Il femminismo alternativo di Meloni, che ha utilizzato questa narrazione per raccontare la sua storia, si limita a consigliare di adeguarsi al contesto, senza intervenire per cambiarlo. L’unico modo di migliorare la propria condizione è seguire le regole degli uomini
«Non abbiamo ancora raggiunto i nostri obiettivi di piena parità di genere e dobbiamo ancora risolvere il gender pay gap, che è inaccettabile nel 2023». A pronunciare queste parole è stata una premier donna. Non quella italiana, purtroppo, ma Katrín Jakobsdóttir, a capo del governo islandese. Lo ha fatto in occasione dello sciopero femminista che ha portato tutte le donne del paese scandinavo – anche sul lavoro casalingo e quello di cura – a incrociare le braccia mercoledì scorso. In Italia il tema è trattato in maniera decisamente diversa.
Giorgia Meloni, prima donna premier della storia italiana, sostiene per esempio che la condizione di svantaggio che le donne vivono è in fondo una fortuna: «Il fatto di essere sempre o quasi sempre sottovalutate è un grande vantaggio, perché sì, spesso non ti vedono arrivare». Insomma, l’esatto opposto delle rivendicazioni islandesi, dove le donne hanno dato un segnale generalizzato di quanto non siano d’accordo con la situazione sociale e lavorativa di un paese in cui la condizione femminile è comunque nettamente migliore di quanto non sia in Italia. La versione conservatrice del femminismo che propone Meloni parte dall’assunto che tutti sono uguali, hanno le stesse possibilità e dunque non c’è ragione per cui le donne debbano avere un sostegno particolare. Se sei capace, è il ragionamento, riuscirai comunque a raggiungere i tuoi obiettivi.
È l’impostazione culturale alla base della narrazione che la premier ha costruito per sé stessa. Infatti non perde occasione per raccontare la sua scalata a un partito tutto maschile, con uno stile che si è progressivamente uniformato sempre di più a quello di un uomo. Una lettura che – nonostante Meloni si diverta a fare battute sul fatto che non cammina mai un passo indietro agli uomini – ignora totalmente la situazione in cui questa eventuale parità dovrebbe essere creata. Un contesto in cui le donne hanno accumulato una serie di svantaggi e ostacoli aggiuntivi che la presidente del Consiglio, non avendo intenzione di intervenire per favorire le donne nelle questioni pratiche, non ha problemi a mantenere inalterato.
La manovra
L’ultima prova è arrivata con la manovra, in cui gli aiuti, quando ci sono, vanno a vantaggio di donne che ne avrebbero meno bisogno di altre: mancano quasi del tutto gli incentivi al lavoro femminile e la disponibilità di servizi come gli asili nido. Le misure migliorative – che per altro non sono nemmeno strutturali – vanno a vantaggio di chi il lavoro già ce l’ha e vive su un territorio in cui i servizi per l’infanzia esistono già. Stesso discorso per l’Iva sugli assorbenti: il ritorno della tassazione a livello più elevato va a impattare chi già soffre maggiori difficoltà economiche.
Insomma, anche in questo caso, il governo favorisce un mantenimento dello stato di fatto in cui comunque chi la dura la vince, almeno nella mente della premier. Un atteggiamento che ha delle radici culturali solide che pervadono tutta la destra, che anche nel 2023 e con una leader donna si ritrova nei capisaldi del libro del generale Vannacci o nei fuorionda di Andrea Giambruno, l’ex compagno della premier liquidato con un post sui social. In una situazione in cui lei, secondo la lettura femminista conservatrice, è al suo posto soltanto perché ha ingannato il sistema imparando a muoversi come un uomo, la maggioranza che guida e gli organismi che governa fanno di tutto per mantenere la situazione inalterata.
Per averne prova, basta recuperare la puntata di Avanti popolo di martedì scorso: Nunzia De Girolamo è corsa a soffocare la polemica sollevata da una componente del “popolo” che, parlando del caso Giambruno, insisteva sul fatto che le molestie verbali del giornalista nei confronti delle colleghe fossero passate in secondo piano rispetto alla notizia della separazione della premier. La conduttrice, fresca di un monologo elogiativo di tre minuti sulla scelta di Meloni, l’ha interrotta spiegando che «non mi pare che ci sia stata una donna che ha detto “sono stata molestata”. Ora parlare di molestie mi pare eccessivo». Accettare il quadro culturale senza lamentarsi: se qualcuno propone del sesso a tre sul posto di lavoro è una battuta leggera, non c’è da irrigidirsi.
Solo una coincidenza? Il leghista Rossano Sasso giovedì, in una discussione alla Camera sull’introduzione dell’educazione affettiva e al rispetto delle donne fin dalla scuola materna, ha parlato di «porcheria» e «nefandezza». La discussione è arrivata dopo un giro di vite sulle norme che compongono il codice rosso, votato all’unanimità, ma che già viene tacciato dalle opposizioni di essere troppo lieve, soprattutto sul versante della prevenzione: ma la destra non ha interesse a cambiare l’impostazione dell’educazione tradizionale, come dimostra l’impostazione di Sasso.
Nel frattempo, un modello non esattamente avveniristico in termini di condizione femminile come quello di Miss Italia ha rischiato di tornare a essere trasmesso dal servizio pubblico. A più riprese voci – poi smentite dalla Rai – lo avevano dato prima su Raiplay e poi su Rainews (che comunque seguirà il concorso con una copertura giornalistica di cui forse non si sentiva il bisogno). A condurlo doveva essere prima Salvo Sottile e poi Manuela Moreno, due volti Rai: sembra che alla fine a moderare la serata non sarà nessuno dei due. «Magari è stato vero in qualche frangente, ma Moreno smentirà», dicono da viale Mazzini. Un altro salvataggio in extremis.
Sempre in televisione, anche se su un’altra rete, stavolta Mediaset – quindi comunque riconducibile all’universo culturale della destra – va in onda un’ulteriore prova di quel contesto patriarcale che la destra non ha intenzione di scardinare. Se n’è accorta anche l’Agcom, che ha deciso di richiamare formalmente l’azienda per una puntata di C’è posta per te in cui si raccontava una relazione tossica e di abuso fisico sulla donna senza che la conduttrice stigmatizzasse i comportamenti dell’uomo. Il richiamo riguarda anche Forum, che a febbraio di quest’anno raccontava una lite per l’affidamento dei figli: la giudice, secondo l’autorità, attraverso le sue parole aveva attribuito una responsabilità per il comportamento violento del marito alla protagonista femminile. Nessuno si era posto il problema che le storie potessero dare un’immagine distorta della donna, come rileva l’Agcom. Perché in fondo se sei brava ce la fai lo stesso. Possibilmente imparando a muoverti come un uomo.
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