Berlusconi costringe Lega e Fdi a seguirlo e tutti votano a favore dello scostamento di bilancio. Ora l’esecutivo rischia di nuovo (poco). E il Pd invita il premier a occuparsi del M5s
- Anche l’opposizione vota sì a sforare ancora i conti pubblici, esultano i «dialoganti» Pd e Forza Italia. Franceschini al leader azzurro che ha costretto gli alleati: «Chapeau».
- Ma ora il presidente del consiglio deve trovare una soluzione ai conflitti fra gialli e verdi. Il 9 dicembre si votano le mozioni sulla riforma del Fondo Salva Stati. Il Blog grillino: «Finché c’è il M5s in maggioranza il Mes non sarà usato».
- Ma c’è confusione fra la linea di credito sanitaria e il meccanismo che mise in ginocchio la Grecia. Anche le destre divise, no di Lega e Fratelli d’Italia.
La nottata del nuovo scostamento di bilancio di 8 miliardi è passata con il voto bipartisan di maggioranza e opposizione. Ma il governo non ha il tempo di tirare un sospiro di sollievo che già all’orizzonte si staglia un altro passaggio “da paura”. Nel calendario è segnato per il 9 dicembre, il giorno in cui il presidente Giuseppe Conte andrà alle camere per le sue comunicazioni in vista della partecipazione dell’Eurogruppo (sarà il giorno dopo) e il parlamento voterà le mozioni sulla riforma del Meccanismo salva stati, l’ormai famigerato Mes, già congelato un anno fa per non far saltare il governo. Prima di quella data il ministro Roberto Gualtieri andrà nelle commissioni a spiegare la proposta italiana.
Ogni giorno ha la sua croce, per il premier, e intanto ieri è andata bene. Silvio Berlusconi è riuscito a costringere gli alleati riottosi a votare sì e così evitare la messa in scena delle ormai feroci divisioni che attraversano il centrodestra. Incassato il risultato, Conte parla di «ottimo segnale». Il ministro Luigi Di Maio dice che il segnale è addirittura «grande» e si spinge fino a un insolito complimento indiretto alle opposizioni parlando di «lealtà istituzionale nei confronti del paese».
Ma il voto ha due vincitori morali. Uno appunto è Berlusconi, che è riuscito a far arrendere Matteo Salvini, anche perché alcuni leghisti gli avevano spiegato che sarebbe stato difficile giustificare un no di fronte «ai lavoratori autonomi, commercianti, artigiani, professionisti», e cioè i destinatari dei provvedimenti. L’altro è il Pd, l’ala «dialogante» della maggioranza. In serata il segretario Nicola Zingaretti al Tg3 liquida come «chiacchiere» quelle sul governissimo ma parla di «giornata importante per l’Italia».
Il ministro Dario Franceschini si toglie il gusto di mettere un dito nell’occhio a Lega e Fratelli d’Italia: «Una scelta di responsabilità di Berlusconi che ha politicamente costretto le altre forze di centrodestra a cambiare linea e ad adeguarsi. Chapeau». Anche da sinistra la vittoria dei moderati nel campo avversario viene sottolineata: il confronto tra maggioranza e opposizione è quello che «già avviene nelle grandi nazioni europee e fino a oggi è stato bloccato dalla destra sovranista italiana», dice il capogruppo di Leu a Montecitorio Federico Fornaro.
Ma quale Mes
I Cinque stelle fanno buon viso a cattiva sorte. Sempre più attraversati dai conflitti interni, hanno provato fino all’ultimo a far saltare i nervi al gruppo di Forza Italia al Senato.
Il voto di palazzo Madama non era ancora incassato che già in mattinata dal Blog partiva il primo razzo: «Finché c’è il M5s in maggioranza il Mes non sarà usato. Sentiremo l’informativa di Gualtieri sulla riforma e faremo i nostri rilievi. Non consentiremo ipoteche sui nostri figli e non accetteremo operazioni di palazzo».
È anche un avviso a chi fantastica su altre maggioranze. Ma lo spettro di un nuovo patto del Nazareno agita i sonni solo di chi non sa far di conto: i numeri per un esecutivo Pd e Forza Italia (che Zingaretti liquida come una fesseria) comunque non ci sono.
L’obiettivo è Conte. Nel pomeriggio anche sette senatori grillini battono un colpo. Il Mes «è uno strumento dannoso», scrivono, ed elencano tutti quelli che, più o meno, sostengono questa tesi: «Banca Generali e Saxo Bank», «David Sassoli ed Enrico Letta», e infine ricordano che lo stesso ministro Gualtieri ha detto del Mes che «“non si tratta di 37 miliardi in più per la sanità”, sono risorse che hanno l’obiettivo di sostenere un paese in deficit di liquidità, ma l’Italia non si trova in deficit di liquidità». Conclusione dei sette: il Mes va abbandonato .
La confusione fra i due dossier – riforma del Mes e accesso alla linea di credito sanitaria – si presume voluta. Ma è l’ennesimo atto di ostilità verso il Pd che ormai ogni giorno cannoneggia per ribadire la sua richiesta di accedere ai 37 miliardi.
E che ha costretto anche il ministro della Salute Roberto Speranza a qualche cauta dichiarazione in questa direzione. Piero De Luca, capogruppo dem in commissione Politiche europee alla Camera e figlio d’arte, cerca di distinguere: «Non si discute dell’utilizzo della nuova linea di credito sanitaria pandemica da 240 miliardi, di cui 36/37 rivolti al nostro paese, su cui pure auspichiamo una decisione positiva. L’Italia e gli altri stati membri saranno chiamati a esprimere la propria posizione finale sulla riforma del Trattato Mes, oggetto di un negoziato ormai in dirittura di arrivo». Da Bruxelles arrivano pressioni: l’Eurogruppo di lunedì prossimo dovrebbe dare il via libera alla riforma del Mes congelato proprio per l’opposizione dell’Italia. Se sarà così, l’Eurosummit del 10 dicembre, formato dai capi di stato e di governo, appoggerà l’accordo. E la palla passerà alle ratifiche dei parlamenti nazionali.
È un guaio, ma anche una scappatoia per Giuseppe Conte, che sul tema si tiene da mesi in un equilibrio stabilmente instabile. Anche stavolta non avrà problemi di voti (le destre sono divise tanto quanto la maggioranza, FI voterà Sì). Ma per dare ai Cinque stelle la possibilità di votare Sì senza perdere la faccia, dovrà cesellare il suo discorso. Spiegando che proseguire nella riforma non significa automaticamente chiedere il Mes sanitario. E che comunque alla fine voterà il parlamento. «È il capo del governo, pensi lui a convincere i Cinque stelle», spiegano dal Pd. «Una cosa è certa, il governo non cadrà per colpa del Pd».
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