Lo stallo nella trattativa per la vendita di Autostrade per l’Italia (Aspi) alla statale Cassa depositi e prestiti (Cdp) nasconde un aspro conflitto all’interno del governo. La ministra delle Infrastrutture e dei Trasporti, Paola De Micheli, è accusata di avere, volutamente o per distrazione, predisposto un regalo di alcuni miliardi per Atlantia, la holding controllata dalla famiglia Benetton.

Un gigantesco pasticcio che, se non fermato in tempo, porterebbe gli automobilisti a pagare da qui al termine della concessione, fissato per il 2038, 4-500 milioni all’anno di pedaggi in più per garantire ad Aspi una congrua redditività. La redditività attesa si tradurrebbe in un maggior prezzo di vendita.

La cordata formata da Cdp e alcuni fondi d’investimento stranieri, secondo le stime di esperti alle prese con una materia complicatissima, si troverebbe a pagare per Aspi un sovrapprezzo oscillante tra i due e i cinque miliardi di euro, naturalmente compensato da una esorbitante redditività a spese degli automobilisti.

Sullo sfondo c’è la decisione di sanzionare Atlantia per il crollo del ponte Morandi con l’obbligo di vendere Aspi alla Cdp anziché con la revoca della concessione. Il punto è il prezzo di vendita che dev’essere il risultato di una trattativa, deve cioè essere un prezzo accettato dal venditore. E qui la cosa si complica.

Il piano economico e finanziario

Lo scontro è sul cosiddetto Pef, piano economico-finanziario. È il documento con cui ogni cinque anni il governo e la concessionaria autostradale fissano il percorso tariffario del lustro successivo, indicando le previsioni di traffico e di ricavi nonché gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria sulla rete nonché i suoi miglioramenti che la società autostradale finanzierà e gli automobilisti le ripagheranno attraverso i pedaggi.

Il crollo del ponte Morandi ha acceso i riflettori sulla redditività abnorme di Aspi. Un tema a cui non è estranea la delibera dell'anno scorso con cui l'Autorità di Regolazione dei Trasporti (Art) ha fissato nuovi e più stringenti criteri per la redazione del Pef e quindi per la fissazione dei pedaggi.

Il primo settembre scorso il ministero dei Trasporti (Mit) guidato dalla De Micheli ha concordato una bozza di Pef che prevede nel periodo 2020-2038 la distribuzione di profitti agli azionisti per totali 21 miliardi, oltre un miliardo l'anno di dividendi che perpetuerebbero per Aspi la condizione di società più redditizia dell'universo, visto che i ricavi medi del periodo non supererebbero i 5 miliardi annui.

L’imprevisto

L'incidente della storia si chiama Andrea Camanzi. Il presidente dell'Art è scaduto il 16 settembre scorso. Quel giorno il successore designato dal governo, Nicola Zaccheo, ha rilasciato un'intervista in cui si diffondeva sui criteri che avrebbe seguito per dare il parere, obbligatorio ma non vincolante, sulla bozza di Pef concordata da Mit e Aspi.

Il 22 settembre, con tempi insolitamente rapidi, le commissioni di Camera e Senato hanno dato il parere positivo sulla nomina di Zaccheo e lo stesso giorno De Micheli ha inviato all'Art la proposta di aggiornamento del Pef.

A quel punto però a Palazzo Chigi è come se si fossero dimenticati di mettere all'ordine del giorno del Consiglio dei ministri la nomina ufficiale di Zaccheo.

Camanzi è rimasto presidente in prorogatio per il tempo sufficiente a esprimere il suo parere sul Pef concordato da De Micheli e Aspi. Mercoledì scorso, 14 ottobre, l'ha pubblicato. E, ironia della sorte, solo due giorni fa il governo ha finalizzato la nomina di Zaccheo.

Il parere firmato da Camanzi è caduto come una bomba sulla difficile trattativa tra Atlantia e Cdp. Bastino a capire la gravità del problema alcune perle che qui si citano a titolo esemplificativo e non esaustivo, come scriverebbe un notaio.

Il Pef formato De Micheli concede ad Api un aumento automatico dei pedaggi dell'1,75 per cento all'anno per i prossimi 18 anni, mentre secondo il parere dell'Art dovrebbe essere, secondo i parametri fissati dalla stessa Autorità l'anno scorso dello 0,87 per cento.

La differenza, calcolata a spanne, porta oltre 4 miliardi in più nelle casse di Aspi provenienti dalle tasche degli automobilisti. Spalmati su 18 anni, sono quasi 250 milioni all'anno.

Nel Pef esaminato da Camanzi ci sono 1,2 miliardi di «manutenzioni incrementali» messe a carico della tariffa, cioè degli automobilisti, anziché a carico della concessionaria come l'Art troverebbe più giusto. Non solo.

L'onere viene messo a carico degli oneri di gestione anziché degli investimenti, cosicché alla fine del prossimo quinquennio quei 240 milioni all'anno si troveranno "incorporati" nella tariffa ordinaria provocando un effetto di trascinamento fino a fine concessione. Questo regalo è stimabile in due miliardi e mezzo.

Impressionante la divergenza sul calcolo del Cin, il capitale investito netto, che è l'impegno di capitale della concessionaria che la tariffa è chiamata a remunerare. Nel Pef firmato da De Micheli il Cin è di 13,9 miliardi, secondo il parere di Camanzi non è superiore ai 6 miliardi.

Che il Pef in via di approvazione sia finalizzato a perpetuare la natura di Aspi come bancomat dei suoi azionisti lo spiega in modo chiarissimo lo stesso Camanzi: «La politica adottata dal concessionario per la distribuzione dei dividendi fa registrare ingenti tassi di rendimento per gli azionisti ed un continuo ricorso all’indebitamento (che ammonta a oltre 16 miliardi di euro tra il 2020 e il 2038) apparentemente finalizzato ad assicurare l’erogazione dei dividendi (come si evince dalla voce 1.19 del Conto finanziario, da cui emerge la distribuzione di utili per oltre 21 miliardi di euro tra il 2020 e il 2038) piuttosto che il rafforzamento patrimoniale della società».

Se non fosse abbastanza chiaro: De Micheli e Aspi si sono accordate per continuare anche nei prossimi 18 anni a spolpare automobilisti e camionisti (cioè il sistema economico italiano) per assicurare dividendi stellari agli azionisti, ieri i Benetton e gli altri soci di Atlantia, domani Cdp e i fondi stranieri pronti a rilevare fino al 60 per cento della concessionaria.

Per castigare i Benetton si trasferisce la scandalosa rendita autostradale dalla famiglia di Ponzano Veneto a fondi d'investimento stranieri.

L’attacco del ministero dell’Economia

A rendere incandescente la faccenda c'è la lettera che Luigi Carbone, capo di gabinetto del ministero dell'Economia (Mef), ha scritto una decina di giorni fa ha scritto ad Atlantia, rilevando che al parere dell'Art (che ancora non si conosceva) «occorrerà necessariamente attenersi».

Adesso i casi sono due. O si cerca di rivedere il Pef al ribasso secondo le indicazioni dell'Art, tagliando i dividendi attesi da 21 a 13-14 miliardi e il prezzo di Aspi da 11 a 7 miliardi circa, e rischiando di far saltare la trattativa con Atlantia. Oppure si conferma la generosità formato De Micheli e si pepetua Aspi come vacca da mungere a favore di Cdp, consentendo ai Benetton di vendere a prezzo pieno. Un bivio complicato che non fa invidiare la posizione del premier Giuseppe Conte.

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