- L’ex leader Cgil: «Più precari, più poveri e nessun confronto. Da Meloni brutti segnali. Sul decreto lavoro la premier va ben oltre la disintermediazione».
- «Il taglio delle tasse è temporaneo. Cosa succederà dopo? In queste condizioni, dire che aumentano gli stipendi e quindi migliorano le condizioni di vita è ridicolo».
- «Il tentativo di dividere i sindacati è un grande classico, ma non ha mai prodotto effetti positivi: non per i lavoratori, ovviamente, ma neanche per i governi che ci hanno provato».
Una premier che riesuma un’antica definizione sprezzante dei sindacati confederali, «la Triplice», grande classico della destra, è una «brutta cosa, ricorda tempi che speravamo passati», dice Sergio Cofferati, ex segretario Cgil.
E un decreto varato il giorno della festa dei lavoratori, senza conferenza stampa è «molto preoccupante: convocare i sindacati la sera sera, per comunicare i contenuti di un decreto già scritto, in un’ora, sessanta minuti per sessanta pagine è novità assoluta. Così come la cancellazione delle domande dei giornalisti: segnale bruttissimo, che non riguarda solo i giornalisti. Esprime un’assoluta mancanza di voglia di confronto: con i lavoratori per tramite delle organizzazioni sindacali, e con la pubblica opinione per tramite dei cronisti. E non è stato neanche presentato alle imprese. Il metodo è sostanza: siamo ben oltre la disintermediazione».
Nel merito, Giorgia Meloni parla del «più grande» taglio di tasse della storia italiana. Renzi le ha contestato che il suo governo fece di più.
Ha ragione Renzi, lo dico io che non l’ho certo apprezzato da premier. Ma poi il taglio è temporaneo. Cosa succederà dopo? Il governo riduce i temi dell’economia e del lavoro alla questione fiscale. Ma la povertà aumenta, e c’è una quota rilevante di persone che lavorano ma restano povere, perché hanno un lavoro temporaneo, o poco retribuito, e che quindi non costruisce una pensione decente. Aggiungo l’aumento della precarizzazione, con la cancellazione sostanziale delle casuali dei contratti a tempo. In queste condizioni, dire che aumentano gli stipendi e quindi migliorano le condizioni di vita è ridicolo. Il reddito da lavoro degli italiani è molto più basso di quello dei colleghi europei. C’è rischio di tensioni sociali.
Anche perché almeno 260mila famiglie dalla prossima estate non percepiranno più il reddito di cittadinanza.
Altro errore. La nuova formulazione nella sostanza è la sua cancellazione, e di nuovo questo agisce sulle fasce deboli. In tutto questo non c'è nulla che riguardi i compiti e i doveri delle imprese. Il governo non si fa carico del rispetto dei patti fra i soggetti della rappresentanza: ci sono molti contratti che aspettano da tempo di essere rinnovati. Aggiungo che restano i finti contratti, stipulati da organizzazioni sia imprenditoriali che sindacali inesistenti. Il Cnel ci spiega che questi contratti non solo hanno valori salariali bassi ma non contemplano diritti, dunque sono lo strumento che viene utilizzato in circostanze di difficoltà per fingere di rispettare le regole, ma nella sostanza ridurre le protezioni e salari.
La legge sulla rappresentanza non è nei programmi della destra.
È un tema che non prendono neanche in considerazione. Non si vedono iniziative serie neanche sul dramma della sicurezza sul lavoro.
La ministra del lavoro Calderone dice che questo decreto ha una «visione». Che visione ha?
Non so cosa “veda” la ministra, Io vedo una drammatica precarizzazione del lavoro.
I sindacati sono stati umiliati?
I sindacati avranno lo spazio che si prenderanno. Ma ormai la questione dei salari non riguarda solo i lavoratori. Anche la politica deve fare la sua parte.
In Francia i sindacati però fanno la loro parte diversamente: la riforma delle pensioni ha scatenato un conflitto sociale forte. Da noi non se ne vede l’ombra.
Quel che fa un sindacato nasce dalla sua storia, e dal suo modo di intendere la propria funzione. Il sindacato francese ha una rappresentanza più stretta di quello italiano e una tradizione di lotta più vivace, diciamo così. Ma il sindacato italiano ha le condizioni non solo di discutere con i lavoratori e le lavoratrici ma anche con chi non lavora, e con chi ha già lavorato. Non c’è una politica industriale e questo riguarda i luoghi di lavoro ma anche i territori.
Oggi il sindacato italiano paga la tradizione della concertazione?
Ma no, la concertazione nasce negli anni 70 e vive ancora adesso, e il punto sta nella funzione di rappresentanza di un sindacato. Il nostro ha una rappresentanza più articolata e complessa, che ha dei vantaggi ma anche degli obblighi.
Meloni prova a minare l'unità sindacale. Ce la farà?
Il tentativo di dividere i sindacati è un grande classico, ma non ha mai prodotto effetti positivi: non per i lavoratori, ovviamente, ma neanche per i governi che ci hanno provato.
Maurizio Landini ha invitato Meloni al congresso Cgil, provando forse a stabilire una dialettica istituzionale decente. Non è stato ripagato?
Mi sembra evidente di no.
Resta che molti lavoratori hanno votato il partito di Meloni, e a loro sarà piaciuto il video con cui ha illustrato il decreto sul lavoro.
Preferisco non commentare quel video. Anche in passato c’erano masse di lavoratori che votavano Dc e partiti di destra. Ma se oggi accade in così grandi proporzioni vuol dire che la sinistra non è in grado di rappresentare adeguatamente il mondo del lavoro.
L’opposizione divisa è uno dei problemi dei sindacati?
Forse è il primo problema. Sui grandi temi le opposizioni debbono cercare elementi di convergenza. Non farlo indebolisce la dialettica sindacale, oltreché la sinistra stessa.
Che impressione le ha fatto leggere la prima intervista della segretaria del Pd Schlein su Vogue, mensile letto non precisamente dal mondo operaio?
La rappresentanza dei lavoratori è data dal merito delle proposte che si fanno, che riguardano la loro vita e le loro condizioni materiale. Le questioni di comunicazione sono delicate e importanti, anche per i pretesti a cui espongono. Ma debbono essere sempre valutate separatamente alla proposta di merito.
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