«Sono sicuro che quello che ho fatto mesi fa uscirà», ha detto alla Camera. Il ministro della Difesa si riferisce alla vicenda che coinvolge un finanziere
Qualche giorno fa, rispondendo a un’interrogazione alla Camera dei deputati in merito alle sue dichiarazioni su un presunto complotto della magistratura contro il governo, il ministro Guido Crosetto ha detto una frase notata da pochi: «Se vi ricordate quest'estate abbiamo discusso del caso dei dossier, (un’indagine) che è ancora in corso, che mi auguro arriverà alla fine, che parte da una mia denuncia, scusatemi il termine, coraggiosa, ai pm». Più avanti nel corso del suo intervento ha poi aggiunto: «Sono sicuro che quello che ho fatto mesi fa uscirà e in qualche modo toccherà anche l'argomento di cui parliamo oggi, ma non compete a me portarlo avanti».
A cosa alludeva il ministro nella sua replica alla Camera? A un’inchiesta della procura di Perugia guidata da Raffaele Cantone su una presunta «centrale di dossieraggio» (così veniva descritta da alcuni quotidiani che ne hanno dato notizia con una fuga di notizie qualche mese fa) apparsi sui principali quotidiani messa in piedi da pubblici ufficiali infedeli che avrebbero fatto circolare dossier su vip e politici finiti poi su media e giornali.
L’inchiesta è originata proprio da una denuncia presentata dal ministro Crosetto dopo la pubblicazione di un’indagine giornalistica di Domani sui compensi ricevuti da Leonardo, azienda ora controllata dal governo di cui fa parte, quando presiedeva Aiad, l'associazione confindustriale che rappresenta le aziende del comparto difesa e aerospazio.
Dalla denuncia di Crosetto, dopo lo scoop di Domani, era partita un’investigazione che vede iscritto per ora un solo finanziere, Pasquale Striano, rimosso dal suo incarico alla direzione nazionale antimafia. Sono passati tre mesi e, al momento, non si ha traccia di «centrali» o di «ricatti» nei confronti dei vertici istituzionali (Crosetto ipotizzò che la pubblicazione delle sue collaborazioni economiche con Leonardo fosse un modo per influenzare la formazione del governo Meloni). Ma risulta a chi scrive che quello che sembra confermato è invece uno scontro tra procure territoriali e direzione nazionale antimafia, con centinaia di accessi che necessitano di una spiegazione perché privi di autorizzazione. L’indagine condotta dalla procura umbra è coperta dal massimo riserbo. Riserbo che forse è mancato quando l’inchiesta orbitava a Piazzale Clodio, sede della procura di Roma, tanto che l’inchiesta è finita sui giornali.
Il finanziere e gli accessi
Fino a questo momento sono stati riscontrati centinaia di accessi ritenuti non giustificati e che il finanziere Striano, autore di indagini contro clan e malavita, dovrà spiegare quando sarà interrogato dalla procura di Perugia. Quella di Roma lo ha già sentito, lo scorso marzo, e solo successivamente ha proceduto alla perquisizione. «Si è sempre occupato di criminalità organizzate e si è sempre mosso nell'alveo delle regole e seguendo le direttive che gli arrivavano e senza mai divulgare notizie coperte dal segreto istruttorio», aveva detto il suo difensore, l'avvocato Massimo Clemente, quando la notizia dell’indagine a carico di Striano è stata rivelata. Sugli accessi, ritenuti dalla procura illeciti e non autorizzati, si gioca una partita che riguarda il funzionamento della macchina delle segnalazioni per operazioni sospette. Una procedura che ha trovato una modifica nel 2017 e che ha generato uno scontro tra procura nazionale antimafia e procure territoriali. I soggetti coinvolti nella gestione di questa miniera inesauribile di informazioni, a partire dall’Uif della banca d’Italia che le distribuisce, sono il nucleo valutario della guardia di Finanza e la direzione investigativa antimafia che le riceve. La Dna ha il compito di associare, attraverso dati codificati, le informazioni contenute nelle cosiddette sos con quelle presenti nella banca dati della direzione nazionale antimafia.
Cosa è accaduto? «Queste informazioni è giusto che le tratti la finanza, ma perché non devono accedervi anche carabinieri e polizia di stato?» si domanda a Domani un magistrato di lungo corso che conosce la materia «Il secondo punto che è diventato, dopo le modifiche, materia di scontro è relativo al filtro della Dna che è diventato un tappo. Era arrivata ad accumulare centinaia e centinaia di segnalazioni senza smistarle. Così alcune sos le abbiamo lette prima sui giornali e poi le abbiamo ricevute noi impegnati nelle procure territoriali. Questo non è accettabile, poi chiaramente ognuno fa il proprio lavoro. Il terzo punto critico era relativo alla natura del lavoro effettuato da questo ufficio: perché si occupava anche di segnalazioni non riguardanti la criminalità organizzata?».
Nella miriade di accessi dell’investigatore indagato molti sono avvenuti da un terminale della finanza accedendo a più banche dati. Quello che, secondo l’ipotesi d’indagine, sembra chiaro che molti accessi non fossero consentiti e giustificati, compresi quelli sul ministro.
Toghe contro toghe
Prima della delicata indagine perugina si era già consumato uno scontro tra il procuratore nazionale antimafia (da Franco Roberti a Federico Cafiero De Raho) e i procuratori territoriali, a partire da quello di Napoli, Giovanni Melillo, a quello di Milano, Francesco Greco. Proprio dall’arrivo di Melillo alla guida della Dna si sono avviate procedure tracciate e trasparenti e, al seguito dell’indagine su Striano, sono stati sostituiti anche i componenti dell’ufficio. A Perugia sono già stati sentiti molti colleghi di Striano, l’indagine è ancora in corso e c’è tempo per giungere alle conclusioni. Se dovesse coinvolgere magistrati, l’ufficio della Dna era coordinato da Antonio Laudati, l’indagine resterà a Perugia altrimenti le carte torneranno a Roma. Si vedrà.
L’intervento del ministro Crosetto evidenzia però due aspetti. Il primo è che le procure, invece di attaccare il governo come sospetatto da Meloni, non solo hanno chiesto l’archiviazione per Delmastro, ma davanti all’esposto di Crosetto che cercava di capire chi era la possibile fonte di un giornale ha subito fatto approfondimenti pertinenti, avviando l’indagine finita ora a Perugia. Inoltre, come fa il ministro a «essere sicuro che tra qualche mese» l’inchiestà «toccherà l’argomento di cui parliamo oggi», cioè la presunta opposizione giudiziaria che vuole colpire Meloni e i suiu fedelissimi con le inchiesta? Ha informazioni riservate oppure sono parole dal sen fuggite? Lo scopriremo solo quando i pm di Perugia chiuderanno la loro inchiesta.
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