Nel suo discorso di presentazione l’ex premier non ha risolto nessuno dei problemi che stanno bloccando il M5s. Oltre il consenso universale di facciata i parlamentari stanno facendo i conti per garantirsi il futuro migliore, magari anche oltre il termine del secondo mandato
- Conte non ne vuole nel «neoMovimento» né crede che siano necessarie, visto che le occasioni di confronto saranno ampie e frequenti.
- In ogni caso, per ricordare comunque a tutti che resta padrone della situazione, Luigi Di Maio non ha esitato a incontrare proprio ieri, poche ore dopo il discorso di Conte, il neosegretario del Pd Enrico Letta alla Farnesina.
- Sradicare ma anche raccontare le correnti interne al Movimento è complesso perché si sviluppano su più livelli e, soprattutto, non è detto che un’appartenenza ne escluda altre.
I Cinque stelle hanno paura, e si sente. I sondaggi registrano un gradimento in continua discesa, l’organizzazione interna del Movimento cambia quasi quotidianamente, e ai parlamentari non resta che capire su chi puntare per assicurarsi un futuro nel M5s, possibilmente anche oltre il secondo mandato. In realtà nell’incontro degli eletti di giovedì sera Giuseppe Conte, lanciando il suo progetto di rinnovamento del movimento, non ha affrontato il tema del limite dei due mandati, né ha fatto accenni a come verrà chiuso il conflitto legale in corso con Rousseau. L’unico riferimento indiretto a Davide Casaleggio nel discorso del nuovo capo del M5s, può essere individuato lì dove ha spiegato che «la tecnologia non è neutra» e che i dati degli iscritti vanno maneggiati «con la massima trasparenza e chiarezza». Poco per risolvere uno scontro che paralizza tutte le operazioni di voto ormai da tempo. Ma c’è stato anche un passaggio inaspettato – il resto era già filtrato nei giorni precedenti – quando l’ex premier ha parlato delle correnti. Conte non ne vuole nel «neoMovimento» né crede che siano necessarie, visto che le occasioni di confronto saranno ampie e frequenti.
Intanto le correnti, anche quelle non ancora formalizzate come associazioni, aspettano: la presa del potere da parte dell’”avvocato del popolo” sarà un processo lungo. E chi assiste gli eletti da molti anni prevede almeno altri tre-quattro incontri come quello di giovedì sera prima che la transizione sia completata. In ogni caso, per ricordare comunque a tutti che resta padrone della situazione, Luigi Di Maio non ha esitato a incontrare proprio ieri, poche ore dopo il discorso di Conte, il neosegretario del Pd Enrico Letta alla Farnesina. Il ministro degli Esteri non ha neanche lesinato pubblicità al comunicato congiunto con il segretario di Stato Anthony Blinken per i 160 anni delle relazioni diplomatiche tra Italia e Stati Uniti. Il segnale è chiaro.
Governisti contro puristi, parlamentari al primo mandato contro deputati e senatori già al secondo incarico, gruppi con interessi specifici che puntano all’attenzione del nuovo capo del Movimento. Sradicare ma anche raccontare le correnti interne al Movimento è complesso perché si sviluppano su più livelli e, soprattutto, non è detto che un’appartenenza ne escluda altre.
Governisti contro puristi
La divisione più antica e forse anche la più profonda nel Movimento è tra chi s’irrigidisce nella difesa dei valori fondativi e chi invece, pur di guadagnarsi un ruolo nell’esecutivo, non disdegna di scendere a compromessi. Tradizionalmente le due fazioni hanno trovato i loro punti di riferimento in Alessandro Di Battista e Di Maio, ma con l’addio al M5s dell’ex deputato-reporter la componente dei puristi ha perso diversi esponenti. Molti si sono ritrovati nel gruppo parlamentare L’alternativa c’è, formata da fuoriusciti ed espulsi. Restano alcuni parlamentari “ribelli”, tecnicamente espulsi dal Movimento ma ancora in attesa di verdetto con i probiviri, che sulla questione hanno l’ultima parola, che stanno ancora valutando le controdeduzioni. Alcuni, come Barbara Lezzi, sono volti noti del M5s e secondo molte fonti ambiscono a ottenere una rappresentanza nel direttorio, deciso dagli stati generali, che dovrebbe diventare di fatto la segreteria di Conte. Tra i governisti non vanno sicuramente dimenticati i fedelissimi di Di Maio, Manlio Di Stefano, Laura Castelli, Carlo Sibilia: la scelta di investire sull’ex capo politico è stata lungimirante visto che sono gli unici ad aver avuto un posto di governo in tutti e tre gli esecutivi di legislatura. Ma gli uomini del ministro degli Esteri presidiano anche l’attività parlamentare con ruoli chiave nell’organizzazione delle commissioni.
La guerra dei mandati
A spaventare i parlamentari che ragionano sul proprio futuro – e su quello del Movimento – c’è la questione del limite al secondo mandato previsto dalle regole originarie. Il garante Beppe Grillo ha ribadito nei giorni scorsi di voler mantenere fede a questo impegno e di non essere intenzionato a derogare in alcun modo. Secondo alcune fonti del M5s si tratta di una mossa per tutelare Conte ed evitare di caricargli subito sulle spalle un problema così complesso. Da settimane ormai la questione divide gli eletti: i veterani spingono per una deroga, anche se ufficialmente nessuno può permettersi di attaccare uno dei capisaldi dei pentastellati, mentre chi è al primo mandato è ovviamente schierato al fianco del fondatore. L’attività dei parlamentari meno esperti è però molto meno organizzata di quella dei big. Nella riunione su Zoom dei giorni scorsi i toni usati nei confronti dei colleghi al secondo incarico sono stati molto più pacati di quanto ci si aspettasse. Chi ha partecipato racconta che si è parlato per lo più di temi da portare avanti e molto poco di come far rispettare il vincolo. Insomma, una riunione piuttosto innocua. Vero è che i volti noti valgono voti, soprattutto al sud, dove il Movimento nel 2018 aveva fatto il pieno e che alle prossime elezioni rischia di dare grandi delusioni ai pentastellati. Non è detto quindi che Conte possa fare a meno del grosso bagaglio d’esperienza e peso sul territorio rappresentato dai parlamentari più esperti. Se non dovessero essere candidati ed eletti a Montecitorio o palazzo Madama, i big del M5s andranno sistemati altrove. Ma i possibili posti di governo, negli enti locali o nelle partecipate pubbliche prevedono una condizione tutt’altro che scontata: che il Movimento si trovi ancora in maggioranza.
I gruppi nei gruppi
Su un piano che incrocia tutti gli altri si pongono poi le formazioni interne ai gruppi parlamentari. La riorganizzazione del partito ha portato molti gruppi a raccogliersi intorno a temi e persone. Il più rilevante attualmente è quello di Carlo Sibilia, Italia più 2050. La formazione raggruppa una cinquantina di parlamentari ed è l’evoluzione di Parole guerriere, corrente già presente da tempo nel Movimento, riconducibile alla deputata Dalila Nesci e soprattutto a Roberto Fico, presidente della Camera. Sibilia in realtà era finora catalogabile tra i fedelissimi di Di Maio. La scelta di proporsi come capocorrente sembra una mossa per potersi sedere al tavolo con Conte, quando le acque si calmeranno, potendo contare, nelle eventuali trattative, su un importante pacchetto di parlamentari (e di voti da loro raccolti).
La campagna acquisti va avanti da qualche settimana, ma molti parlamentari restano scettici sulla reale portata dell’operazione e sul peso finale della corrente nell’universo pentastellato.
Più defilate e di dimensioni minori sono, almeno per il momento, le esperienze di Innovare e Transizione sostenibile (va notato come tutti e tre i nomi prendano spunto da parole usate da Grillo nei suoi ultimi discorsi). Innovare è un think tank lanciato da un piccolo gruppo di deputati al primo mandato, Giovanni Currò, Maria Pallini, Luca Carabetta e Davide Zanichelli. Il fatto che siano tutti alla prima esperienza parlamentare potrebbe far pensare a collegamenti con i sostenitori del limite dei due mandati, ma gli appartenenti giurano che si tratta solo di una combinazione e che il gruppo si limita a raccogliere persone con posizioni simili sui temi dell’innovazione. Non a caso non hanno partecipato alla riunione dei neo parlamentari di questa settimana. Transizione sostenibile nasce attorno ai presidenti di commissione Gianluca Rizzo e Filippo Galinella (rispettivamente Difesa e Agricoltura) e viene guardata con simpatia anche dall’ex viceministro Stefano Buffagni, che per il momento resta in attesa e non si posiziona sulla mappa delle correnti. Non è da escludere una possibile saldatura tra Innovare e Transizione ecologica. A quel punto si verrebbe a creare una vera opposizione interna a Italia più 2050.
Contiani vs Di Maio boys
Un ulteriore livello di scontro è quello tra la colonna romana, guidata da Paola Taverna ma che raccoglie anche figure molto radicate sul territorio come Roberta Lombardi, e chi ha scelto come proprio leader il ministro degli Esteri. I primi, tra cui si possono collocare anche il ministro Stefano Patuanelli e l’ex capogruppo al Senato con un passato in regione Lazio Gianluca Perilli, si sono progressivamente sottratti alle battaglie interne ai gruppi parlamentari per posizionarsi a un livello più alto: quello di Giuseppe Conte.
Certo, il nome dell’ex premier è uno di quelli a cui nessuno può dire di no, soprattutto non può farlo l’ex capo politico Di Maio. Ma la sua potrebbe essere una strategia a lungo termine. Il basso profilo che sta tenendo il titolare della Farnesina fa pensare che voglia far passare un po’ di tempo e rafforzare ulteriormente l’immagine da politico competente che sta curando ormai da qualche mese. Uscite mai sopra le righe, testa bassa e lavoro, prudenza nei posizionamenti e comunque movimenti quasi sempre al fianco dell’ex presidente del Consiglio. Secondo il ragionamento di alcune fonti Conte si sobbarcherebbe in questo modo tutte le grane da risolvere prima del rilancio del Movimento ma anche i problemi che quasi sicuramente accompagneranno le elezioni amministrative e le difficili trattative con il Pd. Un compito complicatissimo che potrebbe mettere in difficoltà anche una figura rispettata da tutti come la sua. E a quel punto, per prendere in mano il Movimento servirebbe una figura autorevole, competente e con una certa esperienza.
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