Nella calura estiva si è assopito anche il presidenzialismo. Parola d’ordine fino a qualche mese fa e progetto comune tra Fratelli d’Italia che lo considera l’arma per disinnescare il dl Autonomie e Forza Italia che ne rivendica il primato culturale, a oggi è solo un’idea.

Eppure il governo Meloni lo considera la prima riforma costituzionale da chiudere e, per raggiungere questo obiettivo, ha di fatto creato un ministero ad hoc: quello delle Riforme guidato dalla ex presidente del Senato, Elisabetta Casellati.

Proprio Casellati è da mesi impegnata sul dossier, al quale ha dedicato seminari ma soprattutto incontri con le parti sociali. Uno in particolare doveva essere il passaggio determinante: un convegno allargato a tutti i costituzionalisti italiani ospitato dal Cnel dell’amico Renato Brunetta.

In quella sede si è discusso lungamente del cosa, oltre che del come. In altre parole, che cosa scrivere in una riforma che rischia di scassare l’impianto della Carta e soprattutto come farlo senza provocare scossoni nella maggioranza, tenendo dentro anche le opposizioni come ogni riforma costituzionale richiederebbe. Molte parole e dichiarazioni di intenti, ma il famoso ultimo miglio – quello della sintesi e della stesura di un testo – è ancora un miraggio.

A che punto siamo

Certo è che non è una missione semplice, quella calata sulle spalle di Casellati. Per ora la ministra si è mossa con risolutezza prima di tutto per mantenere in capo al suo dicastero tutto l’iter, allontanando ipotesi di commissioni bicamerali caldeggiate soprattutto dal fronte dell’accademia. «Una suggestione», viene definito in ambienti forzisti, dove l’idea di creare una nuova commissione non ha mai convinto, anche perchè avrebbe significato togliere a Casellati il primato sulla stesura del testo di riforma.

La strada segnata, salvo clamorose controindicazioni, è quindi quella del disegno di legge da incardinare in commissione Affari costituzionali alla Camera. Non a caso il 20 luglio Casellati ne ha incontrato il presidente, l’azzurro Nazario Pagano, «per un confronto su riforme istituzionali e semplificazione normativa».

Il problema, ora, non è più tanto il dove ma il cosa scrivere dopo aver tanto riflettuto nei convegni. «Non è nemmeno chiaro che tipo di riforma vogliano», è il ragionamento che si sente ripetere nel Pd. Peggio: «Si tratta di un orrido baratto del governo: autonomie in cambio del presidenzialismo», sono state le parole della segretaria Elly Schlein.

Almeno pubblicamente, il clima non sembra quello adatto a cercare le convergenze pur necessarie, visto che per approvare una riforma costituzionale scongiurando il referendum serve una maggioranza qualificata. Sotto traccia, però, qualche contatto tra Casellati e membri delle opposizioni ci sarebbe stato, per tastare il terreno.

Anche se non c’è traccia di un testo nero su bianco, due punti di carattere generale sono ormai dati per consolidati. Il primo è che il presidenzialismo è rimasto l’etichetta mediatica, ma toccare le prerogative della presidenza della Repubblica non è più in discussione. La prevalenza chiara – emersa sia dalle parti sociali che dall’accademia – è quella in direzione del premierato e questa sarà la base da cui partire «per poi trattare sui pesi e contrappesi», dicono fonti di maggioranza che seguono il dossier.

Il secondo è che «si tratterà di una riforma light»: pochi articoli da modificare così da ottenere una condivisione più ampia possibile, anche perchè più carne si mette al fuoco più è facile che il progetto si areni sui veti incrociati.

È evidente, però, che la tabella di marcia si è inceppata. Era stata Casellati, lo scorso aprile, a comunicare ai membri della commissione Affari costituzionali che un testo sarebbe stato pronto a metà luglio e che loro sarebbero stati i primi a visionarlo. Metà luglio è arrivato e trascorso, ma del testo non c’è traccia.

L’incontro con Meloni

Eppure, qualcosa dovrebbe muoversi nelle prossime settimane. Il termine per ora è solo ordinatorio, ma la scadenza è «entro la fine di agosto». La premier Meloni avrebbe annotato in agenda un incontro con Casellati per fare il punto e fissare qualche paletto sul presidenzialismo, così da procedere sulla riforma. In realtà l’incontro avrebbe dovuto essere programmato anche prima, ma il termine è slittato di settimana in settima a causa dei molti impegni all’estero di Meloni e delle troppe polemiche da spegnere – dalla giustizia fino al Pnrr – che hanno impegnato palazzo Chigi.

Del resto era nell’aria: la stessa Casellati lo aveva adombrato in alcune dichiarazioni delle scorse settimane. La scadenza risponde a una logica non solo istituzionale ma anche politica: tanto quanto la Lega è decisa a utilizzare il dossier Autonomie come arma per la campagna elettorale alle europee, altrettanto FdI e anche Forza Italia potrebbero far propria quella del presidenzialismo.

Anche in quest’ottica, i rapporti tra la premier e la sua ministra sarebbero tutto sommato distesi. Non è sfuggito a Meloni, infatti, che Casellati sia tra gli ormai pochi membri dell’esecutivo rimasti a non essere ancora incappata in gaffe imbarazzanti. Pochissime interviste – l’ultima risale a maggio – e ancora meno dichiarazioni pubbliche: la ministra ha scelto il profilo basso, almeno in questa fase di legislatura.

Che l’incontro Casellati-Meloni possa davvero sbloccare il dossier presidenzialismo, tuttavia, è tutto da verificare: senza un testo scritto è impossibile fare previsioni e l’incognita forte rimane quella della Lega. Se formalmente non ci sono veti, il tandem con il ddl Autonomie è segnato e il progetto del ministro Roberto Calderoli ha subito una battuta d’arresto dopo le defezioni dalla commissione che dovrebbe fissare i livelli essenziali delle prestazioni per le regioni.

Il ministro, infatti, ha immaginato i primi negoziati «nel 2024» e ha ammesso – pur controvoglia – che l’iter ormai dipende dal parlamento e non lo controlla più il suo ministero. Proprio a queste date, anche la ministra Casellati dovrà prestare attenzione.

I regi decreti

Se sulla prima delega del suo dicastero – le riforme, o meglio “la” riforma del presidenzialismo, visto che per quella delle autonomie c’è un altro ministro dedicato – Casellati è ferma, sulla seconda funzione a lei assegnata è attivissima.

Il ministero di largo Chigi, infatti, formalmente è dedicato alle «Riforme istituzionali e la semplificazione normativa». Di riforme scritte non s’è vista traccia, ma Casellati si è data un gran da fare sulla semplificazione, prendendo di mira le norme pre repubblicane.

Con ben tre disegni di legge presentati in Consiglio dei ministri negli ultimi mesi e altri due in arrivo, il cavallo di battaglia della ex presidente del Senato è «l’abrogazione dei regi decreti». Tantissimi, dimenticatissimi e incistati nelle pieghe della legislazione: eliminarli sembra diventata per lei ormai una missione.

Così nell’ultimo Cdm è stato approvato il ddl per l’abrogazione di «9.924 regi decreti». Tra questi, il «regio decreto 14 luglio 1895, che autorizza il comune di Pesaro a continuare a riscuotere in luogo e a compensazione della tassa di minuta vendita sulle bevande vinose e spiritose, sul mosto e sull'uva, un dazio addizionale superiore al 50 per cento del governativo per l’introduzione delle dette bevande nella linea daziaria» e «il regio decreto 11 luglio 1909, che concede alla Società coloniale italiana un appezzamento di terreno nella colonia Eritrea a scopo di coltivarvi l’agave sisalana».

Le pulizie di primavera tra i faldoni delle vecchie leggi proseguono spedite, con l’obiettivo – annunciato formalmente con un corposo comunicato stampa – di «abrogare oltre 20.000 norme pre repubblicane». A inizio agosto, infatti, arriverà anche un quarto disegno di legge di abrogazione dei regi decreti: Casellati è arrivata a quelli relativi al 1921-1946. A settembre, invece, il quinto disegno eliminerà «altri atti pre repubblicani diversi dai regi decreti».

Esaurito ogni regio decreto nascosto negli angoli degli archivi e ripercorrendo lentamente la storia pre repubblicana, a un certo punto Casellati arriverà però di nuovo alla Costituzione. Quella che dovrebbe almeno in parte riformare.

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