La premier avrebbe avuto garanzia che non ci saranno ritorsioni Usa se l’iraniano non sarà estradato. La procura generale dice no ai domiciliari. L’Iran: «Il caso Sala sia risolto velocemente»
Dopo il viaggio lampo in Florida per incontrare il futuro presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, Giorgia Meloni si prepara a ricevere in Italia l’uscente Joe Biden, che arriverà giovedì e ripartirà il 12 gennaio. Un uno-due con cui la premier dimostra dimestichezza con l’alleato americano, sia nella sua amministrazione uscente che – soprattutto – con quella pronta a insediarsi.
Entrambi gli incontri hanno infatti sullo sfondo la delicatissima vicenda della detenzione in Iran della giornalista Cecilia Sala, in carcere a Evin dal 19 dicembre scorso con una non meglio precisata incriminazione per «violazione delle leggi della repubblica islamica». La sua incarcerazione è legata all’arresto in Italia dell’ingegnere iraniano Mohammad Abedini, per cui gli Stati Uniti hanno chiesto l’estradizione con l’accusa di cospirazione, associazione a delinquere e violazione delle leggi sul commercio per aver fornito droni e materiali elettronici all’Iran. Proprio per questo l’interlocuzione con gli Usa è fondamentale per riportare Sala in Italia.
Il New York Times ha infatti riferito che Meloni «ha premuto in modo aggressivo» sul tema e conferma arriva anche sul fronte interno. La premier è tornata dall’America confidando ai suoi un cauto «ottimismo», dopo le pressioni esercitate su Washington. Nel merito – secondo fonti vicine a palazzo Chigi – Meloni avrebbe convinto il futuro presidente della fumosità delle accuse a carico di Abedini, in particolare quella di associazione per delinquere e di aver ottenuto da lui rassicurazioni sulla possibilità dell’Italia non estradare l’ingegnere iraniano, senza temere ritorsioni Usa.
Esattamente la strada che la premier intende perseguire per negoziare la liberazione di Sala con l’Iran. Ai suoi ha infatti spiegato di puntare a che il no all’estradizione venga pronunciato già dalla Corte d’appello di Milano ma che, anche se i magistrati decidessero altrimenti, sarà comunque il Guardasigilli Carlo Nordio (cui spetta l’ultimo via libera) a negarla.
I domiciliari
Che qualcosa si stia muovendo, del resto, lo dimostrano le dichiarazioni arrivate da Teheran. Il portavoce del governo Fatemeh Mohajerani ha dichiarato che la questione di Cecilia Sala «non è in alcun modo una ritorsione» e che «speriamo che il caso venga risolto rapidamente». Un auspicio che potrebbe essere collegato proprio alle ultime mosse italiane.
Intanto, Abedini è ancora nel carcere milanese di Opera. La speranza del governo è che i giudici decidano di concedergli gli arresti domiciliari, come richiesti dalla difesa. Tuttavia, la procura generale di Milano guidata da Francesca Nanni ha confermato il suo parere negativo, perché «la messa a disposizione di un appartamento e il sostegno economico da parte del Consolato dell'Iran» con «eventuali divieto di espatrio e obbligo di firma» non sono un'idonea garanzia per «contrastare il pericolo di fuga». Il 15 gennaio l’iraniano – che ha respinto come «assurde» le accuse statunitensi – sarà in aula per l’udienza.
Se il governo non può influire sulla vicenda giudiziaria di Abedini, certo è che i domiciliari sarebbero un primo passo per favorire i rapporti con Teheran. Il no all’estradizione è comunque la vera arma politica ottenuta da Meloni. I tempi, tuttavia, non saranno brevissimi: gli Usa hanno tempo fino al 28 gennaio per completare la richiesta di estradizione e solo dopo il meccanismo potrà mettersi in moto. Se tutto procederà per il meglio, si aprirà poi il capitolo su come Meloni ripagherà il debito politico con Trump.
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