L’ex premier torna professore per un giorno alla sua università di Firenze. Ma se diventa leader deve tornare in aspettativa. Nella lectio magistralis rivendica le scelte del suo governo. Silenzio dai suoi ex ministri
- Nonostante la promessa di «non entrare in valutazioni di merito sulle decisioni assunte», è un’ora di orgoglio contiano. In attesa che «la storia tracci bilanci e meditazioni ponderate».
- Nessun commento, neanche di cortesia, da parte degli ex colleghi. Nel Pd Zingaretti è alle prese con il suo congresso: la corrente di Guerini e Lotti lo attacca, ma ammette che non si potrà svolgere prima dell’autunno.
- Anche i Cinque stelle hanno altro a cui pensare. Il conclave a casa Grillo salta. All’ordine del giorno ci sarebbe stato anche la scelta un ruolo di rilievo per Conte, forse da presidente.
Una rivendicazione piena dell’operato del suo secondo governo, quello che si è trovato ad affrontare la pandemia, «a futura memoria», in attesa che «la storia» tracci «bilanci e meditazioni ponderate». L’ex presidente del consiglio Giuseppe Conte dà un passo solenne alla sua lectio magistralis all’Università degli studi di Firenze, che segna il ritorno all’attività di docente universitario. Un’ora di discorso da remoto sul tema «Tutela della salute e salvaguardia dell’economia: lezioni dalla pandemia».
Dalla presentazione del rettore Luigi Dei non risulta chiaro chi ha avuto l’idea dell’iniziativa (entrambi ringraziano per la proposta ricevuta). Nonostante la premessa e la promessa di «non entrare in valutazioni di merito sulle decisioni assunte», è un’ora di orgoglio contiano. La prima di una serie, ma potrebbe essere anche l’ultima. L’ex premier dedica agli studenti un racconto che in nulla si discosta dall’era Casalino. Da quel drammatico febbraio 2020 «le difficoltà di gestione sono subito apparse evidenti», ma «l’Italia per prima ha compiuto scelte risolute», la bussola è stata il principio di precauzione e quello costituzionale che «la salute merita le più alte tutele». La guerriglia continua con le regioni viene definita «un costante dialogo», il potere sostitutivo di cui pure il governo avrebbe potuto disporre «mai preso in considerazione», l’infinita doppia serie di Dpcm è stata utilizzata perché «non sarebbe stato possibile lasciare l’intera regolamentazione ai solo decreti legge per l'imprevedibilità della pandemia e i tempi della conversione del decreto in legge. C’era la necessità di uno strumento agile per intervenire prontamente», anche più volte a settimana viene da ricordare. I dubbi – anche quelli di giuristi autorevoli – sono derubricati a «interpretazioni anarchiche del concetto di libertà». E così «il nostro sistema democratico ha retto questa dura prova» evitando «che lo stato di emergenza si trasformasse in stato di necessità». Dinanzi ai cittadini rintronati dalle opposte opinioni degli scienziati rivendica «l’assunzione finale di responsabilità alla politica». Mette in guardia sulla «moda» del nuovo europeismo, e sembra alludere al suo primo governo, quello con Matteo Salvini, ai tempi in cui «il popolo europeo stava manifestando una forte carica oppositiva all’élite», rivendica anche la nuova direzione dell’Unione, da mantenere «quando ricominceranno a soffiare venti nazionalistici».
Ma Conte resta solo
A giudicare anche dalle citazioni, Conte ha lavorato sodo sul suo discorso, non certo un comizio politico come temono le destre – mancherebbe, siamo in una università – ma comunque il primo della sua nuova vita da leader fuori dal palazzo. Ma tanta fatica cade nel vuoto. Nessun commento, neanche di cortesia, da parte dei suoi ex ministri. Né da parte di quel Pd che fino a pochi giorni fa lo considerava leader del futuro centrosinistra. In pochi giorni è cambiato tutto. Il segretario Nicola Zingaretti in questo momento ha altro a cui pensare. Nella direzione di giovedì scorso non ha citato neanche una volta l’ex premier, oggetto della discordia nel suo partito. Ieri il sindaco di Firenze Dario Nardella, dal fronte della rivolta contro il segretario, ha detto che «partire con “Conte o morte” è stato un errore». Per Zingaretti, come del resto per Dario Franceschini, l’aspirazione all’alleanza con i Cinque stelle resta. Ma ora al governo c’è Draghi, il problema del Pd è semmai combattere l’intelligenza con Salvini nelle proprie file. Quanto alla coalizione giallorossa, con ogni probabilità le amministrative saranno rimandate a ottobre, non c’è fretta di discuterne. A ottobre forse partirà anche il congresso anticipato. Base Riformista, la corrente di Lorenzo Guerini e Luca Lotti da cui sono partiti gli attacchi più duri verso Nazareno, chiede ufficialmente le assise ma ovviamente «dopo la pandemia». Il 13 marzo all’assemblea nazionale Zingaretti farà la sua proposta: ha smentito l’intenzione di dimettersi, e ieri ha rimaneggiato la sua segreteria. Ora è alle prese con il “caso Orlando”: i Giovani turchi ne chiedono le dimissioni sulla base del precedente di Paola De Micheli, che si dimise da vice appena nominata ai Trasporti. Lo stretto giro del segretario fa muro in difesa di Orlando.
Anche i Cinque stelle hanno altro a cui pensare, che non alla lectio di Conte: per il week end era stato ventilato un conclave dei vertici nella casa di Bibbona di Beppe Grillo, nel livornese. All’ordine del giorno ci sarebbe stato anche la scelta un ruolo di rilievo per Conte, forse da presidente, da federatore non più degli europeisti e centristi che aveva cercato in parlamento prima di cadere, ma di un movimento ormai dilaniato e ridotto a uno sterminato gruppo misto. A ieri sera l’appuntamento sembrava slittato, se non cancellato. E però presto Conte dovrà decidere cosa fare. Se diventasse «segretario o presidente di un partito che ha rappresentanti in parlamento, c’è una legge, la 382 del 1980, che lo rimanda in aspettativa obbligatoria», ha candidamente spiegato ai cronisti il rettore Luigi Dei.
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