I giornalisti hanno impedito che la storia di mio fratello, Stefano Cucchi, venisse sepolta sotto le menzogne e i depistaggi. Scrivo per Domani per dare voce alla battaglia per la giustizia.
- Hanno chiesto a me e Fabio Anselmo di scrivere per Domani. Lo facciamo volentieri, perché i giornalisti hanno diffuso e impresso nella memoria della gente il volto martoriato di mio fratello.
- Stefano Cucchi non era un nessuno. Era un ultimo tra gli ultimi. Ma era un essere umano. Mio fratello, il figlio dei miei genitori. Giovanni e Rita. Non ce l’hanno più ma, in un qualche modo, sanno che il loro figlio è contato qualcosa.
- I recenti fatti di Piacenza sono la conseguenza di quello che può produrre il senso di impunità per coloro che commettono fatti criminali nascondendosi dietro la divisa.
Un giorno credi di essere giusta e di essere una ragazza normale. Credi di avere una vita giusta e una famiglia normale.
Un altro ti svegli e devi cominciare da capo. Ti hanno ammazzato un fratello. Tuo fratello. Devi ricominciare da zero. Ti dicono che la sua vita non valeva nulla. Ti dicono che è morto da solo. Per colpa sua. Piangi e ti senti distrutta. Ti raccontano di un falso incidente. Di una falsa morte naturale. Devi mettere tutta la forza che hai nei tuoi fragili nervi. Ti guardi intorno e vedi gli sguardi interrogativi dei tuoi figli. Le lacrime disperate dei tuoi genitori. A questo punto non devi lasciare, se le prendi di santa ragione, insisti di più. Qui la lotta è più dura ma fatti forza e vai incontro al tuo giorno, per parafrasare una notissima canzone di Edoardo Bennato. Non posso non rivedermi in quelle parole.
Così è stato. Hanno chiesto a me e a Fabio Anselmo di scrivere per Domani. Lo facciamo volentieri così come lo abbiamo sempre fatto e faremo per chiunque ce lo chieda o chiederà. Perché?
Perché i giornalisti hanno impedito che la storia di Stefano Cucchi venisse sepolta sotto le menzogne di depistaggi infami e di una propaganda becera e ignorante.
Perché i giornalisti hanno diffuso e impresso nella memoria della gente il volto martoriato di mio fratello, permettendo a tutti di poter vedere quel che siamo stati costretti a vedere noi, suoi famigliari, quel maledetto 22 ottobre del 2009 all’obitorio di Roma.
Perché i giornalisti non hanno mai abbandonato questa terribile storia continuando a seguirne, passo dopo passo, il suo lungo e tormentato iter giudiziario che non ha ancora avuto termine.
Perché i giornalisti, nel bene e nel male, hanno mandato a tutti noi un messaggio forte e chiaro: non si può uccidere impunemente uno Stefano Cucchi qualsiasi pensando di poter avere la certezza di rimanere impuniti. Anche se era un tossico di merda. Anche se era uno spacciatore. Lo stato non può permettersi il “lusso” di fare questo. Lo stato no.
Le hanno tentate tutte. Forse pensavano che il passare degli anni avrebbe scolorito la memoria di questo assassinio. Avrebbe fiaccato le nostre energie.
No. Non è successo.
I giornalisti hanno compreso il valore di tutto questo. Ci sono stati vicini, sempre. Anche quelli ideologicamente ostili. Tutto questo ha per me un valore enorme.
Sono stati compagni di viaggio. Le loro cronache e le dialettiche, spesso polemiche, che hanno impegnato il loro lavoro ci hanno dato tanta forza.
erché si parlava di Stefano e questo ci consentiva di continuare a pensarlo vivo.
Perché si parlava di Stefano e, così facendo, ci consentiva di credere che la sua vita non fosse senza valore, come qualcuno si affannava a sostenere. Che la sua morte non fosse poi così insignificante, come qualcun altro tentava di far passare.
Stefano Cucchi non era un nessuno. Era un ultimo tra gli ultimi. Ma era un essere umano. Mio fratello, il figlio dei miei genitori. Giovanni e Rita. Non ce l’hanno più ma, in un qualche modo, sanno che il loro figlio è contato qualcosa.
Per questo sarò sempre grata ai giornalisti e a Domani per il solo fatto che ci permetteranno di avere voce.
I recenti fatti di Piacenza sono la conseguenza di quello che può produrre il senso di impunità per coloro che commettono fatti criminali nascondendosi dietro la divisa.
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