Chiediamo a Elena Bonetti delle battaglie comuni delle opposizioni nella legge di Bilancio. È vicepresidente di Azione, forza centrista che si dichiara fuori dal “campo largo”. E anche presidente dell’associazione Popolari europeisti riformatori, postazione da cui dialoga con i cattolici democratici impegnati a riunire rivoli di movimenti e forze disperse. «Le opposizioni hanno costruito alcune proposte su temi strategici».

Segue elenco: «Un finanziamento adeguato alla sanità. L’automotive: abbiamo chiesto di ripristinare il fondo Draghi, che il governo ha tagliato. Ma nel 2025 taglierà altre risorse per le politiche industriali e le crisi d’impresa, in un anno in cui il settore affronterà crisi gravissime. Poi i congedi di paternità, anche per gli autonomi. Ma abbiamo ricevuto solo no».

Tutto qui? L’opposizione ha fatto un passo avanti verso l’unità?

Su questi punti abbiamo trovato una sintesi. Ma qui non si tratta di unirsi. Non è facendo opposizione insieme che si costruisce un progetto di governo. È come se avessimo chiesto a Meloni e Fratoianni di allearsi perché sono stati all’opposizione di Draghi. Ci sono stili diversi di fare opposizione, per noi la narrativa del dissenso a prescindere non produce soluzioni. Azione al tavolo col governo ha sempre fatto un’opposizione di merito per convincerli a riempire i gravi vuoti della finanziaria. Su alcuni punti ci siamo riusciti, come l’Ires premiale per le imprese.

All’opposizione ci sono distanze come fra FdI e Avs?

La distanza fra noi e M5s sulla politica estera è ampia così.

Nel vostro congresso voterete no all’alleanza a sinistra?

Sì, Carlo Calenda, che sosterrò, lo ha posto come punto dirimente della sua proposta. Ormai destra e sinistra fanno un racconto residuale e furbamente storpiato del centro. Anche la ricerca del federatore cara alla sinistra, fa sorridere: pensa a un centro funzionale alle estreme. Il centro è il luogo dove i problemi vengono affrontati in tutte le sfaccettature ed è per questo che serve in Parlamento. Se lo pensa solo perché utile a un’alleanza, lo si subordina a una visione di parte non in grado di trovare soluzioni per tutto il paese. L’alleanza non è il punto di partenza. Serve, dopo, per ottenere l’obiettivo. Questa è la grande differenza con chi sceglie il bipolarismo.

Le vostre percentuali non sono una narrativa, sono un fatto.

Ma lo spazio c’è. E, ripeto, parlare di alleanze è mettere il carro davanti ai buoi: non ci arrendiamo al bipolarismo.

Ma il bipolarismo c’è. E ci sarà.

C’è. Ma ci sarà? Il tema è costruire un percorso per cambiare il bipolarismo italiano. Noi. da piccola. forza rivendichiamo il ruolo esercitato in questa legge di bilancio. Ci siamo seduti a un tavolo che le altre opposizioni stavano per disertare. Abbiamo portato a casa risultati: oltre l’Ires premiale, il fondo per finanziare i centri estivi nei comuni con il terzo settore e lo screening sanitario nei luoghi di lavoro. È il nostro metodo. Non ci limitiamo alla denuncia.

Non vi interessa il ruolo di Ruffini, e di federare i riformismi?

Per esistere il centro deve essere un luogo di incontro, non una federazione di cespuglietti. Che serve solo a chi spinge a sinistra. E per cercare un incontro non si parte da un federatore.

Da una federatrice? Lei, un’altra?

Il fatto che girino nomi maschili dice molto. Più che un leader che convoca, serve un percorso su temi concreti, con risposte condivise, via via allargando. C’è un importante movimento civico degli amministratori, anche cattolici, nato dalle Settimane sociali di Trieste: non si può discutere di centro senza coinvolgerli, tantomeno evocare federatori. Un tavolo su temi concreti: è il lavoro che farà Azione. In questa prospettiva io sarò in prima persona.

Resta che nel mondo la polarizzazione del voto non sembra dare molte chance ai centristi.

Vero, ma l’elettorato risponde alla politica che c’è. Oggi serve una proposta politica coraggiosa e diversa. Che parta dai problemi della vita delle persone e da ideologie. Senza questo, gli elettori scelgono il rosso o il nero. Però nei momenti di grande crisi, il metodo del centro è la risposta. Lo è stato il governo Draghi in Italia portando pragmatismo per risolvere la crisi.

Ha risposto votando Meloni.

Perché quel governo è stato lacerato dagli stessi partiti che lo componevano. Ma il centro ha ottenuto l’8 per cento.

Ma ha vinto la destra. E senza una coalizione, rivince la destra.

No. Oggi un centro solido e ampio non c’è. Forza Italia non lo è, sta in una coalizione con forze antieuropeiste. Dall’altro lato, nel Pd, lo spazio riformista non ha una forza significativa, tanto che accetta un’alleanza estremizzata con M5s e Avs. La Francia ci dice che un equilibrio di governo si ha solo con il centro.

Il rischio è che gonfi le estreme.

Questo non lo sappiamo, sappiamo che le estreme prendono i voti ma non sono in grado di dare risposte al paese, né in Francia né in Italia.

Con M5s siete incompatibili?

Siamo agli antipodi sul tema della sicurezza, che oggi si chiama difesa, e sull’ideologia green, che ha indebolito la nostra industria e aumentato le differenze sociali. Siamo incompatibili con chi ha prossimità con Putin, non difende l’Ucraina, dice no all’agenda Draghi, e al nucleare, l’unica strada per tutelare l’ambiente a un costo sostenibile per il sistema produttivo.

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