«Fermezza» ma «prudenza». Dopo 24 ore di riflessione, la premier Giorgia Meloni ha scelto queste due parole per commentare le dichiarazioni del segretario generale della Nato, Jens Stoltemberg, che ha paventato l’ipotesi di consentire che l’Ucraina usi le armi arrivate dai paesi occidentali non solo per difendersi ma anche per attaccare obiettivi russi. L’opzione porterebbe ad un livello superiore l’escalation militare e la sortita del segretario della Nato è solo l’ultimo dei segnali che dimostrano come Washington stia seriamente valutando la possibilità di estendere il raggio di azione delle armi fornite a Kiev.

La premier, intervistata a “In mezz’ora”, non ha potuto sottrarsi dal commentare le parole di Stoltenberg, dopo che l’alleato Matteo Salvini è arrivato a chiedere che il segretario generale «ritratti o si dimetta». Meloni ha cercato di arginare la portata della questione: «La Nato deve mantenere la sua fermezza nel difendere l'Ucraina e non bisogna dare segnali di cedimento come non intende farlo l'Italia», ma «sono state molte le dichiarazioni in questi mesi che a me sono sembrate un po' discutibili», per questo «consiglio maggiore prudenza». Una timida ma chiara presa di distanza di fatto anche dall’alleato americano, cui Meloni è stata costretta dalle contingenze. Del resto, l’Ucraina rappresenta un tema delicato ma irrinunciabile nel suo disegno di governo. Di più, la questione su cui la premier ha costruito il mito della sua abilità in politica estera.

L’approccio iniziale su cui ha collocato l’Italia è stato quello dell’intransigenza nel sostegno alla causa ucraina, con l’obiettivo che il suo governo – vicino a quello dell’Ungheria tutt’altro che solidale con Volodymyr Zelensky – non venisse considerato l’anello debole tra i paesi occidentali.

Questo da subito si è tradotto in una scelta di perfetto allineamento con gli Stati Uniti di Joe Biden e con la Nato, ma anche con la posizione dei maggiori stati europei, anche a costo di discostarsi dalla posizione delle destre europee con cui FdI ha condiviso il percorso europee.

Tuttavia, dopo il sì alle armi senza tentennamenti, progressivamente è maturata una tendenza più moderata. Meloni, che non ha mai amato associarsi all’immagine di persone cauta, ha scelto in questo caso di galleggiare nel mezzo: sostegno all’Ucraina e invio di armi, ma nessuna fuga in avanti. Non a caso, anche nelle sue dichiarazioni di oggi, il riferimento polemico ha riguardato il tentativo del presidente francese Emmanuel Macron che nei mesi scorsi aveva «posto la questione» di un invio di truppe, considerata «da non escludere».

«La strategia moderata di Meloni ha una ragione chiara: le elezioni europee e soprattutto quelle americane con una possibile vittoria di Donald Trump cambierebbero completamente lo scenario mondiale», spiega chi segue le scelte della premier in materia. Meglio attendere quindi di vedere se la scommessa delle destre europee sarà vinta con la spallata al “modello Ursula” e se gli Stati Uniti ritorneranno sotto la guida del tycoon. In quest’ultimo caso, infatti, l’ipotesi ora in discussione a Washington di permettere a Kiev di attaccare con armi occidentali sarebbe con tutta probabilità accantonata. «Mi pare abbastanza controproducente questo racconto allarmante per cui l'Europa sarebbe sull'orlo di un conflitto di portata molto più ampia», ha concluso Meloni a Rai3, dimostrando così di puntare sulla linea attendista e di minimizzazione rispetto agli scenari futuri. Del resto siamo in campagna elettorale, i sondaggi contano e Meloni li ha ben presenti. L’ultimo pubblicato da Ipsos a marzo presenta un dato schiacciante: circa una persona su due ritiene che l’Ucraina dovrebbe accettare un negoziato a fronte di un’offerta russa di un ritiro, anche parziale, dai territori occupati. A due anni dal conflitto, invece, è iniziata a emergere una forte opposizione all’invio di armi a Kiev: solo un terzo degli italiani (32 per cento) è favorevole, mentre cinque su dieci si dicono contrari.

Gli alleati

Anche a questo si dovrebbe attribuire un progressivo smussamento della linea pro-Ucraina di Meloni, che ieri ha appunto predicato «prudenza», pur spiegando che «è importante che la Nato continui a mantenere il suo sostegno all'Ucraina per costruire la pace». Parole che la collocano nella posizione più istituzionale possibile, ma che lasciano anche spazio all’alleato Salvini – altrettanto consapevole dei sondaggi – per intestarsi un innalzamento dello scontro. Ieri, infatti, la Lega ha annunciato di essere pronta a depositare un ordine del giorno o una interrogazione con Claudio Borghi come primo firmatario, «finalizzate a censurare le parole di guerra del Segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg». Con un unico effetto possibile: riportare in parlamento il dibattito sull’Ucraina, aumentando la conflittualità tra alleati, in particolare tra FdI e il partito di Salvini, e mostrando ancora una volta le divergenze interne al governo che il clima da campagna elettorale inevitabilmente acuisce.

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