Alla guida dei critici di Conte ci sono il ministro per i Rapporti col parlamento e il capogruppo alla Camera. In un clima in cui ormai volano insulti, i due hanno gestito gli ultimi tentativi di mettere in sicurezza il governo Draghi e preparano un documento per sostenerlo. Nel caso in cui lo strappo del M5s si consumi, sono anche pronti ad andare per conto loro
La possibile scissione dei governisti del Movimento 5 stelle è appesa tutta a due figure. Il capogruppo alla Camera Davide Crippa e il ministro per i Rapporti col parlamento Federico D’Incà. Mentre il ministro ha tentato un estremo tentativo di mediazione al Senato la settimana scorsa, chiedendo ai capigruppo e a palazzo Chigi di rinunciare al voto di fiducia sul decreto Aiuti per non creare una rottura politica, il capogruppo è diventato l’uomo del giorno. Insieme alla collega del Pd Debora Serracchiani, durante la conferenza dei capigruppo alla Camera, Crippa ha tentato di cambiare il calendario degli interventi di mercoledì, quando il presidente del Consiglio Mario Draghi parlerà ai parlamentari dopo le dimissioni. L’obiettivo era di anticipare le comunicazioni alla Camera, per poi svolgerle al Senato.
Una scelta strategica, tenendo conto che alla Camera i governisti del M5s sono molti di più rispetto al Senato. Quindi, anticipare il voto dei deputati significherebbe dare un segnale al premier dimissionario. Un ultimo tentativo per convincerlo a restare. A opporsi alla richiesta sarebbe stato durante la riunione però anche Roberto Fico, presidente della Camera.
Il documento
Non basta l’interlocuzione tra il ministro D’Incà e il presidente del Consiglio: i governisti stanno mettendo a punto un appello pubblico con cui una trentina tra deputati e senatori daranno la disponibilità a votare la fiducia a Draghi. Un documento a cui i parlamentari stanno lavorando da giorni, e che servirà come assicurazione anche nel caso in cui il presidente del Consiglio dovesse recarsi prima al Senato, dove gli oppositori interni di Conte si contano sulle dita di una mano e Draghi potrebbe non trovare il segnale che cerca.
A quel punto, la partita si sposterà alla Camera, dove i parlamentari sperano di poter avere la risposta che cercano, ovvero che Draghi rimanga al suo posto. C’è attesa anche da Insieme per il futuro e dal Pd, che aspettano il documento per capire quanti sono quelli pronti a lasciare Conte.
I rapporti con la Lega
I governisti Cinque stelle possono contare anche sui colleghi della Lega, che all’interno del proprio partito devono affrontare lo stesso dibattito del M5s: strappare o restare? Di fronte a un sostegno, anche parziale, del Movimento 5 stelle i leghisti rischierebbero di rimanere gli unici ostili a un Draghi bis, caricandosi sulle spalle la responsabilità di una crisi con effetti gravissimi sul paese.
Il documento M5s raccoglierà i motivi del dissenso, accumulati in innumerevoli ore di riunione congiunta dei parlamentari. Il ministro D’Incà è stato fin dall’inizio della crisi uno dei governisti che si è esposto di più. Oltre al tentativo di aggirare il voto di fiducia al Senato, durante i suoi interventi in assemblea si è schierato contro le ragioni di coloro che vogliono chiudere con l’esperienza del governo di unità nazionale, arrivando a elencare (e diffondere) una lista di provvedimenti che fallirebbero in caso di caduta del governo. Esattamente la stessa cosa che ha fatto Luigi Di Maio, che nel fine settimana ha pubblicato il suo elenco personale.
Il rientro di Di Battista?
Una volta consumato lo strappo tra M5s e Draghi, a cui ormai tutti guardano con una certa probabilità, il partito di Conte potrebbe contare su un grande rientro, quello di Alessandro Di Battista.
I contratti tra lui e Conte durano da ormai un anno, e il presidente del Movimento guarderebbe con piacere a un ritorno del “politico e reporter” che prenderebbe in mano la comunicazione di un Movimento in campagna elettorale o, ancora meglio, all’opposizione. Una figura simbolo da spendere come voce del Movimento e ridurre il contraccolpo dell’addio di Di Maio.
I ritratti
Il ministro D’Incà è deputato dal 2013 e ministro dal 2019: dai tempi del Conte II ad oggi ha imparato a mediare con le camere e i capigruppo, guadagnandosi una stima equamente distribuita tra i partiti di maggioranza, oltre al lancio di fascicoli da parte di Fratelli d’Italia durante una delle sue ultime apposizioni del voto di fiducia a nome del governo. Nel partito c’è chi attribuisce la sua battaglia alla necessità di conservare la poltrona. quel che è sicuro è che, a giudicare dagli insulti a cui sono andati incontro i governisti nelle riunioni zoom, per tanti di loro dopo la fine della crisi non ci sarà più spazio nel Movimento. A peggiorare le cose arriva nel pomeriggio la voce che Draghi avesse proposto un tavolo sul superbonus a Conte durante uno degli ultimi contatti tra i due. Una notizia che avrebbe potuto cambiare le intenzioni dei parlamentari, e che, come scrive il Foglio, Conte non ha rivelato. Confrontato con la fuga di notizie da Riccardo Fraccaro, padre nobile del superbonus, Contesi sarebbe limitato a dire che smentirà il Foglio.
Un clima irrespirabile, meglio lasciare.
Così D’Incà ha cercato di intervenire anche oggi per dare manforte al collega Crippa nel suo tentativo di portare l’apertura delle comunicazioni a Montecitorio. Una scelta autonoma, per quanto «del campo progressista», come ha detto poi lo stesso Crippa ai colleghi che l’hanno attaccato per questa scelta nell’assemblea congiunta del pomeriggio.
Anche Crippa è diventato una figura centrale nel Movimento negli ultimi mesi. Da sempre ostile nei confronti di Conte, ha raccolto però nel corso del suo primo incarico da capogruppo la fiducia dei deputati, molto più ondivaghi, e quindi difficili da disciplinare, dei senatori. Il rapporto con l’ex premier non è mai fiorito, ma la stima che gli riservano anche i colleghi che hanno lasciato il Movimento per il partito di Di Maio lo hanno reso dal primo giorno della scissione un nome ambito da inserire nel novero dei deputati di Ipf.
Ora, Crippa potrebbe organizzarsi da sé la sua scissione personale. Nel dubbio, non ha rinnovato il contratto di Rocco Casalino, imposto da Conte sui bilanci dei gruppi parlamentari e mai accettato dai parlamentari. Da inizio luglio, il portavoce dell’ex premier lavora solo per il Senato.
In assemblea, in ogni caso, Crippa ha fatto un ultimo tentativo per convincere i colleghi: «Dall’opposizione la vita non la migliori. Fai solo propaganda» ha detto. La strategia di Crippa era quella di far leva sul precedente della fiducia votata alla Camera, dove il voto sul decreto Aiuti era sdoppiato tra il merito del provvedimento e la fiducia all’esecutivo.
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