Ieri (martedì, ndr) il consiglio d’amministrazione ha discusso del piano industriale. Che indirizzo hanno proposto i vertici aziendali?

Quando sento parlare i vertici Rai mi sembra dipingano un’azienda totalmente disallineata da quella che è la percezione dei cittadini. Descrivono una situazione dell’azienda rosea e in perfetta salute, e se così fosse i cittadini, principali azionisti, dovrebbero essere pienamente soddisfatti. Nonostante secondo i dati di ascolto complessivi forniti dall’ad oggi, la Rai sembra tenere rispetto ai diretti competitor, i cittadini perdono progressivamente fiducia nell’azienda e questo si vede dai dati degli ascolti di singoli programmi e dal tipo di pubblico sempre più anziano che guarda la TV pubblica. Questa disaffezione del pubblico ha giustificato anche la campagna della Lega sul taglio del canone, così gradita al suo elettorato.


Il calo dell’indebitamento è un buon inizio o dipende soltanto da elementi non strutturali?

Dobbiamo ridurlo in maniera sostenibile, una questione che non si può scindere dalla certezza delle risorse, che devono essere prevedibili, continuate e necessarie a coprire il perimetro di attività definito dal contratto di servizio. La Rai attualmente non ha la certezza delle proprie risorse. La riduzione del debito va inserita in questo contesto. Aver fatto un po’ meglio sulla pubblicità ottenuta da terze parti e poter approfittare della cessione di asset immobiliari, combinato con il fatto che l’inflazione e i costi energetici si ridurranno, permette tendenzialmente di migliorare leggermente la posizione finanziaria netta. Ma la Rai ha bisogno di un finanziamento pubblico sufficiente e certo. Non può finanziarsi con cessioni immobiliari o di altre partecipazioni aziendali, e certamente non può dipendere solo dal mercato pubblicitario. Per altro, attualmente il contributo pubblico è molto minore di quello che ottengono gli altri servizi pubblici in Europa, come la Francia e la Germania.


Restiamo sulla questione del piano immobiliare. La prospettiva di andare in affitto non rischia di lasciare la Rai senza un punto di riferimento a Milano?

No, questo piano immobiliare, elaborato dal precedente consiglio, permette di modernizzare i centri di produzione, uno sviluppo fondamentale. Su Milano, una delle questioni da valutare è la sostenibilità finanziaria sul lungo periodo. Per continuare a utilizzare l’immobile precedente ci sarebbe stato bisogno di forti interventi per renderlo adatto alle nuove esigenze produttive della Rai e in questo modo si riuniscono anche diverse funzioni che prima erano dislocate per la città. Ci sarebbe anche bisogno di rafforzare la formazione di nuove figure professionali e coprire le tante carenze attuali delle piante organiche. Cosa che non ho visto nel costoso piano di incentivazione all’esodo (costerà 30 milioni, ndr) su cui ho votato contro.


Parliamo del finanziamento al servizio pubblico. Il finanziamento integrativo a partire dalla fiscalità generale che integra il taglio del canone di venti euro inserito in manovra per il 2024 è previsto per un anno soltanto. Significa che poi si torna alla vecchia norma?

L’ad in commissione Vigilanza Rai e anche a noi in Cda ha confermato questa lettura, che però mi sembra più un suo auspicio, visto che rimane una forte incertezza su questo punto. Una tassa di scopo per finanziare il servizio pubblico è comunque a mio avviso il modo migliore per fornire fondi certi alla Rai, in una fase in cui il mercato pubblicitario è completamente rivoluzionato dalla transizione digitale multipiattaforma, in cui ci per la raccolta pubblicitaria ci si andrà a scontrare con player come Google e Meta.

Nel momento in cui però il servizio pubblico non accontenta più le aspettative degli utenti nei confronti del servizio pubblico, per esempio per quanto riguarda l’approfondimento politico, che ormai va cercato sui canali privati, la voglia di pagare il canone potrebbe però scemare anche in chi finora era felice di contribuire.

Se il prodotto del servizio pubblico non è di qualità, non dà tranquillità rispetto all’imparzialità, l’autorevolezza dell’informazione e il pluralismo, è difficile fare campagna nella società per rafforzamento il ruolo e l’esistenza stessa del servizio pubblico, nel presente e nel futuro. Verremmo poco capiti. Ma rimango convinta che il ruolo dei media pubblici è quello di impedire che lo spazio democratico venga occupato e monopolizzato, riempito da notizie false e teorie complottiste. 


Il servizio pubblico a sei mesi dall’occupazione da parte della destra ha perso la sua neutralità?

I canali e i programmi del servizio pubblico sono pagati da tutti i cittadini, non devono essere al servizio di gruppi di interesse e ideologi particolari. Credo che la situazione dell’indipendenza dell’informazione e della cultura in Italia sia preoccupante. Credo anche che problemi di autorevolezza, pluralismo e imparzialità ci siano stati già in passato, non voglio essere naif. Ma da quando sono entrata in Rai come consigliera, ho visto un ad chi è stato costretto alle dimissioni prima del termine del suo mandato dopo essere stato messo nell’impossibilità di proseguire. Oggi (ieri, ndr) ho sentito dire dall’ad in Vigilanza che molti giornalisti sono andati via di loro spontanea volontà, ma quegli addii sono frutto di problemi con l’azienda che hanno portato a scelte anche dolorose. Ho contestato con forza l’interruzione di un programma di Saviano sulle mafie già girato e preoccupano le diffide da parte di Sangiuliano e Sgarbi nei confronti di programmi Rai. Mi ha preoccupato molto anche l’audizione di Ranucci in commissione Vigilanza per inchieste sgradite alla politica.

Il direttore dell’approfondimento informativo della Rai Corsini è andato a un evento di partito parlando da militante sul palco, Rainews24 ha trasmesso il comizio finale di Giorgia Meloni nel suo ruolo di capo di partito ad Atreju senza interruzioni.

Per fortuna hanno anche convocato il direttore di Rainews24: ho chiesto conto in cda della trasmissione integrale del comizio e nessuno mi ha saputo citare un precedente. Per quanto riguarda Corsini l’azienda ci ha comunicato che è in corso una procedura disciplinare, ma quello che è successo è grave. Nel momento in cui si dichiara di essere militante, si creano dubbi sulla capacità di essere neutrale nella gestione dell’informazione del servizio pubblico, che deve rappresentare tutti i cittadini. Spero che l’azienda penda un provvedimento chiaro. Mettere in mano a una sola persona la gestione di tutto l’approfondimento informativo dell’azienda è stata una decisione molto discussa e sofferta: i tre direttori di rete che c’erano nel sistema precedente erano un modo per offrire più garanzie e capacità di interpretare plurali e diversi punti di vista e sensibilità culturali.


I nuovi palinsesti hanno portato a casa risultati pessimi in termini di share. Secondo i vertici, si tratta di un sistema antiquato per conteggiare gli ascolti. Solo una scusa?
Durante la presentazione dei palinsesti in cda ho chiesto quali sono le azioni di rimedio ai programmi che vanno male, la risposta è stata che quando si innova bisogna anche concedere un periodo di assestamento. Sarei d’accordo con un vero innovamento, ma non è quello che stiamo vedendo come nel caso di nuovi programmi e conduttori che non vengono scelti esattamente per ragioni di marketing. Si vede una chiara difficoltà in Raitre, Raidue, Rairadio1, alcune fasce del day time e sui talk e gli approfondimenti dove la Rai sta cedendo sempre più spazio a La7 o Nove, o addirittura Rete4. Detto ciò, lo share è una misura incompleta che va assolutamente integrata da valutazioni qualitative ma è anche imperfetta perché andando la Rai sempre più verso una digital media company la fruizione si amplia sempre di più ad altre piattaforme e dispositivi digitali e ad una modalità on demand. Progressivamente andrà considerata sempre più la “reach”, ovvero il numero totale di utenti raggiunti che vedono i nostri contenuti su qualsiasi dispositivo. Tutto ciò non può nascondere quelli che ormai sono dei fallimenti evidenti a cui va posto rimedio.


Ad Atreju è stato ospite anche Elon Musk. Nonostante adesso sia a disposizione anche un quadro normativo europeo, lo European Media Freedom Act, non c’è il rischio che l’utente si ritrovi schiacciato tra un servizio pubblico politicizzato e uno spazio pubblico sempre più dominato da imprenditori la cui capacità di informare si scontri con gli interessi economici?


La vera sfida del futuro è quella per una sfera pubblica democratica. L’Emfa è una rivoluzione per l’Europa e l’Italia: secondo il nuovo regolamento europeo tutti i paesi devono garantire indipendenza e finanziamento dei media pubblici, per mantenere la propria credibilità e imparzialità; gli Stati debbono proteggere i giornalisti e le fonti. Inoltre, si chiarisce che il consiglio di amministrazione delle emittenti deve funzionare indipendentemente dal rispettivo governo. Abbiamo bisogno di verificare l’applicazione, questo è importante, in quanto oggi in rai l'ad viene scelto direttamente dal governo. Questo non sarà più permesso. 

Attualmente il potere è conteso tra vari gruppi che vorrebbero occupare la democrazia, riempiendo lo spazio pubblico di notizie false e teorie del complotto populiste. Il magnate miliardario della tecnologia Elon Musk è un esempio di entrambi: punta a diffondere notizie false e stabilire le regole di una delle più grandi piattaforme di opinione al mondo. L’obiettivo di Big Tech è privatizzare lo spazio pubblico e far pagare chiunque vi entri. Dobbiamo resistere sia a questa privatizzazione che al controllo politico e alla manipolazione da parte dei governi ultraconservatori di tendenza autoritaria come in Polonia, Ungheria (e con accenni anche in Italia). 

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