Alla fine, l’apertura di Mario Draghi al salario minimo non è bastata. I parlamentari Cinque stelle non hanno apprezzato il sacrificio della proposta sullo stesso tema dell’ex ministra Nunzia Catalfo, ferma da quattro anni al Senato. A poco è servito il contatto in extremis tra il presidente del Consiglio e Giuseppe Conte in una giornata di riunioni quasi permanenti dei vertici del Movimento.

Fin dal mattino è stato convocato il Consiglio nazionale, interrotto nel pomeriggio e ripreso in serata, prima dell’assemblea congiunta di deputati e senatori. Le alternative erano tre: il voto contrario alla fiducia sul decreto Aiuti al Senato, che rappresenta l’addio definitivo, il rientro nei ranghi con il via libera alla fiducia e l’uscita dall’aula durante il voto. Il Movimento ha scelto quest’ultima via.

«Ho presentato un documento di nove punti» al premier, «non lo abbiamo inteso come una sommatorie di bandierine del Movimento, come l’elenco di petizioni politiche da rivendicare con arroganza. Esprime l’interpretazione del forte disagio non tanto del Movimento, ma dei cittadini e delle imprese», ha detto Conte di fronte ai suoi parlamentari facendo capire che le risposte non sono arrivate. «Non vogliamo concedere una cambiale in bianco».

Il Movimento 5 stelle uscirà dall’aula per non votare il decreto, così come ha fatto alla Camera. A Montecitorio, però, ha potuto confermare la fiducia al governo: i voti erano separati, i deputati sono usciti solamente nella seconda votazione, quella finale sull’interno testo del decreto. Giuseppe Conte spera di poter fare anche stavolta lo stesso, nonostante i due voti a palazzo Madama siano sovrapposti.

giovedì il M5s uscirà dall’aula, ma al prossimo voto di fiducia in cui Mario Draghi fronteggerà il parlamento tornerà a sostenere il governo. La mossa gli permetterebbe di salvare capra e cavoli: tenere il punto sulle misure inaccettabili per i Cinque stelle, come quella sul termovalorizzatore di Roma, e restare un interlocutore anche per palazzo Chigi.

La speranza del presidente è quella di ricostruirsi un profilo prima delle elezioni con le mani un po’ più libere rispetto alla maggioranza, forte tra l’altro di un’inaspettata conferma della sua leadership arrivata mercoledì. Il reclamo presentato dagli attivisti napoletani contro la decisione del giudice di “scongelare” l’incarico di Conte, pronunciata a fine giugno, è stato infatti respinto. La sua elezione ora è salva.

La risposta di Chigi

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Resta da vedere se quella proposta dall’avvocato pugliese possa essere una via praticabile per Draghi. Considerato che lunedì, dopo che i Cinque stelle alla Camera non hanno partecipato al voto finale, il premier era salito immediatamente al Quirinale per consultarsi con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, per ribadire la sua posizione, espressa anche in pubblico: «Non c’è governo senza il Movimento 5 stelle». Durante la conferenza stampa di martedì a palazzo Chigi, Draghi ha risposto così ai giornalisti che gli chiedevano se tornerà a chiedere la fiducia alle Camere: «Chiedetelo a Mattarella».

La decisione di uscire dall’aula, agli occhi di Conte, è l’unica scelta coerente, quella che esce da cinque ore di Consiglio nazionale e viene ridiscussa in serata, prima di nuovo con i suoi consiglieri più stretti e poi con l’assemblea degli eletti: confermare il no a un provvedimento in cui trovano posto troppe norme che ai Cinque stelle non piacciono.

E pazienza se la scelta gli costerà ulteriori addii tra i parlamentari, come quello del deputato livornese Francesco Berti, che passa con il gruppo del ministro degli Esteri Luigi Di Maio, Insieme per il futuro, «perché due crisi di governo in una legislatura sono già troppe». Saranno una decina a lasciare, pronosticano i Cinque stelle ancora nel partito.

«Il M5s è l’unica forza che sta incalzando il governo sulle emergenze, l’unica forza che non ha paura di calibrare la propria azione politica in funzione della concreta realtà che il paese sta vivendo», ha rivendicato Conte.

L’ex premier prende la decisione consapevole delle conseguenze. Per tutto il giorno rimbalzano le dichiarazioni degli altri leader di partito. Conte sa che se il Movimento si sfila parte immediatamente una verifica di governo, che potrebbe anche precipitare in una fine anticipata della legislatura.

Enrico Letta prova un’ultima volta a trattenere gli alleati e ribadisce che in caso di addio al governo restano solo le urne. Matteo Salvini arriva alla stessa conclusione. Se il Movimento strappa, si va al voto: «Non siamo disposti a restare nel governo senza il M5s», ha detto il segretario durante una conferenza stampa. Pungono anche il ministro degli Esteri e Matteo Renzi, che chiedono ai Cinque stelle chiarezza e auspicano il Draghi bis fino a fine legislatura.

Il voto

giovedì il provvedimento arriva in aula già segnato da un percorso accidentato in commissione Bilancio. Il testo è stato inoltrato senza mandato al relatore per l’impossibilità di trattare in tempo tutti i 126 emendamenti proposti. Poi, i Cinque stelle si sono astenuti sul parere di nulla osta in commissione Bilancio e sui pareri presentati da tutte le altre commissioni. Un’anticipazione di quel che succederà giovedì.

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