- Il capo di gabinetto della ministra Casellati, Alfonso Celotto, ha rassegnato le dimissioni per «motivi personali». Le indiscrezioni raccontano di un’intesa mai sbocciata
- Adolfo Urso, a capo del dicastero delle Imprese, ha fatto di più: si è reso protagonista di un doppia separazione con il portavoce, Gerardo Pelosi e con la capo della segreteria, Valentina Colucci. Fatale una lite
- Ora ci si affida a LinkedIn per reperire personale, come ha fatto il dipartimento della Funzione pubblica di Paolo Zangrillo, a caccia di un profilo di comunicazione pubblica
Dopo la difficoltà a reperire figure da inserire negli staff, c’è ora la fatica a tenere i rapporti. Con la tentazione del fuggi fuggi, come testimoniano le ultime cronache. Da palazzo Chigi al ministero delle Imprese e del made in Italy, l’ex Sviluppo economico, sono bastate poche settimane per arrivare al divorzio con alcuni collaboratori, in un clima di crescente sospetto che non giova al lavoro con serenità.
Intanto, in parlamento, molti eletti preferiscono attendere prima di stipulare contratti con professionisti che possono aiutarli nell’esercizio del mandato.
Celotto lascia Casellati
La destra approdata nelle stanze del potere, insomma, sembra allergica ai tecnici, che sono fondamentali per mandare avanti la macchina istituzionale. Il caso più emblematico è quello della ministra delle Riforme, Elisabetta Casellati. In settimana il suo capo di gabinetto, Alfonso Celotto, docente di diritto costituzionale all’università Roma Tre e noto anche per le sue apparizioni in tv, ha deciso di rassegnare le dimissioni, ufficialmente per «motivi personali». Ma le indiscrezioni raccontano di un’intesa mai sbocciata tra i due.
La ministra non ha lasciato molto margine al capo di gabinetto, accentrando i compiti. Insomma, è mancato un metodo di lavoro condiviso addirittura sulla road map per le riforme. Non proprio un’adeguata considerazione per un personaggio di peso come Celotto, che aveva ricoperto lo stesso incarico per la ministra della Salute, Giulia Grillo, nel governo Conte. Ancora prima era stato il braccio destro di Fabrizio Barca al dipartimento della coesione territoriale, nell’esecutivo guidato da Mario Monti.
Alla fine Celotto ha preferito togliere il disturbo, evitando polemiche e rinunciando al lauto compenso di 200mila euro all'anno, il secondo più cospicuo tra i vari consulenti di palazzo Chigi.
Per i conoscitori dei palazzi istituzionali, non è stata una sorpresa. Casellati, da presidente del Senato nella scorsa legislatura, ha cambiato sette portavoci in meno di cinque anni. La prima sequenza è cominciata con Massimo Perrino, già capo della comunicazione del Popolo della libertà, ed è proseguita con Tonino Bettanini, uomo di esperienza con trascorsi al fianco di Franco Frattini e ancora prima di Claudio Martelli, con Maurizio Caprara, storico collaboratore di Giorgio Napolitano e quindi con Anna Laura Bussa, cronista politica dell’Ansa. C’è stato poi un altro tris di portavoce, con Francesco Condoluci, Andrea Zanini e Marco Ventura, ultimo della lista, che si sono avvicendati a palazzo Madama.
Il rapporto più “solido” è quello con Condoluci che dalla campagna elettorale in poi è tornato al fianco di Casellati: ora è consigliere per la comunicazione al dipartimento di palazzo Chigi. La partenza di Celotto apre comunque una falla: il ministero delle Riforme, indicato come la sede di confronto tra la forze politiche per riscrivere la Costituzione, non ha una figura centrale. Ed è nei fatti paralizzato, nonostante la presenza di una vice capo gabinetto, Eleonora Palma, assunta a inizio gennaio. C’è poi un’altra conseguenza ulteriore: Celotto è una figura tecnica apprezzata da tutti, dalla sinistra al Movimento 5 stelle; rappresentava perciò una garanzia per gli interlocutori.
Doppia separazione da Urso
Ma l’ex presidente del Senato non è la sola ad aver già salutato dei componenti dello staff. Adolfo Urso, a capo del dicastero delle Imprese, ha fatto di più. In un colpo solo si è reso protagonista di un doppia separazione con il portavoce, Gerardo Pelosi, già firma economica del Sole 24 Ore, e con la capo della segreteria, Valentina Colucci, ex collaboratrice di altri ministri, tra cui di recente Vittorio Colao e Federico D’Incà.
Entrambi, in settimana, hanno lasciato con effetto immediato gli uffici del Mimit, il ministero delle Imprese e del Made in Italy in via Veneto. Da quanto si è appreso la lite è scoppiata intorno all’annuncio frettoloso fatto trapelare sull’accordo con i benzinai. Urso ha puntato il dito contro Colucci e Pelosi, che non hanno indugiato a mollare tutto.
Sono esempi di una tensione sempre alta, al limite della crisi di nervi. Così diventa sempre più difficile reperire risorse umane valide, tanto che ci si affida a Linkedin, come ha fatto il dipartimento della Funzione pubblica, affidato a Paolo Zangrillo, a caccia di un profilo di comunicazione pubblica. Entro il 10 febbraio gli interessati potranno inviare la candidatura.
Un film già visto nelle prime settimane di vita dell’esecutivo, quando la ricerca di componenti dello staff è stata faticosa: molti professionisti, anche nell’ambito comunicativo, hanno rifiutato le offerte, percependo un’eccessiva diffidenza. Una tendenza che rimbalza dal governo al parlamento.
Molti parlamentari della maggioranza, con Fratelli d’Italia capofila, hanno effettuato uno screening dei possibili collaboratori da assumere. Ma più che le qualità professionali, sono state scansionate le idee politiche, diventate il vero discrimine tra l’avvio di un rapporto professionale o meno.
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