Sull’onda dell’emozione suscistata dal naufragio di Cutro, il governo ha approvato in fretta e furia una nuova norma sull’immigrazione. Ma è il solito panniciello caldo che non risolve nulla
A distanza di poco tempo dal primo provvedimento emanato in materia di immigrazione (Dl numero 1/2023, il cosiddetto decreto Ong, finalizzato a limitare il soccorso in mare da parte delle navi umanitarie) il governo interviene nuovamente con il decreto legge numero 20, già pubblicato in gazzetta ufficiale dopo essere stato annunciato nella conferenza stampa del 9 marzo 2023 in occasione del Consiglio dei ministri tenutosi a Cutro.
Il provvedimento normativo non contiene alcuna misura rivolta ad affrontare le cause della strage, che resta di fatto solo un pretesto per intervenire, sempre in maniera schizzofrenica, in materia di immigrazione.
Cosa c’è nel decreto
Così le nuove norme riguardano principalmente l’inasprimento di pene (già previste e già elevate) e l’introduzione del reato di morte o lesioni come conseguenza del traffico per immigrazione clandestina, la programmazione triennale dei flussi d’ingresso per lavoro, l’aumento sino a treni anni della durata del permesso di soggiorno per le persone straniere titolari di contratto a tempo indeterminato, l’attribuzione agli ispettori del lavoro della qualifica di ufficiali di polizia giudiziaria contro la criminalità agroalimentare, disposizioni in materia di commissariamento dei centri di accoglienza e deroga al codice degli appalti per l’ampliamento dei centri di detenzione amministrativa e, infine, quello che sembra essere il cuore della riforma, ovvero la abrogazione delle norme sul permesso di soggiorno per protezione speciale.
Al di là di varie e più approfondite considerazioni che si potranno fare, già ora si può affermare che il decreto non solo non interviene sui meccanismi che implementano il traffico di esseri umani, ma non migliora, anzi peggiora, la condizione di coloro che già vivono in Italia ed aumenterà la condizione di irregolarità dei migranti in Italia
Tre aspetti confermano questa prima valutazione: la previsione di nuovi reati e nuove pene, la decretazione dei flussi d’ingresso e la forte limitazione della protezione speciale.
Quanto ai nuovi reati ed all’innalzamento delle pene previste in capo ai cosiddetti trafficanti le nuove norme (della cui legittimità costituzionale pare anche possibile dubitare, considerata l’irragionevolezza della pena a trenta anni per un fatto reato comunque colposo) appaiono principalmente propagandistiche e anche inidonee a limitare in alcun modo il traffico di esseri umani: è noto, infatti, da un lato, che pene più severe non sono un fattore deterrente rispetto alla commissione del reato, in secondo luogo che sarà di fatto impossibile perseguire il reato all’estero (si è detto di volere fermare i trafficanti addirittura «in tutto il globo terracqueo»), infine – ma ciò è evidentemente determinante – i cosiddetti scafisti sono un effetto, per altro l’ultimo anello di una catena di comando, di politiche di limitazione degli ingressi regolari, non la causa del fenomeno criminale.
Il decreto flussi
Quanto ai flussi d’ingresso per lavoro, è chiaro innanzitutto che le norme nulla hanno a che vedere con la strage di Steccato di Cutro, essendo i/le naufraghi tutte/i potenziali rifugiati politici, non migranti per motivi economici. Ad ogni modo, non si cambia in alcun modo significativo il meccanismo in vigore dal 1998 che prevede l’incontro a distanza tra offerta e domanda di manodopera e che prevede, sulla base del Dpcm emanato dal governo che indica le quote dei lavoratori/lavoratrici residenti nel loro paese, che, se il datore di lavoro ottiene dalla prefettura il nulla osta per farli entrare in Italia – ma che teoricamente non conosce perché formalmente deve essere nel suo paese di origine – arrivando tra i primi in una corsa contro il tempo nel giorno di inizio per la presentazione delle domande, dovranno recarsi presso il consolato italiano all’estero per chiedergli il rilascio di un visto d’ingresso per lavoro. Visto che potrà essere rilasciato o meno, comunque dopo notevole dispendio di tempo ed energie.
Quel che più conta è che il meccanismo si basa sulla finzione di fare entrare in Italia un/una lavoratore/lavoratrice senza che il datore di lavoro la/lo conosca, evento inimmaginabile nell’attuale sistema produttivo italiano fatto di piccole e medie aziende; ma, in realtà, nemmeno quelle più grandi si prendono la briga di immettersi in quella procedura amministrativa farraginosa e dall’esito incerto.
Il sistema dei decreti flussi, dunque, è di per sé irragionevole ed è pacificamente ritenuto dagli studiosi il maggiore, se non esclusivo, fattore di produzione dell’irregolarità di soggiorno, perché i/le lavoratori/lavoratrici sono costretti a entrare in Italia con visti turistici o più spesso irregolarmente e nonostante trovino lavoro non possono avere il permesso di soggiorno. Meccanismo che conseguentemente determina, da un lato, uno sviluppo incredibile di lavoro nero e dunque di evasione fiscale e contributiva ed in secondo luogo la necessità dello stato di emanare leggi di regolarizzazione o sanatoria dei lavori irregolari (nel corso degli anni ne sono state fatte una decina, l’ultima nel 2020 ancora non conclusa a quasi tre anni di distanza). Il tutto, invero, legittima di fatto il traffico di esseri umani.
L’originario Testo unico sull’immigrazione, prevedeva il visto per ricerca di lavoro ma è stato presto abrogato nel 2002 dalla cosiddetta Bossi-Fini e mai più ripristinato, neppure dai governi di segno politico diverso da quello attuale.
Su questo sistema, palesemente inadeguato e dannoso per lo stesso Stato italiano, non interviene affatto il nuovo decreto legge del Governo, nonostante la presidente del Consiglio abbia proclamato a gran voce la volontà di combattere in tutto il mondo i trafficanti, senza volersi accorgere che forse basterebbe abrogare la modalità dell’incontro a distanza tra domanda ed offerta di lavoro ed introdurre visti di ingresso per ricerca lavoro per sottrarre le persone ai criminali, favorire l’emersione dal lavoro nero e stimolare una libera mobilità delle persone che si possa dipanare anche su peridi di tempo breve senza paura di non potere vincere la “lotteria” del decreto flussi.
L’unico cambiamento che è stato prima annunciato e ora figura nel decreto legge è la programmazione triennale dei flussi: si tratta, tuttavia, di una possibilità già prevista dal 1998 con il testo unico immigrazione (articolo 3) rispetto a cui viene solo spostata la competenza assegnandola al solo governo e non più ai ministeri in accordo con le regioni e le organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro. Nulla di nuovo, dunque.
Modifiche alla protezione sociale
Un terzo aspetto della riforma governativa, che invero è rimasto sotto traccia sino all’ultimo ma costituisce forse l’anima del provvedimento, riguarda la protezione speciale, nella forma introdotta nel 2020 con il cosiddetto decreto Lamorgese, il numero 130/2020, con cui è riconosciuto il diritto delle persone straniere già presenti in Italia di ottenere un permesso di soggiorno in presenza di rischi che incontrerebbero nel Paese di origine ma anche dimostrando elementi di integrazione nella società italiana o in presenza di obblighi costituzionali o internazionali. Previsione di legge che per la prima volta ha offerto strumenti di grande flessibilità della questione migratoria, certamente più aderente alla realtà, più inclusiva e più rispettosa della Costituzione.
Tale forma di protezione viene di fatto cancellata nella misura in cui poteva essere riconosciuta direttamente dalla pubblica amministrazione. Ciò avrà due principali effetti: da un lato aumenterà il contenzioso giudiziario in maniera esponenziale; dall’altro porterà all’applicazione di principi comunque presenti nella costituzione e nelle norme internazionali che fanno parte del nostro patrimonio giuridico e culturale. In realtà, fin dalla sua emanazione, questo istituto è stato fortemente osteggiato dal ministero dell’Interno (anche del precedente governo), che ha cercato in mille modi di comprimerlo e ora di abolirlo nonostante sia stato uno strumento di tutela della vita di singoli e famiglie ed abbia contribuito significativamente a contrastare il lavoro in nero presso le aziende e le famiglie italiane. E nonostante, è bene evidenziare, sia stato uno strumento che ha alleggerito il sistema asilo, quello della protezione internazionale, di cui il governo lamenta la gravosità chiedendo all’Europa di aiutare l’Italia.
Queste le principali disposizioni del nuovo decreto legge, le quali, palesemente, nulla hanno a che vedere con la lotta al traffico degli esseri umani.
C’è da chiedersi il perché di tanta inadeguatezza e di tanta colpevole cecità, quando basterebbe davvero poco per gestire ordinariamente, razionalmente e umanamente, la questione migratoria.
Le risposte potrebbero essere e sono tante, ma non può non destare sconcerto che nel luogo ove è avvenuto il tragico naufragio del 26 febbraio 2023, senza che neanche un rappresentante del governo abbia fatto visita ed espresso cordoglio dinanzi alle salme delle persone morte, ai sopravvissuti, ai familiari dei naufraghi, siano state annunciate leggi che aggravano ancora di più la condizione delle persone straniere in Italia e lasciano nelle mani dei trafficanti coloro che hanno bisogno di lasciare il loro paese e di entrare nel nostro.
Il contesto governativo è di per sé inadeguato, umanamente politicamente, ad affrontare un fenomeno sociale come quello dell’immigrazione che non è nuovo o emergenziale e non andrebbe trattato con strumento d’urgenza e politiche di repressione e contenimento senza, peraltro, essere in grado di mostrare alcuna pietas verso le persone (mai viste o abbracciate) del cui dramma ci si deve comunque ritenere responsabili e come, comunque, si fa tra esseri umani. Questo non è stato.
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