Il presidente si tiene lontano dalle polemiche. Ma la sua via costituzionale va all’opposto di quella del governo. In Italia il ministro Lollobrigida parla di «sostituzione etnica». Schlein: «Indegno, è suprematismo bianco»
Se le parole di Sergio Mattarella, pronunciate lunedì, primo giorno della sua visita in Polonia, l’appello severo all’Europa («Serve una nuova politica di asilo dentro l’Ue superando le vecchie regole che sono ormai della preistoria») erano piaciute a Giorgia Meloni – ma erano piaciute davvero?, lo vedremo più avanti –, quelle di ieri sono rimaste a lungo senza commento da parte del governo.
Bisogna fare «memoria dei milioni di cittadini assassinati da un regime sanguinario come quello nazista che, con la complicità dei regimi fascisti europei che consegnarono i propri concittadini ai carnefici, si macchiò di un crimine atroce contro l’umanità», dice il presidente della Repubblica. «Un crimine che non può conoscere né oblio né perdono». Parla dal lager di Auschwitz, subito dopo partecipa a Birkenau alla Marcia dei vivi in ricordo delle vittime dell’Olocausto.
Data la solennità dell’occasione, il discorso di Mattarella non può essere strattonato né riferito alle polemiche di queste settimane in Italia, viene spiegato. Del resto la visita in Polonia, sottolineano fonti del Quirinale, era programmata mesi fa, poi è slittata per il voto anticipato.
Parole inequivocabili
Ma sono parole inequivocabili, soprattutto per chi si sente colto nel vivo. Ed è inutile negare che in Italia, alla vigilia del primo 25 aprile dell’era dell’estrema destra al potere, queste parole pesano come un macigno sui tentativi di riduzionismo del fascismo degli esponenti di governo e maggioranza.
Mattarella parla di nuovo della guerra a un passo dal confine polacco: «Chi aggredisce l’ordine internazionale fondato su questi principi deve sapere che i popoli liberi sono e saranno uniti e determinati nel difenderli», «Oggi più che mai, nel riproporsi di temi e argomenti che avvelenarono la stagione degli anni Trenta del secolo scorso con l’infuriare dell’inumana aggressione russa all’Ucraina, la memoria dell’Olocausto rimane un monito perenne che non può essere evaso. L’odio, il pregiudizio, il razzismo, l’antisemitismo, l’estremismo e l’indifferenza, il delirio e la volontà di potenza sfidano in permanenza la coscienza delle persone e dei popoli».
Sostituzione etnica
In Italia gli scontri fra maggioranza e opposizione sono quotidiani. Ieri il ministro dell’agricoltura Francesco Lollobrigida ha distillato un’altra uscita borderline: ha chiesto di «incentivare le nascite per non arrenderci alla sostituzione etnica».
La segretaria del Pd Elly Schlein, dalla piazza di Roma contro il dl migranti, ha picchiato duro: «Parole disgustose, indegne di chi ricopre il ruolo di ministro della Repubblica, che ci riportano agli anni Trenta del secolo scorso, dette peraltro nel giorno in cui il presidente della Repubblica si trova in visita ad Auschwitz. Hanno il sapore del suprematismo bianco, mi auguro che Giorgia Meloni e il governo vogliano prendere le distanze».
Meloni non si è dissociata, del resto, quando si parla di immigrazione, il concetto della «sostituzione etnica» aleggia in molti discorsi della maggioranza.
Rapporti delicati
È il contesto, dunque, a rendere delicati i rapporti fra Colle e Palazzo Chigi, non l’intenzione di Mattarella. Che quando parla al presidente Duda e chiede di cambiare l’accordo di Dublino, per il quale chi arriva in Italia deve chiedere asilo all’Italia, fa l’interesse del nostro paese, dunque dà una mano al governo di Meloni.
Se non fosse che l’appello, ieri ripetuto al premier polacco Morawiecki, ma evidentemente rivolto anche all’ungherese Orbán, è consegnato agli amici europei di Meloni, che escludono ogni idea di ridistribuzione.
E a ricordare bene, non era molto tempo fa che, proprio per non mettere in difficoltà l’amico ungherese, la premier italiana aveva spiegato che la soluzione all’immigrazione «non è rivedere il regolamento di Dublino» ma bloccare i fuggitivi nei paesi di partenza.
Non a caso ieri Meloni, nel lodare le prime parole di Mattarella, è stata composta. Non è la sua linea, non è la sua idea di Europa. E per quanto l’autorevolezza di Mattarella le sia indispensabile, non è il suo presidente della Repubblica, visto che sul suo mandato minaccia come una clava la riforma presidenzialista.
Mattarella procede sulla via costituzionale, repubblicana e europeista, tenendosi rigidamente al di sopra delle polemiche. Il fatto è che la strada del governo, oggettivamente, procede in direzione opposta.
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