- «Abbiamo fatto scelte nette, per questo dicono che siamo troppo di sinistra. Ma siamo pragmatici», dice Lepore, il candidato strafavorito del centrosinistra. Da destra Battistini manda segnali di pace, ma è ostaggio dei conflitti fra Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Il ruolo dei moderati, quello dei riformisti. E quello di don Matteo (Zuppi).
- Il senatore forzista Cangini: «Paradosso tutto bolognese per cui l’establishment lancia sulla scena politica, nel ruolo di sindaco già deciso, il candidato più di sinistra. Avere sindaci deboli è funzionale all’establishment e l’establishment è Unipol».
- L’imprenditore Bernardi: «Qui si vive bene, ma la qualità di vita di una città non può essere disgiunta dalla sua crescita altrimenti tornano alla mente quei due aggettivi del cardinale Giacomo Biffi, “sazia e disperata”, che sono terribili.
Di che colore diventerebbe “Bologna la rossa”, già, sempre rossa nelle fantasie collettive nazionali, se si buttasse ancora più sinistra, come preconizzano con una smorfia di dolore quelli che non voteranno il candidato Matteo Lepore? È un dilemma politico-cromatico quello della vigilia del voto amministrativo del capoluogo emiliano. Il candidato del centrosinistra è dato come ultrafavorito. Ieri il primo confronto con lo sfidante del centrodestra, Fabio Battistini, imprenditore di una piccola azienda di componenti per l’industria, è un civico sempre più apertamente ostaggio dei conflitti fra i partiti della coalizione. Nelle ultime settimane manda segnali di una futura opposizione collaborativa e cerca di evitare di stringere la mano al leghista Matteo Salvini, quando viene in città. Lega e Fratelli d’Italia sono impegnati in una sfida all’ultimo voto che ormai imbarazza Battistini, il civico e moderato.
La vera suspence del risultato sarà la distribuzione dei voti nel centrosinistra.
C’è chi dai numeri si aspetta di dimostrare che l’alleanza con il M5s è un destino «ineluttabile» (copyright Dario Franceschini). Chi invece tenterà di dimostrare che gli accordi non erano necessari a vincere. Cresce il ruolo di Massimo Bugani, capogruppo del Movimento in comune, già ultrà di Casaleggio e ora convertito sulla via giallorossa, ormai uomo chiave della coalizione. Sull’altro lato, la domanda è: Lepore ha scientificamente rinunciato al voto moderato per fare della rossa una città rossissima? Lo temeva, per esempio, Pier Ferdinando Casini (al suo ultimo giro eletto a Bologna nelle liste del Pd), alla vigilia delle primarie a cui non ha votato né Lepore né la renziana Isabella Conti, sindaca di San Lazzaro di Savena: «Non credo che il voto moderato interessi a nessuno dei due».
I candidati e gli epurati
C’è un fatto che racconta un pezzo di questa storia. L’interpretazione però è controversa. Il fatto è che nelle liste del Pd non ci sono esponenti di Base riformista, la corrente “moderata” degli ex renziani di Lorenzo Guerini e Luca Lotti, che alle primarie si era schierata con la candidata renziana. La versione degli esclusi è senza mezzi termini: «Siamo stati epurati». La versione dei leporiani è: «A loro spettavano due posti. E invece hanno fatto la prova di forza: ne hanno pretesi tre, “prendere o lasciare”». Terza versione, di un dirigente di una corrente non direttamente impegnata nello scontro: «Si è trattato di un regolamento di un conto antico, che risale alla notte del 26 gennaio 2018. Quella in cui Renzi, e i renziani, cancellarono dalle liste delle politiche proprio alcuni dirigenti bolognesi».
Del resto chi detesta Lepore lo descrive come l’uomo d’apparato, algido, allevato alle liturgie di partito, all’ombra dei “poteri forti” emiliani, garante del sistema cooperativo – un suo grande sponsor è il presidente di Unipol Pier Luigi Stefanini – quindi l’uomo della continuità, che qui significa la tranquillità degli affari. Una immagine che non combacia con quella descritta dalle cronache delle primarie, il 20 giugno scorso: in quel caso era invece un outsider, un radical chic, uno scapigliato amico dei centri sociali e della sinistra-sinistra; in contrasto antropologico con la sfidante renziana. Qualsiasi sfumatura di rosso sia la sua, vinte le primarie, Lepore ha composto una coalizione molto rivolta a sinistra. Pd a trazione gauchista, e sette liste: Europa Verde, la civica Matteo Lepore Sindaco, Anche tu Conti, M5s 2050, Coalizione civica Bologna – Coraggiosa ecologista solidale e Psi-Volt. Perché, spiega lui, vuole fare di Bologna «la città più progressista d’Italia».
Silvia la rossa (e perdente)
Questo però era l’intento anche di Silvia Bartolini quando, nel 1999, vinse le prime primarie della storia della sinistra italiana. Per lei fu un plebiscito: i suoi tre avversari il diessino Maurizio Cevenini, il verde Giorgio Celli e l’outsider del Movimento per l’Ulivo Giuseppe Paruolo, si spartirono uno stitico 20 per cento. Bartolini era stata una giovane consigliera comunale comunista. Poi assessora nella giunta di Renzo Imbeni.
La sua vittoria, capolavoro politico dell’allora segretario della Quercia Alessandro Ramazza, al voto si trasformò nel diluvio universale. Per la prima volta dal dopoguerra la rossa si arrendeva alle destre guidate del macellaio figlio di macellai e presidente dei commercianti Giorgio Guazzaloca. Gli allora “democratici” di Romano Prodi avevano chiesto a Bartolini di non fare patti con Rifondazione comunista – solo alla fine arrivò una tiepida indicazione di voto – e un fedelissimo di Prodi, Gianni Pecci, già direttore di Nomisma, disse pubblicamente «voterò per Guazzaloca». Una mandria di Asinelli e una pattuglia di popolari si ricostruì, facendo mancare il voto. Storie maledette della sinistra, come quella dei “101” che bocciarono Prodi al Colle nel 2013. Oggi è tutto diverso eppure Bartolini a sinistra è stata la prima “vittima” della rincorsa al centro. Oggi dirige la casa di riposo per artisti della Fondazione Lyda Borrelli, e non vuole tornare su quel trauma. Sul presente, solo una battuta: «Non mi sembra che il programma di Lepore sia quello del Subcomandante Marcos». Dice tutto.
Sardine e Coraggiose
«Se troppo a sinistra vuol dire contrastare ogni forma di diseguaglianza», spiega Elly Schlein, vicepresidente della regione e madrina della lista più a sinistra in sostegno del candidato, «sostenere i giovani e le donne che sul lavoro sono le fasce più colpite dalla pandemia perché più precari sono i loro contratti, assicurare il diritto universale alla casa, tutelare le nuove forme di lavoro, moltiplicare i presidi sanitari e sociali nei quartieri, investire sui nidi, e accompagnare una conversione ecologica che sia conveniente e produca nuovo lavoro e nuova impresa di qualità senza lasciar indietro le persone più fragili, beh, allora sì, siamo molto a sinistra. Ma è ciò che serve dopo il duro impatto di questa pandemia. Io sono convinta che con una candidatura seria come quella di Lepore e una maggioranza ampia ma che condivide un progetto sul futuro della città, si possa governare bene anche partendo da sensibilità diverse. Del resto qui la nostra coalizione è compatta».
Simona Lembi, consigliera comunale uscente, e instancabile attivista femminista (alla festa dell’unità che si è appena conclusa ha organizzato una favolosa reunion di tutte le generazione del femminismo bolognese): «Lepore ha sempre lavorato per cucire e includere, a favore della più ampia e larga alleanza di governo della città. Così come non manca, nel Pd una cultura politica moderata, anche a Bologna il Pd è più che mai plurale». Plurale, anche troppo, secondo Stefano Bonaga, filosofo, ex consigliere indipendente ed ex assessore, appassionato della sua città e di quella che chiama «la funzione della cittadinanza». È stato uno dei primi consiglieri del movimento delle sardine che però ormai lo ha deluso perché, finendo a farsi elegere nelle liste – si è candidato il leader Mattia Santori – «dimostrano di non aver capito che la funzione della cittadinanza, potenza sociale attiva e sorvegliante, è il contrario e molto più che sostituirsi alla politica».
Con Bonaga torniamo alla questione dei moderati. Intanto altro che rossa, «Bologna è ben moderata», sbuffa, e anche per questo a suo giudizio non c’era alcun bisogno di invitare Italia viva a partecipare alle primarie: «È inspiegabile il motivo per cui hai dovuto trasformare una voce dell’uno virgola qualcosa in una candidata (Conti, ndr) che pesa per il 40 per cento. È inspiegabile perché si è voluto accreditare Renzi e perché si creda che ci sia bisogno di renziani in giunta e in consiglio».
Riformisti e conservatori
Opposte frizioni. Dall’altra parte, fuori dalla coalizione, ci sono “moderati” che menano senza moderazione. «Lepore è una candidatura coltivata in vitro da una persona che si chiama Pierluigi Stefanini e fa il presidente di Unipol», attacca Andrea Cangini, senatore forzista di area liberal, direttore del Resto del Carlino dal 2014 al 2018, bolognese d’adozione, ha vissuto a lungo qui e ha sposato un’elegante signora bolognese. Il suo nome è stato in ballo a lungo nel centrodestra, aveva raccolto anche consensi di peso (come quello dell’ex presidente di Manutencoop Claudio Levorato). Ma poi è stato fermato dal diktat salviniano: serviva un civico. Tradotto: un nome non competitivo, uno che non offuscasse i risultati della leghista Lucia Bergonzoni alle regionali del 2020. I guai della destra.
A sinistra secondo Cangini «c’è un paradosso tutto bolognese per cui il mondo della finanza, del potere, dell’establishment finanziario tendente alla globalizzazione lancia sulla scena politica, nel ruolo di sindaco già deciso, il candidato più di sinistra che poteva esserci. Perché avere sindaci deboli è funzionale all’establishment e l’establishment è Unipol, che da sempre sceglie sindaci deboli e poi li sottopone al voto per mera ratifica. Così la situazione della città tende a peggiorare», «oggi c’è un sistema di potere decrepito», «si vantano di avere un avanzo nel bilancio comunale: se non hai progetti, usalo per tagliare l’Irpef o la pressione fiscale, ma non tenerli fermi perché sono soldi buttati». Sulle liste di Lepore: «Coalizione civica è ferma agli anni Settanta, c’è una sottocultura estremista che sostiene Lepore, per cui l’illegalità non è illegalità e l’ordine non è necessariamente un bene».
Parla il favorito
Lo chiediamo a lui, dunque. Classe 1980, laurea in Scienze politiche, un’esperienza in Legacoop, assessore e vicino al sindaco uscente Virginio Merola. Si è buttato troppo a sinistra, assessore?, lo dicono, non sempre apertamente, anche alcuni suoi compagni di partito. «Abbiamo proposto un programma per la città più progressista e democratica d’Italia. E su questa scelta chiara abbiamo costruito una coalizione larga, la più larga delle città al voto. Ma tenendo il punto: il Pd per noi deve essere il baricentro di un progetto progressista, da questa pandemia noi dobbiamo uscire con una nuova sinistra. Per fare questo occorre un posizionamento chiaro del Pd che negli ultimi anni è tornato oltre il 40 per cento nelle periferie. Non siamo più il partito della Ztl perché finalmente abbiamo detto chi volevamo rappresentare, cioè le persone che lavorano, i ceti produttivi, le fragilità. Con questo profilo netto abbiamo vinto le primarie, e su questo profilo netto si è costruita la coalizione con M5s ma anche con Italia viva, che con noi c’è a differenza di altre città». Quanto ai moderati «ci sono mondi moderati, penso all’ex ministro Gianluca Galletti, che all’inizio erano critici sulla mia candidatura ma alla fine hanno deciso di proporre persone nella mia lista civica. Dunque ho dimostrato di saper unire sia la sinistra che i moderati. Chi nel Pd sostiene che io non sia in grado di raccogliere il consenso della parte moderata della città a oggi mi pare che abbia avuto torto».
Ce l’ha con i riformisti di Base riformista? «Le correnti del Pd hanno generato un dibattito fittizio. Non c’è nessuna città più riformista di Bologna. Bologna ogni anno attira migliaia di italiani che vengono a vivere per motivi di studio e lavoro. Noi a queste persone abbiamo offerto i nidi, abbiamo realizzato le prime aree artigianali del paese, promosso gli enti di formazione che sono la vera richiesta di Confindustria per il sostegno alle attività produttive. Bologna è sempre stata solida nei valori, ma ha sempre proposto soluzioni concrete. Lezioni di riformismo francamente non me le faccio dare da una corrente di partito che si chiami Pippo o Paperino. Qui da noi Confindustria anni fa ha fatto per prima un accordo con i sindacati e le istituzioni per neutralizzare il jobs act: perché invece di licenziare qui in Emilia-Romagna abbiamo preferito formare per assumere. Quindi qui c’è un modello pragmatico che tiene insieme me come Stefano Bonaccini. Non ci siamo mai soffermati a discutere di correnti ma di cosa volevamo fare per i nostri cittadini».
Il sogno che manca
Eppure c’è tutta una parte della città che guarda con «preoccupazione al dibattito politico». Sono le parole che usa Francesco Bernardi, ingegnere nucleare, fondatore e proprietario di Illumia, società del settore energia, profondo conoscitore dell’anima di Bologna e animatore dell’associazione Incontri Esistenziali. «Questa città ha un cuore che batte a sinistra, con una maggioranza fra il 60 e il 70 per cento, quindi amplissima. Ma dentro questa sinistra ci sono fermenti come la recente vicenda del ritiro del capolista o l’epurazione di alcuni dissidenti», il riferimento è a Roberto Grandi, capolista per Lepore, in attesa di giudizio per l’incidente d’auto che portò alla morte del giovane Matteo Prodi. La famiglia Prodi per bocca del cugino Lorenzo ha contestato pubblicamente la scelta del suo nome e Grandi si è ritirato: «Questa vicenda in un tempo passato si sarebbe risolta prima, in stanze chiuse, o non sarebbe successa. Segno di una certa confusione dentro il Pd». Sul candidato: «Matteo ha fatto un incontro in azienda qui da noi, è un giovane in gamba con un’ottima conoscenza della città, forse non è un trascinatore di folle, ma padroneggia bene i dossier».
E i moderati? Qui a Bologna sono di tipo particolare: «Lo slogan di Guazzaloca era “non c’è nulla da cambiare ma si può migliorare”. Quelli diciamo “alla Casini”, che dal punto di vista elettorale pesano poco, ora sostengono Lepore. Gli altri voteranno Fabio Battistini, una persona seria e mosso da una sincera idealità, ma senza troppe illusioni di poter vincere». Il problema è più di fondo, di prospettiva: «La città deve ritrovare una sua vocazione. Bologna vuol essere il migliore ristorante d’Europa? Il migliore ospedale, la migliore università, la migliore officina? Vuol essere la San Francisco europea? Ci vuole un’immagine forte che ci rappresenti nel mondo e poi ad essa collegare tutto il resto. Lepore ha detto che la città è in crescita. Spero che abbia ragione perché a me risultava invece che Bologna ha un saldo demografico negativo, con il numero di anziani e vecchi in costante aumento. Certo, a Bologna si vive bene, ma la qualità di vita di una città non può essere disgiunta dalla sua crescita altrimenti tornano alla mente quei due aggettivi del cardinale Giacomo Biffi, “sazia e disperata”, che sono terribili. Come può accadere che la facoltà di ingegneria del nostro ateneo non abbia relazioni importanti con l’industria bolognese del packaging? Contraddizioni analoghe le vediamo ovunque perché la politica locale, a mio avviso, deve anzitutto accorgersi che manca un sogno unificante, qualcosa che dia sapore a tutto. È per questo che negli ultimi anni in città il cardinale è diventato sempre di più un riferimento per tutti. Il cardinale Zuppi non ha compiti amministrativi ma ha ben capito che ha ragione Antoine de Saint-Exupéry quando dice che se vuoi insegnare a un maestro d’ascia a costruire delle navi non devi insegnargli a tagliare il legno ma devi suscitargli la passione del mare».
Il cardinale
Il cardinale Matteo Maria Zuppi è l’arcivescovo della città nominato da papa Francesco ed è un protagonista del dibattito culturale e non solo spirituale di Bologna. “Don Matteo” è stato capace di entrare in sintonia con le tante anime diverse della città, dagli industriali ai fragili. A lui si riferisce anche Alessandro Bergonzoni, autore, attore, geniale costruttore di infiniti mondi tramite parole e «elenchi babelici».
«Trascendi e sali» è il titolo dello spettacolo ieri tornato in scena a Bolzano. «Bologna non ha solo un centro storico con la Ztl ma è una Ztv “zona tanti volontari”», ci racconta, «la politica è l’angolo ideale della tela che il “ragno” – Bologna – tesse da tempo. Il cittadino fa sua l’apertura e la visione della giunta di sinistra, la politica, attiva, passa a noi consapevoli di essere chiamati a risolvere in prima persona quello che non può fare un comune da solo. Il terzo settore sembra il primo diventando così la cultura di una città. La salute e la cultura ne sono parte, come la chiesa, nella figura del nostro cardinale e della Caritas. Siamo famosi per come si mangia? Certo: duecentocinquanta pasti al giorno delle Cucine Popolari per i poveri».
A usare Bergonzoni come cicerone, virgilio, bussola, accompagno di cronisti ciechi, in realtà si rischia di vedere la parte più bella della città, gli appuntamenti delle cucine popolari, il giornale distribuito dai senzacasa. E l’università che si spende per riavere il suo studente Patrick Zaki, detenuto al Cairo. La sua professoressa di inglese, Rita Monticelli, è candidata capolista del Pd: «Insegno e imparo dalle studentesse e dagli studenti a combattere le discriminazioni e le disuguaglianze che la crisi ha acuito, anche a Bologna», ci spiega.
Fronte dei sindaci
Bologna laboratorio, sempre. E così anche Lepore guarda al weekend di san Petronio – si vota il 3 ottobre, il santo patrono è il 4 – ma anche molto più avanti. «Abbiamo lavorato per avere una coalizione larga. Durante le regionali Bonaccini aveva già teso una mano ai Cinque stelle, ma non era stato possibile. Oggi i tempi sono maturi. Con loro, come con Coalizione civica, con Elly Schlein o i verdi, negli ultimi tre anni in realtà abbiamo votato insieme su tante questioni: sul diritto all’abitare, sulla carta dei diritti dei lavoratori digitali, contro il consumo di suolo. Temi concreti. Se il centrosinistra vincerà in tutte le cinque grandi città italiane, a quei sindaci spetterà il compito di guidare la riscossa del centrosinistra anche a livello nazionale, con proposte concrete. Dovremo essere progressisti, non lasciare indietro nessuno, ma anche dire come si fa la transizione digitale ed ecologica, come si usano quei soldi nelle grandi aree urbane coinvolgendo le aree interne. Abbiamo una grande occasione per dimostrare che possiamo governare il paese perché sappiamo tenerlo unito».
Tenere unito il paese. Ma prima, tenere unita Bologna. Bergonzoni conclude i l suo racconto della città: «Centri sociali come Labas e YaBasta lanciano l’idea di Mediterranea e nasce una nave per i migranti in una città con un mare di iniziative, manifestazioni, raccolta fondi. Esiste da molto tempo Arte e Salute, compagnia di attori con disabilità psichica, c’è l’associazione Piazza Grande con un giornale distribuito dagli homeless del dormitorio pubblico. La Casa dei Risvegli amici di Luca Onlus, di cui sono testimonial da 20 anni, centro per lungo degenti da esito di coma e assistenza alle loro famiglie e centro di documentazione e ricerca studi del coma. L’università, il comune e varie associazioni lavorano da un anno e mezzo per far sentire la presenza di Zaki e chiederne la libertà in tante piazze. Le carceri spesso ci aprono le loro porte perché qui non vale il chi è dentro è dentro e chi è fuori è fuori.
Nacque qua la Skarrozzata per cambiare le barriere architettoniche con una maratona di cittadini in carrozzina insieme ai disabili per le vie del centro. E non ultimo arriva da questa città il movimento delle Sardine nato spontaneamente dal basso, dal mondo giovanile e non solo. Per me, per noi tutto ciò è la vera “rete”, dove il mondo social(e) fa parlare soprattutto chi voce non ha, attraverso il dare di noi polis solidale».
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