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L’ex democristiano si è detto disponibile e avrebbe un mezzo sì di Letta, ma il Pd lombardo prende tempo. Lo scontro con la Lega riparte dai 20 punti di distacco, ma c’è l’incognita FdI.
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Gli altri nomi possibili, che piacciono al Pd, sono quello del sindaco di Brescia, Emilio Del Bono e dell’eurodeputata Irene Tinagli. Anche l’economista Carlo Cottarelli ha detto un sì di massima, galvanizzando Azione e Italia Viva.
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Ma la situazione viene definita «ancora fluida» da chi sta lavorando per comporre il tavolo di coalizione che dovrà riunirsi e vagliare strategia e candidato. Così fluida che ancora non si sa quanti posti a sedere serviranno.
C’è ancora grande confusione sotto il Pirellone, ma le regionali in Lombardia a marzo 2023 si avvicinano e il centrosinistra è alla ricerca del prossimo candidato anti Lega, con cui sfidare l’uscente Attilio Fontana. La situazione viene definita «ancora fluida» da chi sta lavorando per comporre il tavolo di coalizione che dovrà riunirsi e vagliare strategia e candidato.
Così fluida che ancora non si sa quanti posti a sedere serviranno: se ci fosse il Movimento 5 Stelle non ci sarebbe Azione di Carlo Calenda, che si è sospeso da tutti i tavoli in cui siedono anche i grillini, tanto per cominciare.
Seconda questione è il nome del candidato. Si parte dai dati del 2018, con il sindaco di Bergamo e astro nascente del nord, Giorgio Gori, sconfitto 29 a 49 dal leghista Attilio Fontana. Dentro quei venti punti, però, potrebbero esserci elettori scontenti per la gestione della pandemia in Lombardia e infastiditi dalle vicende giudiziarie di Fontana e decisi a voltare pagina, si ragiona soprattutto nel Partito democratico.
Anche perché il bis dell’uscente – dato per scontato fino alla settimana scorsa – avrebbe un intoppo di percorso che si trova 1.500 chilometri più a sud, in Sicilia. Fratelli d’Italia è decisa a ottenere il secondo mandato per Nello Musumeci alla guida dell’Ars e, davanti all’opposizione di Lega e Forza Italia, sarebbe pronta a mettere in discussione la conferma di Fontana.
L’ipotesi Tabacci
La prima scelta del Pd sarebbe stato il sindaco di Milano, Beppe Sala, rieletto appena un anno fa con il 58 per cento dei voti: un nome dall’appeal consolidato, almeno nel capoluogo, che saprebbe coniugare il civismo alla capacità di fare rete nel centrosinistra.
Il no del diretto interessato, però è arrivato immediatamente: il sindaco non ha alcuna intenzione di lasciare il certo per l’incerto, per altro a così poco tempo dalla riconferma. Tuttavia ha fatto sapere che intende essere della partita per individuare il candidato migliore per il Pirellone, come consigliere ma anche come vigile di una scelta oculata.
La regione Lombardia è un miraggio che il centrosinistra insegue dal 1989 e, curiosamente, l’ultimo presidente – all’epoca democristiano, oggi di Centro democratico – è anche uno dei possibili candidati: Bruno Tabacci. L’attuale sottosegretario alla presidenza del consiglio, settantasei anni portati in scioltezza e la prontezza politica di essere determinante in tutte le partite che contano (dall’ipotesi poi abortita del Conte ter al governo Draghi), non ha fatto mistero di accarezzare l’ipotesi.
Mantovano d’origine ed eletto in Lombardia in sette delle otto volte in cui si è candidato in parlamento dal 1992 a oggi, Tabacci è un profondo conoscitore dell’anima lombarda e ne incarna il prototipo di moderato. Per questo si sarebbe mosso con la vecchia guardia Dc in direzione del segretario del Pd, Enrico Letta, previo silenzioso via libera anche della presidenza del Consiglio.
La via nazionale sarebbe spianata: al Nazareno, la sede nazionale del Pd, avrebbe strappato un mezzo sì. Del resto, la via è talmente impervia che il tentativo di Tabacci potrebbe anche non sfigurare.
Meno convinti, invece, sono all’interno del Pd lombardo, dove invece si sta cercando di prendere tempo, ufficialmente per comporre il tavolo di coalizione.
Tinagli, Del Bono, Cottarelli
Sotto la Madonnina, infatti, si sta ragionando anche su altri nomi, considerati più «freschi» rispetto a Tabacci. In prima fila c’è quello del sindaco di Brescia ed ex deputato dem, Emilio Del Bono: il suo nome avrebbe già l’endorsement di Giuseppe Sala, sindaco di Milano, che più volte si è espresso per sostenere la sua candidatura, ma piace anche agli altri sindaci lombardi e potrebbe contare sulla corrente interna ai dem che fa capo ai primi cittadini.
Altro nome che piace è quello dell’economista Irene Tinagli, vicesegretaria del Pd, ex deputata e ora eurodeputata. Giovane e donna, con alle spalle già una carriera ben strutturata, ma anche centrista quanto basta per piacere all’elettorato incerto da strappare al centrodestra: ha iniziato la sua carriera politica con Scelta civica di Mario Monti.
Certamente un suo sì sarebbe difficilmente rifiutabile da Letta, ma permane l’incognita costante che sono le regionali lombarde: vincere sembra quasi impossibile e candidarsi potrebbe rivelarsi uno stop più che un avanzamento nel cursus politico di Tinagli, che ha sempre frequentato la politica nazionale più che quella locale, sebbene la Lombardia abbia il peso politico di un ministero.
Infine, l’ultimo nome che viene ripetuto è quello dell’economista Carlo Cottarelli. Originario di Cremona e un curriculum di quelli che piacciono nella laboriosa provincia lombarda, Cottarelli è stato ex direttore del dipartimento Affari fiscali del Fondo monetario internazionale, poi presidente del Consiglio mancato nel drammatico maggio 2018, prima del primo governo Conte.
Volto televisivo noto, toni pacati ma decisi, potrebbe essere il giusto mix di novità politica e competenza tecnica. Lui ha già dato una sua disponibilità di massima, galvanizzando Italia viva e Azione, per poi precisare però che «dipende da quello che si propone e da quello che si vuole fare».
Eppure, sono ancora tutti nomi scritti sull’acqua. Per ora il più solido sembrerebbe quello di Tabacci, ma le incognite sono ancora troppe. Che l’ultimo presidente non leghista possa tornare al palazzo della regione 34 anni dopo, però, sarebbe quasi un miracolo.
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