- Ci si aspettava che Nordio facesse chiarezza sulla divulgabilità delle informazioni rese da Donzelli in Parlamento. Così non è stato. La “prassi” della riservatezza sulle conversazioni captate in carcere è stata prevista dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria nel 2019, in concomitanza alla legge sulle intercettazioni.
- Nordio non ha considerato il segreto amministrativo, che impone ai dipendenti pubblici di non divulgare informazioni conosciute in ragione del proprio ufficio. Sarebbe grave se analoga forma di riservatezza non gravasse anche su collaboratori del ministro.
- Dunque, Delmastro non avrebbe dovuto comunicare le informazioni a Donzelli, il quale poteva chiederle solo mediante la procedura di accesso agli atti prevista dalla legge. Avendole invece ottenute in via informale, e in considerazione della sensibilità delle informazioni stesse, Donzelli doveva astenersi dal renderle note.
Ci si aspettava che il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, facesse chiarezza sulla divulgabilità di conversazioni tra l’anarchico Alfredo Cospito, detenuto sottoposto al regime previsto dall’art. 41-bis (l. n. 354/1975), e alcuni membri della criminalità organizzata.
Com’è noto, tali informazioni erano state rese pubbliche alla Camera da Giovanni Donzelli, deputato di Fratelli d’Italia, il quale le aveva apprese da Andrea Delmastro Delle Vedove, sottosegretario al ministero della Giustizia, con delega all'amministrazione penitenziaria. Ma la chiarezza attesa non c’è stata.
Il segreto
Nella nota diffusa da Nordio il 2 febbraio scorso, si dice subito che la scheda contenente le informazioni divulgate da Donzelli non risultava «coperta da segreto». Al di là dei tecnicismi utilizzati nella parte successiva della nota, questa frase è la più agevolmente comprensibile da chiunque. Ma quali sono i documenti classificati come segreti?
Il ministro lo spiega qualche riga dopo: si tratta di quelli che rientrano nella «materia del segreto di Stato», relativo agli atti che possono arrecare danno all’integrità della Repubblica, alla difesa delle istituzioni ecc.; nonché di quelli coperti da una delle «classifiche di segretezza, disciplinate dalla legge 124/07», vale a dire segretissimo, segreto, riservatissimo, riservato.
I documenti in questione, inoltre, non presentavano «contenuti sottoposti al segreto investigativo» (art. 329 C.p.p.), che invece copre gli atti di indagine.
Atto non segreto significa divulgabile da chiunque e nei confronti di chiunque? Nordio precisa che la scheda con le informazioni riferite da Donzelli era comunque a «limitata divulgazione».
«Limitata divulgazione»
La dicitura «limitata divulgazione» pare rimandare a un livello intermedio tra segretezza e divulgabilità, cioè a un regime di conoscenza ristretta a una cerchia di soggetti, tenuti alla riservatezza.
Si tratta di un regime non previsto dalla legge, come dice lo stesso Nordio, che lo definisce come «prassi amministrativa in uso al Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, n.d.r.) a partire dall'anno 2019, non disciplinata a livello di normazione primaria». Per capire le motivazioni di questa “prassi” bisogna prestare attenzione alla data, il 2019. Nel 2019, infatti, il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, intervenne sulla riforma in tema di intercettazioni del suo predecessore, Andrea Orlando, che non era ancora divenuta operativa.
Secondo la disciplina, le intercettazioni devono restare riservate fino a quando il magistrato non ne valuti la rilevanza e decida di acquisirle al fascicolo processuale o comunque di utilizzarle. Solo dopo ne è conoscibile il contenuto, ciò al fine di rendere noti gli elementi che hanno portato alla decisione finale.
Gli ascolti delle conversazioni dei detenuti al 41-bis - a opera del Gruppo operativo mobile (Gom), che poi ne riferisce in apposite relazioni - non costituiscono intercettazioni in senso tecnico, sottoposte alla relativa disciplina, ma sono sostanzialmente assimilabili ad esse, sia nella sostanza sia in quanto necessarie al giudice per adottare provvedimenti di proroga o di revoca del 41-bis, ed eventualmente anche per verificare se esse contengano notizie di reato.
Considerata questa assimilabilità sostanziale, può reputarsi che nel 2019, parallelamente e in concomitanza alla riforma sulle intercettazioni, il Dap abbia rimediato in via amministrativa alla mancanza di un’analoga normativa che tutelasse in via legislativa la riservatezza delle conversazioni captate in carcere; e così abbia disposto per queste ultime la «limitata divulgazione», cioè la non conoscibilità al di fuori degli uffici che le hanno rilevate e di quelli a cui sono destinate per la successiva valutazione, avviando la “prassi” di cui parla il Guardasigilli.
Il segreto amministrativo
Ma andiamo oltre. Nordio fa specifico riferimento al fatto che la riservatezza sulle informazioni divulgate da Donzelli non sia sancita dalla legge, bensì da una «mera» fonte amministrativa che le ha qualificate a «limitata divulgazione». Come se la natura amministrativa potesse rendere irrilevante la riservatezza stessa e le conseguenze derivanti dalla sua violazione.
Le cose non stanno esattamente in questo modo. Oltre alle forme di segreto citate da Nordio, tipizzate dalla legge, esiste il cosiddetto segreto “amministrativo”, noto anche come segreto d’ufficio. In forza di tale segreto, ai dipendenti pubblici è vietato divulgare informazioni conosciute per ragioni di ufficio, «al di fuori delle ipotesi e delle modalità previste dalle norme sul diritto di accesso» (d.P.R. n. 3/1957, art. 15).
Quindi, da un lato, la conoscenza di queste informazioni deve restare circoscritta a chi le tratti in ragione del proprio ufficio, anche quando non coperta da forme di segreto “legislativo”; dall’altro lato, tale conoscenza può in alcune ipotesi essere acquisita da terzi esclusivamente attraverso il procedimento disciplinato dalla legge sull’accesso agli atti (l. n. 241/1990) e da quella sull’accesso civico generalizzato (d.lgs. n. 33/2013).
La portata del segreto amministrativo è determinata dai limiti all’accesso previsti dalle due leggi citate. Limiti sia tassativi, cioè posti in via legislativa, a tutela di interessi pubblici fondamentali, che lo comprimono del tutto e in via definitiva; sia facoltativi, vale a dire posti in via amministrativa, discrezionalmente, anche allo scopo di differire l’accesso ai documenti sino a quando la loro conoscenza possa nuocere all’azione amministrativa.
Conclusioni
Tiriamo le fila della vicenda in base a quanto spiegato.
- Può reputarsi che le informazioni “sensibili”, come le ha definite Nordio, qualificate con la dicitura a «limitata divulgazione», rientrassero nell’ambito del segreto amministrativo, cioè posto da un’amministrazione, il Dap; e che, come detta testualmente la dicitura, non dovessero uscire dalla cerchia di soggetti tenuti a trattarle per compiti istituzionali, perché la loro conoscenza pubblica avrebbe potuto compromettere l’azione amministrativa. Chiunque altro poteva provare ad acquisirle solo attraverso un’istanza di accesso agli atti nelle modalità previste dalla legge.
- Se pure il segreto amministrativo, e quindi l’obbligo di riservatezza sugli atti conosciuti in ragione del proprio ufficio, è previsto normativamente per i dipendenti pubblici, può ritenersi che alla riservatezza siano tenuti anche altri soggetti che possano avere conoscenza di tali atti per le funzioni svolte, dunque pure i collaboratori del ministro. Se così non fosse, cioè se un obbligo di riservatezza non fosse imposto anche su di questi ultimi nel momento in cui assumono incarichi istituzionali, relativamente alle informazioni apprese in ragione di tali incarichi, si avrebbe una grave lacuna. Si arriverebbe all’assurdo che un sottosegretario, o chiunque altro non definibile come dipendente, potrebbe divulgare notizie “sensibili”, la cui diffusione è invece sanzionata penalmente per altri (art. 326 c.p.). Insomma, Delmastro non doveva comunicare quelle informazioni a Donzelli.
- Donzelli avrebbe potuto richiedere tali informazioni mediante un accesso agli atti, oltre che con un atto di sindacato ispettivo come parlamentare. Invece, gli sono state comunicate da Delmastro in via informale. Pertanto, considerata la natura “sensibile” delle informazioni, equiparabili sostanzialmente a intercettazioni, nonché la circostanza di non averle apprese nei modi in cui sarebbe stato legittimato a farlo, Donzelli non avrebbe dovuto divulgarle.
- Se Donzelli avesse fatto un accesso agli atti, probabilmente gli sarebbe stato risposto con un diniego: la «limitata divulgazione» ne restringeva l’ambito di conoscenza, potendo la loro diffusione pregiudicare la successiva attività valutativa e decisionale, e non solo del Guardasigilli, ma anche di eventuali procure, in relazione a indagini su possibili notizie di reato contenute in quegli atti.
Per valutare la correttezza di queste conclusioni, c’è una prova del nove: fare un’istanza di accesso al ministero della Giustizia per ottenere analoghe informazioni, e verificare se accoglie l’istanza, rendendole pubbliche. Restiamo in fiduciosa attesa.
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