Da George Washington a Francisco Franco, da quelli in Sudamerica agli italiani del Piano Solo. Storia dei capi militari al governo, delle loro scorribande, dei contributi alla formazione degli imperi e degli stati: dalla fine della democrazia all’instaurazione di dittature
A furia di invocare l’interesse generale, finisce che invece arrivi un Generale. La storia politica è marcata dalla presenza dei militari, dalle loro scorribande, dal contributo alla formazione degli imperi e degli stati, dalla fine della democrazia, all’instaurazione di dittature.
I generali per antonomasia
George Washington fu comandante delle forze militari durante la Guerra di indipendenza americana, ebbe un ruolo cruciale nella Convenzione di Filadelfia che stilò la Costituzione e alla fine venne eletto primo presidente degli Stati Uniti, senza nemmeno un voto contrario; rieletto e poi rinunciò alla terza candidatura per evitare la concentrazione del potere.
Per dire. Dwight Eisenhower dopo aver guidato le operazioni militari nell’Europa occupata dal nazifascismo, fu il primo repubblicano dopo la lunga stagione democratica eletto a capo della Casa Bianca per due mandati, alla fine dei quali, nel messaggio di commiato, ammonì gli americani sul rischio di complesso industriale-militare, ossia del potenziale pericolo che la società, la politica e l’economia corressero dipendendo troppo dall’industria militare, lui che pure aveva lanciato la politica di contenimento del comunismo. Era il 1961.
Napoleone Bonaparte, oltre che generale divenne imperatore, fu presidente dello stato pre-unitario italiano e re fino al 1814; maestro di guerra, strategia, ambizione, ma anche di riforme sociali e statali. Sempre in Francia un ruolo centrale fu quello di Ferdinand Foch artefice della vittoria francese nella Prima guerra mondiale. La sedicente repubblica di Vichy, collaborazionista dei nazisti, fu guidata da un generale, quel Pétain che si macchiò di terribili crimini, a cominciare dal rastrellamento del Vélodrome d’Hiver di Parigi, condotto per un eccesso di fervente zelo pro-Germania che costò la vita a tredicimila persone.
Charles De Gaulle, generale, guidò da Londra la resistenza al nazifascismo rivolgendosi ai francesi nel celebre appello del 1940, mentre in Italia i militari scappavano imbarcati a Brindisi. De Gaulle cambiò le istituzioni francesi, aveva una grande considerazione di sé, ebbe un ruolo centrale negli accordi per l’indipendenza dell’Algeria, motivo per cui subì diversi attentati, ma si dimise qualche anno dopo per l’esito negativo di un referendum sul Senato da lui promosso.
I generali e le dittature
In America Latina i generali hanno fatto più male. La dittatura in Argentina ha massacrato il Paese. Divorato le risorse naturali, ucciso migliaia di oppositori e condotto politiche sociali ed economiche devastanti. I militari giunsero al potere rovesciando i descamisados guidati da Juan Peron, anch’esso generale, e lo cedettero dopo la disastrosa guerra delle Falkland che qualche emulo recente vorrebbe rievocare.
Nel confinante Cile, Augusto Pinochet, il macellaio di Santiago, pose termine alla presidenza progressista di Salvador Allende anche grazie al sostegno della Cia e di Henry Kissinger, futuro premio Nobel per la pace. Dopo aver deposto il socialista latino-americano, Pinochet fu spodestato a seguito di un referendum, in realtà un plebiscito, che intendeva celebrare sé stesso conferendogli altri otto anni di presidenza, ma il cui esito si palesò quale effetto collaterale esiziale per il Nonno.
Nell’America centrale, emblematica è la figura di Rafael Trujillo che fece uccidere migliaia di haitiani identificati in base alla pronuncia della parola perejeil e perciò sinistramente ricordata quale Massacro del prezzemolo. Nel 1961, dopo un trentennio di governo condiviso in parte con il fratello, fu ucciso in un attentato mentre si recava a Ciudad Trujillo, nome dato alla capitale Santo Domingo (La festa del caprone, di Vargas Llosa ne fa un ritratto istruttivo e sarcastico).
Trasvolando verso la Spagna dal Marocco dove si era in passato distinto per la riconquista di Melilla, Francisco Franco nel 1936 guidò la rivolta dell’esercito contro la Repubblica, le cui sorti furono segnate dal sostegno militare di Mussolini e Hitler e dalle divisioni dei repubblicani. Il Caudillo rimase in sella fino alla morte dopo una lunga agonia sul finire del 1975. Qualche anno dopo, la nuova democrazia fu messa in discussione da alcuni altri generali, nel 1981, ma si risolse quasi in una farsa dai tratti macchiettistici.
Nell’altro lembo della penisola iberica Antonio Salazar nel 1932 diventò capo del governo sostituendo proprio un generale, Domingos Oliveira, e rimase in carica per quasi mezzo secolo dando vita alla dittatura più longeva d’Europa. Il suo motto “fieramente soli” si ispirava all’autarchia fascista, ma fu travolto dalla rivolta delle colonie.
Proprio i militari, unico caso rilevante nella storia, hanno contribuito a rovesciare una dittatura e a favorire la transizione democratica: il 25 aprile del 1974. Si trattava di una rivolta guidata dai “capitani”, alla cui testa vi era però Ramalho Eanes che divenne primo presidente della Repubblica proprio per “tutelare” il nuovo corso e condurlo fino alle soglie della Comunità europea, dove il ruolo dei militari non poteva più essere tollerato.
I generali e i totalitarismi
Iosif Stalin rifiutò il titolo di generale considerandosi sempre maresciallo. Il grado militare inferiore non impedì però all’Uomo d’acciaio di condurre terribili purghe, deportazioni e omicidi di massa e di guidare l’Urss per un trentennio. Dopo la nomina di Hitler alla cancelleria, il generale von Schleicher immaginava di poter vigilare sul fuhrer, il quale invece sbaragliò ogni resistenza civili, politica e militare. Ma furono proprio i suoi generali a siglare la resa incondizionata con gli Alleati, tradendo in qualche modo la politica del capo.
In generali in Italia
E in Italia? Pietro Badoglio, generale, ma maresciallo per i gradi militari fascisti, scappò da Pescara verso sud dopo l’armistizio dell’8 settembre: «La guerra continua e l’Italia resta fedele alla parola data» disse alla radio, ma fu un comunicato incerto che lasciò le truppe in balia del destino.
La nomina a capo del governo nel giorno della sfiducia a Mussolini non gli valse però il recupero della reputazione, fortemente compromessa dopo Caporetto e le armi chimiche usate in Etiopia. Nella fase repubblicana i generali tentarono l’ingresso in politica con il Piano Solo, e Giovanni de Lorenzo generale dei carabinieri che nel 1967 con quel monocolo sembrava un ritratto di Guareschi, ma puntava a sovvertire l’ordine democraticamente costituito.
Valerio Borghese non era generale, ma un epigono della feccia fascista della X-Mas e nel 1970 tramava «mentre la forestale tenta il golpe alla Rai» – come cantava Rino Gaetano –, un tentativo mai andato in porto sebbene avesse avuto l’appoggio della P2, di servizi segreti deviati e politica.
Vari generali, ma anche tanti aspiranti Cesare, che sono “caporali di giornata”. Nel paese dei molti populisti e populismi che pretendono di parlare in nome e per conto del popolo, dell’interesse generale, finisce che arrivi un generale, che magari inconsapevolmente diventerà un Della Rovere.
© Riproduzione riservata