell’alleanza giallorossa. Si riuscirà a ricostruire un centrosinistra?
Riescono persino a strumentalizzare un tema tragico come la guerra. C’è chi lo fa in maniera più palese, Conte sicuramente, ma lo fanno un po’ tutti. Quanto al Pd, nessuno ha dubbi di stare dalla parte degli aggrediti, ma serve una parola chiara su come si deve stare da questa parte. Ma sulla ricostruzione del centrosinistra I problemi sono altri. Un confronto di progetti politici ancora non c’è. Non si costruisce un’alleanza sui numeri, che peraltro sono poco rassicuranti. Manca una visione di futuro. E così è più facile costruire divisioni e tatticismi sui singoli problemi. È chiaro che le coalizioni si praticano fra diversi che però costruiscono un obiettivo comune. Ma appunto manca il disegno comune. Se tutto si misura nell’emergenza, le differenze esplodono e sembrano incolmabili.
Letta non sta lavorando bene al campo largo?
Io dico quello che secondo me manca e al quale la sinistra italiana dovrebbe dedicare energie. Tutta la sinistra. All’orizzonte c’è la vittoria del centrodestra, e non perché lo dicono i sondaggi, ma perché non sento parole chiare sulle grandi sfide di questo tempo da parte della sinistra. Si sentono solo polemiche quotidiane.
La coalizione in realtà ad ora è incerta.
E infatti. Io sono nata con il maggioritario, con il Mattarellum, ma in questa fase penso che il proporzionale farebbe bene alle forze politiche. Ma l’incertezza sul fare o non fare la riforma elettorale non aiuta a costruire la coalizione.
Con il proporzionale la coalizione non ci sarebbe.
Ma ci sarebbe una spinta alla chiarezza da parte di tutti. Oggi di fatto il Pd non racconta al paese la sua visione del futuro. Anche nel Pd ci sono tante divisioni. Ma non sapendo con chi si vuole davvero costruire l’alleanza, e se la si vuole costruire, il campo largo è tutt’altro che scontato. E quest’incertezza prolungata costringerà ad accordi finali affrettati.
C’è chi lavora a che resti Draghi dopo il ‘23. Sarebbe un bene?
Se non hai un progetto per il futuro, la continuità del presente è una tentazione rassicurante. Io sogno un paese in cui torna chiaro il confronto fra il centrosinistra e il centrodestra. Comunque Draghi ha ancora un anno di lavoro. E alcune incertezze non ce le possiamo permettere. Non si può mettere in conflitto il salario minimo con il reddito di cittadinanza, due strumenti di lotta alla povertà, mentre non si parla di lotta all’evasione fiscale. La Confindustria in questo momento ha posizioni irricevibili. Con le tasse si finanzia il welfare, e il governo non può non comunicare la consapevolezza della crescita delle diseguaglianze. Non è accettabile l’aumento delle spese per le armi mentre il Fondo sanitario di fatto diminuisce e così le risorse per la scuola.
Renzi e Calenda sono nel centrosinistra?
Devono rispondere loro. Prima o poi si faranno i conti con il consenso reale, e sarà la risposta ai problemi di composizione della coalizione. Ma quello che manca è una forza di sinistra plurale.
C’è stato il tentativo di Sinistra italiana, e di Art.1.
Art.1 è stato un tentativo per tornare nel Pd con maggiore capacità di contrattazione. Ma guardiamo alla sinistra francese che ha permesso la vittoria di Macron: ha interpretato un disagio sociale che sarebbe andato a destra. C’è qualcuno che ha voglia di porsi questo problema in Italia? Molto astensionismo è legato anche a questo.
Voterà i referendum?
Voterò, contesto l’astensionismo come arma politica. Voto cinque no convinti.
Non c’è un enorme problema giustizia in Italia?
Sì, ma non lo risolvono quei quesiti. Il parlamento sta lavorando a una riforma. Non mi entusiasma ma quella è la sede propria. E la legge Severino va corretta, ma non cancellata.
Da ex presidente, dalla Commissione antimafia presto stilerà le liste degli “impresentabili”. Non bastano le leggi?
Nelle nostre regole elettorali mancano meccanismi di trasparenza. Non c’è accesso al casellario giudiziario, né una banca dati dei candidati, le commissioni elettorali che devono fare le verifiche hanno poche ore e pochi strumenti. Noi a suo tempo abbiamo individuato candidature che non rispettavano neppure la Severino. È un diritto del cittadino sapere chi va a votare, conoscere la sua situazione giudiziaria.
Un rinviato a giudizio è comunque un innocente.
Ma è un imputato, ha in corso un provvedimento per un reato grave. Non può aspettare a candidarsi? Nelle piccole amministrazioni la forza della mafia è la complicità esterna che incontra. La mafia di oggi uccide meno ma non è meno forte, perché sono più diffuse corruzione e illegalità.
Ripeto, senza una sentenza, almeno una, il rischio è l’arbitrarietà e la giustizia mediatica.
Noi non abbiamo mai parlato di impresentabili, si presentino pure. Ma i cittadini devono essere informati. Il problema non è della giustizia, è della politica. Ma se i partiti non ci sono più, se non ci sono più le comunità politiche che selezionano la classe dirigente, non resta che la conoscenza dei casi. Non si può restare indifferenti, soprattutto al sud, rispetto a certi sistemi clientelari. Il clientelismo, che trasforma i diritti in favori, è uno dei più grandi varchi del voto di scambio mafioso.
Eppure voi ex dc avete appena tessuto le lodi Ciriaco De Mita, sindaco di Nusco, che non faceva mistero di avere una “clientela”.
De Mita ha provato fino alla fine a dare alla politica una dimensione culturale. È morto come sindaco di Nusco, ma era molto altro. E se curi il rapporto con il tuo elettorato non necessariamente fai clientelismo. Il politico deve trovare soluzioni generali a problemi particolari, non il contrario. C’è un modo trasparente di farlo: se uno ti chiede perché una pratica è ferma in un ministero e tu fai un’interrogazione, non è traffico di influenze, è un modo per smuovere la macchina amministrativa. De Mita era un parlamentare del proprio territorio con una visione politica nazionale e internazionale.
© Riproduzione riservata