- Il leader di Azione manda all’aria la fusione con Italia viva mentre le trattative erano per il partito unico ancora in corso. Temeva di perdere il congresso, lo accusano gli ex alleati di Italia viva
- Ma di chiunque sia la responsabilità più grande, ora tanto Calenda quanto Renzi hanno poche opzioni. Il Pd è in crescita, Forza Italia per ora resta in piedi. Le europee sono lontane, ma si avvicinano.
- La vicenda rischia così di finire in modo assurdo: tra quattordici mesi i due litiganti di oggi potrebbero trovarsi obbligati a formare un nuovo cartello elettorale per superare la soglia di sbarramento.
Il Terzo Polo è finito senza nemmeno un ultimo tentativo di conciliazione. Il leader di Azione Carlo Calenda ha dato l’annuncio ieri, ai giornalisti che lo avevano fermato fuori dal Senato: «Il progetto del partito unico è definitivamente morto». I suoi non ne sapevano niente. In quegli stessi minuti erano ancora dentro palazzo Madama, a colloquio con i dirigenti di Italia Viva per trovare un accordo dell’ultimo. Hanno saputo dalle agenzie che il leader aveva già deciso di annullare tutto.
Finisce così, almeno per il momento, l’ennesimo tentativo di costruire un partito in grado di sfruttare le leggendarie “praterie” elettorali che si aprirebbero verso il centro. A ucciderlo le rivalità personali e i tentativi di preservare i propri recinti di piccolo potere politico. Difetti un tempo considerati prerogative della sinistra radicale divisa in mezza dozzina di partiti marxisti e comunisti. Alla fine, insomma, Calenda è riuscito a fare qualcosa di sinistra.
Divisi e felici
Ma cos’è fallito davvero in queste ore? Tecnicamente, Calenda ha dichiarato la morte del partito unico tra Azione e Italia viva. Un progetto complesso che questa settimana era sembrato a un passo dalla riuscita. Il calendario era stato fissato: avvio del congresso il 10 giugno, elezione del segretario entro ottobre, scioglimento dei due partiti nel 2024. Restavano solo questioni apparentemente secondarie da delineare. La rottura è arrivata improvvisamente e per volere di Calenda. Da Italia viva ora accusano il leader di Azione di aver bluffato. Aveva già deciso di far fallire il progetto perché temeva che con un congresso vero e democratico la sua vittoria non sarebbe stata scontata, sostengono. Italia viva, dopo tutto, ha le tessere, personale politico esperto e una traccia di struttura territoriale. Calenda invece ha la sua popolarità personale, ma di iscritti ed esperienza politica ne ha pochi. Persino i suoi dirigenti sul territorio lo stanno mollando. «Sonore sconfitte e scelte sbagliate prese senza ascoltare. Ma la colpa è sempre degli altri», ha twittato ieri l’ex coordinatore di Azione in Lombardia Niccolò Carretta, che si era dimesso dopo la sconfitta alle regionali in protesta contro il suo leader. L’umore nelle altre federazioni del partito non è molto più alto.
Cambiare tutto
Quello che è accaduto in questi giorni tra Azione e Italia viva ricorda più in grande (ma nemmeno più di tanto) l’infinita diatriba che nell’area della sinistra radicale ha diviso Potere al popolo da Rifondazione comunista, con il primo, forte del marchio nuovo e riconoscibile, che chiedeva senza successo al secondo, che aveva territori e tessere, di sciogliersi nel contenitore più grande. Ecco in breve la storia della fusione mancata. A Renzi e Calenda ora non resta che chiedersi la stessa cosa che, per restare in tema di sinistra, si chiedeva Lenin: che fare? Il problema è che nessuno sembra avere la risposta.
Subito dopo aver dichiarato la morte del progetto comune, Calenda ha assicurato che Azione proseguirà il percorso verso la creazione di un nuovo partito libera-democratico con le altre forze che vorranno aggregarsi. La tenue speranza è di reclutare +Europa, che però, dopo il caos di questi giorni, sembra meno interessata che mai. «Dovrei dire che sono sorpresa? Proprio no. Lui è fatto così», ha scritto su Twitter Emma Bonino. Nel frattempo Calenda continua a sostenere che nessuna alleanza «strutturale» è possibile con il Pd guidato da Elly Schlein. Calenda rischia di restare da solo con il suo personale partito di Calenda (le cui ironiche iniziale sarebbero proprio “Pc”).
Per non cambiare niente
Le prospettive di Renzi non sono molto migliori. I sondaggi che lo indicano sistematicamente come il leader politico di cui gli italiani hanno meno fiducia, sotto Angelo Bonelli dei Verdi e Maurizio Lupi di Noi moderati. L’operazione Il Riformista, che Renzi dirigerà insieme al veterano ex parlamentare di Forza Italia Andrea Ruggieri, serve certo a dialogare con il mondo di Forza Italia, sempre più in subbuglio vista la declinante salute di Berlusconi. Ma il bottino che si può pescare a destra resta magro. Renzi è il primo a dire che l’unica vera erede di Berlusconi è la figlia Marina, che di impegnarsi in politica continua a non avere intenzione.
Nel frattempo, i gruppi parlamentari di Azione-Italia viva sono destinati a rimanere uniti. Non conviene a nessuno scioglierli, perdendo così finanziamenti e incarichi. E dentro i gruppi, i rapporti tra senatori e deputati restano ottimi. Nessun cambiamento in vista nemmeno per le prossime amministrative.
A meno di imprevedibili scossoni in grado di riassestare il quadro politico, aprendo per Italia viva possibilità a destra o a sinistra per Azione, tutto il caos di questi giorni potrebbe risolversi in un nulla di fatto e tra 14 mesi, alle prossime europee, tutti i vari centristi potrebbero ritrovarsi, obtorto collo, in un listone mal amalgamato per cercare di superare la soglia di sbarramento delle elezioni europeo. Pagherebbero duramente in termini di consensi il caso di questi giorni. E anche questa sarebbe una cosa molto di sinistra.
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