La nuova bozza del disegno di legge sulle autonomie regionali arriverà domani al Consiglio dei ministri, dopo aver subito qualche «qualche ritocco» rispetto al testo circolato ieri mattina. Come sperato dalla Lega, il primo passo concreto di un iter legislativo che si annuncia tutt’altro che semplice arriverà giusto in tempo per le regionali in Lombardia del 12-13 settembre.

Modificata rispetto alla prima versione presentata dal ministro Roberto Calderoli lo scorso autunno, la nuova bozza rimane un documento controverso, accusata da esperti e opposizione di acuire le già profonde diseguaglianze nazionali nella sanità, nella scuola e negli altri servizi pubblici. Ma nel testo del documento sono già inclusi alcuni elementi che consentiranno al governo di fare “ammuina” a tempo indeterminato su questo provvedimento potenzialmente così divisivo anche per la stessa maggioranza.

I Lep

Una delle novità centrali della nuova bozza è infatti la decisione di legare la concessione di nuova autonomia alle regioni che ne faranno richiesta alla definizione dei “livelli essenziali delle prestazioni”: ossia quel minimo di prestazioni e servizi che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. In altre parole, prima si dovranno stabilire questi “Lep” e solo dopo sarà concessa l’autonomia.

I Lep sono previsti dalla Costituzione fin dal 2001, ma salvo che in modo implicito in alcuni provvedimenti, lo stato non ha mai provveduto a designarli in modo organico. Si tratta infatti di un lavoro immenso dal profondo impatto politico. Andrebbero decisi aspetti estremamente dettagliati ed eterogenei: dai servizi minimi che il trasporto pubblico deve assicurare in ogni angolo del paese, al numero di posti negli asilo nido.

Decisi i servizi da assicurare, compito già gigantesco, ne andrebbe poi stabilito il costo, ossia quanto lo stato deve spendere oppure quante risorse debbano essere trasferite agli enti che effettivamente erogheranno i servizi. Il metodo per calcolare questi costi, previsto sia dalla legge 2009 che dalla bozza Calderoli, prevede che la metodologia utilizzata sia quella dei “fabbisogni standard” ottenuti tramite calcoli complessi che partono dal costo di erogazione in condizioni di efficienza.

Per giudizio quasi unanime degli esperti, definire i Lep porterà ad un aumento generale della spesa. In particolare al Sud, infatti, sono molti i servizi per i quali non vengono erogati livelli minimi e che quindi andrebbero ulteriormente finanziati. Resta però una questione molto delicata decidere quali sono questi livelli e quali le risorse necessarie a finanziarle.

Scuola

La complessità e la pericolosità politica della questione è illustrata alla perfezione dall’esempio della scuola. Ipotizziamo, come hanno fatto molti nelle ultime settimane, che per quanto riguarda la spesa statale per studente venga stabilito che il “fabbisogno standard” è pari alla spesa media italiana: circa 4.300 euro l’anno per studente. Lombardia e Veneto, che per ogni studente spendono circa 3.800 euro l’anno, si troverebbero a ottenere un aumento di risorse a disposizione. Ma regioni come la Campania, costo medio per studente circa 4.500 euro, o la Basilicata, 5.600 euro, ci perderebbero. Secondo un semplice calcolo, con questo utilizzo dei costi standard il Sud potrebbe perdere fino a 1,4 miliardi di euro.

Ma questi tagli non inciderebbero sui leggendari “sprechi” del sud. La ragione per cui al Sud il costo per studente è più alto è infatti lo stipendio dei professori, una spesa che cresce con l’anzianità che è, in media, molto maggiore al sud (per il noto meccanismo in base al quale i giovani insegnanti iniziano al nord la carriere, dov’è maggiore la domanda, prima di trasferirsi successivamente al sud).

Sanità

Incertezze ancora maggiori sull’altro grande tema dell’autonomia: la sanità. Già oggi nella sanità vengono utilizzati i “livelli essenziali di assistenza”, i cosiddetti lea, precursori dei Lep. Secondo le griglie utilizzate per queste misurazioni, la qualità dell’assistenza sanitaria è costantemente migliorata negli ultimi anni e, nel 2019, soltanto Molise e Calabria risultavano inadempienti.

Un quadro apparentemente idilliaco smentito però dai fatti. Al sud l’aspettativa di vita è più bassa e l’emigrazione sanitaria è fortissima. Tutte le regioni del sud, Molise escluso, versano soldi al nord per ripagare le cure dei loro cittadini andati a curarsi. Mentre i lea raccontano una storia, innumerevoli rapporti indipendenti, come quelli di Cittadinanzattiva e Salutequità, parlano invece di un calo costante nella qualità dei servizi. La Corte dei conti nel suo ultimo rapporto pubblicato in autunno ricorda che i divari regionali restano ampi, mentre la Fondazione Gimbe ha criticato in modo dettagliato il sistema di misurazione delle performance, definendolo più un metodo per raggiungere «accordi politici» tra regioni e governo che un vero sistema di monitoraggio.

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