Il think thank Tortuga ha condotto un’indagine nelle aziende italiane che hanno implementato il congedo parentale obbligatorio esteso, rilevando un netto miglioramento nella qualità della vita familiare per i dipendenti
Il congedo di paternità obbligatorio deve essere una garanzia assicurata dallo Stato o materia privata da far gestire autonomamente alle aziende? Secondo il 96% degli intervistati del rapporto “Verso una genitorialità condivisa” del think thank Tortuga – tutti uomini dipendenti di grandi aziende italiane che hanno usufruito del congedo parentale – la norma dovrebbe essere applicata a livello nazionale.
Dopo il Covid infatti diverse grandi imprese hanno consentito ai loro dipendenti la possibilità di estendere il congedo di paternità obbligatoria oltre i dieci giorni previsti dalla legge.
LA NORMA
Il congedo parentale è stato introdotto in Italia nel 2000 e ha subito nel corso degli anni varie modifiche, l’ultima apportata con la legge di bilancio 2023. Sono garantiti, per entrambi i genitori, fino a 12 mesi di assenza retribuita dal lavoro, per il primo mese all’80 per cento dello stipendio e poi a partire dal secondo al 30. Tuttavia oggi sono ancora le donne a utilizzare in maggiore misura il congedo, tra il 2017 e il 2022 l’80 per cento delle e dei richiedenti sono state le madri.
Questo dato si può spiegare attraverso due motivi principali: la retribuzione solo parziale del congedo e la persistenza in Italia di norme di genere che creano l’aspettativa che il dovere primario del padre sia il lavoro, mentre quello della madre sia prendersi cura della famiglia.
C’è poi un’altra tipologia di congedo: quello di paternità obbligatorio. In questo caso si garantiscono dieci giorni di riposo retribuito al 100 per cento per i padri, mentre con quello di maternità obbligatorio vengono vietate le attività lavorative negli ultimi tre mesi di gravidanza e nei primi due dopo il parto, per un totale di cinque mesi.
Nel 2022 quattro deputati di centro sinistra, Alessandro Fusacchia, Erasmo Palazzotto, Rossella Muroni e Lia Quartapelle, avevano presentato una proposta di legge per estendere il congedo di paternità obbligatorio a tre mesi, ancora depositata alla Camera ma mai approvata.
Stando agli ultimi dati del rapporto annuale Inps, nonostante dal 2010 ci sia stato un netto incremento nelle richieste da parte dei padri, il livello non è ancora pari a quello delle madri, e c’è ancora molta sproporzione. Questo potrebbe incidere sugli indici di natalità, dato che nei paesi in cui il carico è equamente distribuito si fanno più figli.
IL REPORT
Un report presentato oggi alla Camera da Lia Quartapelle, redatto dal think thank Tortuga, ha provato a spostare il focus dal legame tra bassa natalità e occupazione femminile e guardare alla condizione dei padri, raccogliendo le esperienze di chi ha preso i congedi di paternità aziendali. «I paesi crescono quando le donne lavorano. I figli nascono quando le donne guadagnano», ha scritto in esergo del report Quartapelle.
In media i padri che scelgono il congedo sono lavoratori a tempo pieno, lavorano in grandi aziende e sono residenti nel Centro-Nord e sono mediamente di orientamento politico progressista; la maggior parte di loro lavora in smart-working. Il tasso di adesione invece è molto basso tra le persone con meno di trent’anni, con un contratto a tempo determinato, e un reddito inferiore. Secondo gli autori del report Tortuga questi sono tutti elementi che aumentano l'instabilità della situazione lavorativa di un dipendente.
Sono invece pochi gli uomini con una posizione apicale che chiedono il congedo parentale, cosa che invece, secondo gli autori del report, sarebbe necessario per dare un esempio ai dipendenti.
Il report ha rilevato un miglioramento netto nella qualità della vita familiare. Il 96 per cento degli intervistati ha detto di aver stretto più rapporto con i figli e la stessa percentuale ha rilevato più serenità all’interno della propria famiglia, dovuta a un maggior bilanciamento del carico di lavoro domestico. Inoltre, il 54 per cento degli intervistati ha dichiarato che «aver usufruito del congedo ha avuto un impatto positivo sulla percezione della fattibilità di avere altri/e figlie/e», rendendo più facile l’idea di fare figli in futuro.
Tuttavia ciò che continua a far desistere gli uomini dal prendere il congedo è il rischio di impatto negativo sulla crescita della carriera. Il 32 per cento degli intervistati che hanno dichiarato di non aver usufruito del servizio, pur avendone bisogno, hanno detto che pensavano che questo avrebbe impattato negativamente la loro crescita professionale. Meno alta, 14 per cento, ma comunque presente è una percentuale di padri che hanno usufruito del servizio e osservato un impatto negativo sul loro lavoro.
Questa preoccupazione si riscontra in misura minore nelle aziende che hanno già introdotto altre politiche progressiste, il 46 per cento dei dipendenti che lavora in queste imprese infatti rileva un impatto positivo dall’introduzione del congedo.
Le aziende coinvolte da Tortuga rappresentano una piccola parte del panorama italiano, e sono tra le poche che hanno attuato delle politiche di congedo parentale virtuose con una durata media pari a due mesi. Inoltre è bene sottolineare che c’è un grande divario tra le adesioni al congedo parentale Inps, il cui tasso è pari al 60 per cento, e tra quelle delle aziende coinvolte nel report, il cui tasso è pari all’85 per cento, perché completamente retribuite.
Per questo motivo gli autori del report, e l’onorevole Quartapelle, ritengono che sarebbe opportuno riformare in chiave migliorativa il congedo nazionale già esistente, conservando la retribuzione al 100 per cento e l’obbligatorietà, ma estendendone la durata a tre mesi.
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