- L’ex segretario del Ppi: «Se si cambia la natura del partito i cattolici democratici ne traggono le conseguenze. Ci sarà sicuramente una iniziativa. Ci rivediamo? Dipende da cosa succede».
- Le critiche al comitato costituente troppo spostato “a sinistra”: anche Zanda annuncia di aver dato le dimissioni dopo la prima riunione. Ma la bozza del testo è già stata «sminata» delle critiche al capitalismo.
- «Per senso del dovere porto avanti il compito fino al 19 febbraio», cioè il giorno dell’apertura dei gazebo. Letta invita Castagnetti e a partecipare al congresso.
Di critiche, anche ruvide, Enrico Letta ne ha ricevute parecchie dopo la sconfitta del 25 settembre e ancora di più dopo aver avviato il «congresso costituente» del Pd, a novembre. Di segnali di pericolo, gliene erano arrivati: già dopo la prima riunione del «comitato costituente», colpevole di aver messo sul tavolo un cambio radicale del manifesto del valori del Pd delle origini (veltroniane), quello del 2008, di aver messo a tema la «critica al capitalismo», che evidente a una parte del Pd non sta a cuore.
Ma stavolta il colpo arriva molto più forte perché arriva da Pierluigi Castagnetti, padre nobile del Pd, l’ultimo segretario del Partito Popolare Italiano, molto vicino al presidente Sergio Mattarella. Succede in un convegno che già dal titolo sa di ultimo avviso, «I cattolici democratici nella politica di oggi: ancora utili all’Italia?». La domanda ha una traduzione spiccia: i cattolici democratici sono ancora utili nel Pd, o per essere più utili debbono uscirne fuori?
Se cambia il Pd
L’evento si svolge all’Istituto Sturzo ed è firmato dall’associazione «Popolari». Castagnetti non la prende alla larga: «Non siamo mai intervenuti prima di un congresso del Pd, ma ora abbiamo deciso di farlo per una serie di ragioni. Vogliamo lanciare alcuni allarmi».
Il primo allarme è che il Pd «può assumere decisioni che cambiano la natura» del partito e dunque «determinare tradimenti di quella originaria intenzione». «Vorrei sapere quali sono questi nuovi valori. Quelli che sono nella Carta del 2007 sono stati scritti da Reichlin e da Scoppola, che vi avevano riflettuto bene».
Se si farà chi lo darà si assume «le responsabilità delle conseguenze. Non minaccio nulla, ma sono sicuro che se cambia la natura il Pd le cose non resteranno così». L’indirizzo è quello del comitato costituente, indicato da un gruppo dirigente che, secondo i presenti, «non ha avuto un mandato» e quindi non può andare oltre al raccogliere «le carte» e consegnarle «a chi viene dopo» cioè alla prossima assemblea, a maggioranza espressione del prossimo segretario.
Castagnetti si rivolge ai presenti e anche ai collegati in streaming: «Se si cambia la natura e si cambia partito i cattolici democratici ne traggono le conseguenze. Non assumo personalmente alcuna iniziativa, ho una età e ho maturato il diritto al divano; ma ci sarà sicuramente una iniziativa».
All’Istituto Sturzo sono arrivati tanti “amici”, quasi tutti ex, tutti popolari: Luigi Zanda, che interviene e annuncia di essersi dimesso dal famigerato comitato costituente, il consigliere di Mattarella Francesco Saverio Garofani, Antonello Soro, Beppe Fioroni, Gianclaudio Bressa, Giampaolo D'Andrea. Non c’è Dario Franceschini, un’assenza che viene notata: viene da quest’area e ha condotto la sua corrente all’appoggio di Elly Schlein, anche se non li ha convinti tutti, non ha convinto per esempio Piero Fassino, che si è schierato con Stefano Bonaccini.
E non ha convinto neanche Pina Picierno, che di Bonaccini potrebbe diventare la vice (anche se c’è chi spiega che il posto è preteso dal presidente della Campania Vincenzo De Luca per qualcuno a lui vicino, in cambio dell’appoggio del collega emiliano). C’è invece Graziano Delrio che interviene e prova a cucire gli strappi: si dichiara convinto che si può «procedere con amicizia nel Pd, e con amicizia contare».
Il Qatargate e i socialisti europei
Poi, si fa per dire, c’è anche il caso Qatar: «Vogliamo capire cosa è successo, perché essendo coinvolta una ragnatela di parlamentari e assistenti nessuno si è accorto di nulla», dice, poi ammette «Sono stato in un partito che si è macchiato di colpe» – più che la Dc forse ricorda il caso Lusi, l’ex tesoriere della Margherita che si intascò 25 milioni di euro del partito, il caso scoppiò nel 2012, il partito già non esisteva più da anni se non per ricevere i rimborsi elettorali, gli “amici” cascarono dal pero proprio come oggi i compagni dell’ex europarlamentare Antonio Panzeri – «ma questa volta ho l'impressione che ci sia qualcosa di più grave. Perché alle spalle avevamo quella stagione che ci doveva rendere più vigili e responsabili».
Letta: il mio compito finisce ai gazebo
Nel pomeriggio a Castagnetti risponde Letta, anche lui ha un tono grave: «In questi giorni mi girano per la testa quattro famose frasi della Lettera a Timoteo: è giunto il momento di sciogliere le vele, ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede». Spiega di intervenire solo come «segretario che accompagna un cambio di gruppi dirigenti e un cambio di stagione, non dico molto perché non sarei legittimato a farlo», qui c’è una sfumatura di polemica, «Per senso del dovere porto avanti il compito fino al 19 febbraio», cioè il giorno dell’apertura dei gazebo. Letta invita Castagnetti e a partecipare al congresso.
Dopo il 25 settembre il segretario del Pd, lo sa chi ci ha parlato, ha annunciato le dimissioni ma è rimasto al suo posto da arbitro per alcune ragioni: senso del dovere, non dare all’esterno l’idea dello sbando, e anche, non ultimo, per non lasciare la situazione delicata – mentre sui media si discuteva di scioglimento del Pd – sulle spalle della giovane presidente Valentina Cuppi. Da lì Letta cercato una mediazione sul congresso fra l’anima riformista e quella di sinistra: alla prima ha concesso i tempi della rielezione del segretario «da statuto» (ma non poteva fare diversamente), per la seconda ha innestato sul percorso congressuale l’idea «costituente». E varato un comitato per la riscrittura del manifesto dei valori di cui si è nominato garante insieme – a pari grado – con Roberto Speranza, segretario della rientrante Art.1.
Il comitato è già stato sminato
In realtà la “torsione a sinistra” del comitato è già stata “raddrizzata”, grazie a un lavoro diplomatico che lo stesso Letta ha messo in opera dopo la prima riunione che aveva provocato il malumore dei riformisti (il sindaco di Bergamo Gori) ma anche dei popolari. Proprio Castagnetti aveva twittato: «Fermatevi». Alla riunione successiva non si è collegata Nadia Urbinati (ma lo farà alla prossima riunione, assicura) e invece lo scrittore Maurizio De Giovanni si è dimesso.
E anche Luigi Zanda si è dimesso, ma in realtà lo ha fatto subito dopo la prima riunione, anche se lo ha rivelato solo questo pomeriggio. Defezioni autorevolissime che suonano come un campana a morto per il comitato. In realtà la bozza di testo è già pronta, anche se dovrà essere integrata con le risposte della «Bussola» distribuita a tutti i partecipanti al congresso. E non “snatura” affatto il Pd, parla di «obiettivi di giustizia sociale, inclusione e uguaglianza», non critica il capitalismo, si limita a chiedere che «il modello di sviluppo economico non sia in contrasto» con questi valori e affermare che non c’è «vero sviluppo senza coesione sociale e lotta alle disuguaglianze».
L’avviso di Castagnetti dunque è già stato recepito, ma evidentemente non basta. Ammette che non finisce qua se tornerà ad esser pubblicato il giornale Il Popolo, «è il segreto di Pulcinella». C’è chi chiede di fondare una corrente, di scegliere un candidato al congresso e dare battaglia nel Pd perché «la testimonianza fine a sé stessa produce irrilevanza». Castagnetti è prudente: «Ci rivediamo? Dipende da cosa succede». Pd avvisato, mezzo salvato.
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