Il monologo del rapper sulla legge antiomofobia si trasforma in un caso politico. La Rai assicura di non aver tentato una censura preventiva, e fa uscire la sua versione della telefonata in cui la vicedirettrice stoppa un autore esterno che chiede di cambiare il testo. Salvini prima sbraita poi attenua: parliamone davanti a un caffé
- Il cantante posta in rete una versione tagliata dello scambio con un autore e con la giornalista Capitani. Il leader leghista contro le parole «de sinistra» ma dal palco arriva l’elenco delle affermazioni contro i gay da parte dei suoi.
- Il Pd contro l’azienda del servizio pubblico, i Cinque stelle contro Salvini, il relatore della legge ringrazia: «Il Senato abbia coraggio ad approvare subito una legge per cui l’Italia non può più attendere».
- Intanto in commissione il presidente-relatore Ostellari intanto va a caccia di espedienti per modificare il testo. Quindi rispedirlo alla camera, cioè metterlo su un binario morto. L’estensore: siamo maggioranza, un no alla sua proposta per lui vorrebbe dire dimettersi.
Il monologo del rapper Fedez contro le affermazioni pesantemente omofobe di alcuni leghisti, citati con nome e cognome dal palco, l’accusa di tentativo di censura preventiva della Rai, l’autodifesa dell’azienda, l’attacco di Matteo Salvini, e infine le parole del segretario Pd Enrico Letta che chiede a Viale Mazzini «parole di chiarimento e di scuse». Il tradizionale concertone del Primo maggio, organizzato dai sindacati e mandato in onda da Raitre, deflagra in un pasticcio politico e rimette in primo piano lo scontro sul ddl Zan, che nel frattempo rischia di impantanarsi al senato.
Nel pomeriggio di ieri si è consumato un botta e risposta fra il popolarissimo cantante e Matteo Salvini, che ancora prima di vedere l’esibizione dal palco aveva diffidato lui e la Rai dal mandare in onda un monologo contro le posizioni della Lega.
«Il concertone costa circa 500mila euro agli italiani, a tutti gli italiani, quindi i comizi “de sinistra” sarebbero fuori luogo», twitta Salvini. A stretto giro arriva la risposta di Fede«. «Io vado al concertone a gratis e pago i miei musicisti che non lavorano da un anno e sul palco vorrei esprimermi da uovo libero senza che gli artisti debbano inviare i loro discorsi per approvazione preventiva da voi politici. Il suo partito ci è costato 49 milioni di euro». A questo punto è la Rai inviare una nota, che viene condivisa dall’Ad Salini, in cui nega di aver tentato censure. Per tutta risposta Fedez posta la telefonata con la vicedirettrice di RaiTre Ilaria Capitani e con un suo collaboratore, in cui entrambi avanzano questioni di opportunità sul monologo.
Poi Fedez parla dal palco. Fa un appello a Mario Draghi a favore del mondo della musica e dello spettacolo, e pronuncia le parole incriminate: accusa il presidente della commissione giustiza Ostellari – leghista – di «bloccare» il ddl Zan per la sua «voglia di protagonismo», poi scandisce il catalogo degli orrori: «”Se avessi un figlio gay lo brucerei nel forni”, Giovanni De Paoli, consigliere regionale Lega Liguria; “I gay? che inizino a comportarsi come tutte le persone normali”, Alessandro Rinaldi, consigliere per la Lega Reggio Emilia; “I gay vittime di aberrazioni della natura”, Luca Lepore e Massimiliano Bastoni consiglieri regionali Lombardia; “I gay sono una sciagura per la riproduzione e la conservazione della specie”, Alberto Zelger, consigliere della Lega Nord a Verona; “Il matrimonio gay porta all’estinzione della razza”, Stella Khorosheva, candidata leghista; “Fanno le iniezioni ai bambini per farli diventare gay”, candidata della Lega Giuliana Li Vigni».
La Lega attacca alzo zero, anche segnalando che l’artista ha esibito un cappellino griffato Nike, ma è anche la Rai a reagire contro il video di Fedez in cui la telefonata viene rilanciata con alcuni tagli. «La direzione di Rai 3 conferma di non aver mai chiesto preventivamente i testi degli artisti intervenuti al concerto del primo maggio - richiesta invece avanzata dalla società che organizza il concerto - e di non aver mai operato forme di censura preventiva nei confronti di alcun artista». Viene riportato il discorso della vicedirettrice per intero (dunque anche la Rai ha registrato la telefonata): «Mi scusi Fedez, sono Ilaria Capitani, vicedirettrice di Rai 3, la Rai non ha proprio alcuna censura da fare. Nel senso che la Rai fa un acquisto di diritti e ripresa, quindi la Rai non è responsabile né della sua presenza, ci mancherebbe altro, né di quello che lei dirà», «Ci tengo a sottolinearle che la Rai non ha assolutamente una censura, ok? Non è questo […] Dopodiché io ritengo inopportuno il contesto, ma questa è una cosa sua». Capitani interviene a stoppare le parole di un autore, Massimo Cinque, capo progetto della società «Icompany», che è il primo interlocutore di Fedez e che sta chiedendo all’artista di «adeguarsi al sistema».
Il caso politico monta. Il deputato Zan ringrazia il rapper, la Lega si scatena, i Cinque stelle fanno un fuoco di fila contro il leader del Carroccio. In tarda mattinata da Radio24 il segretario del Pd Enrico Letta, grande sostenitore della legge Zan, prende la palla al balzo per prendersela con i dirigenti Rai, con cui da tempo il suo partito è in polemica: «Le parole di Fedez? Ci aspettiamo parole di chiarimento e di scuse dalla Rai. Voglio ringraziarlo, sinceramente. Il fatto che una persona come lui parli di questi tempi rende possibile rompere il tabù per il quale non si può parlare di diritti perché siamo in pandemia». Poi sull’iter del testo contro l’omofobia: «Sono disponibile a dibattere con la Lega nel merito, ciò che trovo sbagliato è l’atteggiamento di ostruzionismo. Abbiamo passato venti giorni sulla calendarizzazione del Ddl Zan, non sul merito».
La legge di «contrasto della discriminazione o violenza per sesso, genere o disabilità» è stata calendarizzata la scorsa settimana in commissione Giustizia del Senato dopo che il presidente leghista Ostellari le aveva tentate tutte per rimandarla. Il «passo in avanti» era stato salutato dai movimenti per i diritti come un avanzamento dell’iter del testo. Ma è così solo all’apparenza. Perché subito dopo Ostellari si è autoattribuito il ruolo di relatore del testo. Scelta prevista dai regolamenti, ma inconsueta e che tradisce, anzi esibisce, le sue intenzioni ostili. I sostenitori della riforma, cioè gli ex alleati della maggioranza giallorossa, lo sanno bene. Ostellari in un primo momento aveva tentato la strada della contestazione della legge in quanto «divisiva», come dicevano all’unisono Matteo Salvini e Giorgia Meloni.
Sconfitto una volta, ora tenta una strategia meno primitiva per accompagnarla su un binario morto: utilizzare l’alibi di qualche dissenso fra le associazioni, che saranno «audite» in gran quantità; enfatizzare la necessità del «dialogo», come chiede anche la Cei; preparare il terreno per far passare un qualche emendamento, in commissione e poi in aula. Il testo modificato dovrebbe tornare alla Camera per la terza lettura. Cioè per essere affossato: tra i provvedimenti del Piano di rilancio e quelli della pandemia, chissà quando potrà essere votato.
Sulla carta la mossa è impossibile. Gli ex giallorossi hanno la maggioranza in commissione e in aula. Ma a dargli manforte è arrivata una manina azzurra. Anzi una manata. Alla Camera Silvio Berlusconi ha concesso ai suoi libertà di voto. Invece venerdì scorso Antonio Tajani ha scoccato il contrordine: «Non c’è bisogno di una legge come questa, tutti i cittadini sono già garantiti».
I forzisti tendenza Orbán
E qui apriamo una parentesi. Il coordinatore di Forza Italia è il massimo esponente dell’ala filosalviniana. Insieme alla sua ispiratrice e sodale senatrice Licia Ronzulli. I due sono molto vicini a Berlusconi, a sua volta sempre più lontano dalle vicende del suo partito: interviene solo quando i suoi non sono in grado di togliersi dai guai. La settimana scorsa, per esempio, l’ex cavaliere ha fatto la telefonata decisiva a Matteo Salvini per garantire il sì forzista alla commissione di indagine sul Covid in cambio del no leghista alla sfiducia sul ministro Roberto Speranza. Chiusa parentesi.
Elio Vito, ex radicale oggi forzista dell’area liberal, a Tajani ha risposto a brutto muso: la decisione di votare no alla Zan «non mi risulta sia stata presa in nessuna sede di partito. Mi risulta invece che Forza Italia su questi temi abbia sempre assicurato ai propri parlamentari di esprimere liberamente le proprie opinioni e i propri voti». Vito si appella alla presidente dei senatori Anna Maria Bernini (tendenza sì alla legge) per difendere «le prerogative di autonomia e libertà dei senatori azzurri». E lancia un messaggio velenoso: «Sono altri i paesi, forse non a caso proprio quelli dove l’omosessualità è perseguitata, dove il “partito” coincide spesso con lo stato e con il parlamento». Il riferimento è a chi propende verso il modello Orbán contro i lealisti delle democrazie liberali. Cioè Tajani: che spinge perché FI non si scosti di una virgola dall’alleanza con Salvini. Che ha sempre più seguito. Con Berlusconi calante, fra i parlamentari l’incertezza del domani si fa sentire, e la voglia di attaccarsi al carro leghista aumenta. In realtà anche l’area liberal, vicina alla ministra Mara Carfagna (tendenza sì alla legge) è divisa. «Se non ci sono margini per emendarla, non voterò la legge così com’è», annuncia Andrea Cangini, «e non perché sono d’accordo con Salvini, ma perché è una legge che limita la libertà di espressione. E poi perché la logica di Salvini e quella di Letta è esattamente la stessa: quella delle bandierine».
D’altro canto anche Salvini ha un po’ aggiustato il tiro, come si è visto anche dopo il monologo di Fedez. Il tema raccoglie un gran consenso tra i giovani, sono molte le star che si sono fatte fotografare con il palmo aperto – il gesto simbolo della campagna del sì –, mettersi contro tutto questo movimento non è una gran mossa. Quindi ora prova a lanciare l’amo del dialogo. Sperando che qualcuno abbocchi. «Adoro la Libertà. Adoro la musica, l'’arte, il sorriso», scrive su facebook, «. Adoro e difendo la libertà di pensare, di scrivere, di parlare, di amare. Ognuno può amare chi vuole, come vuole, quanto vuole. E chi discrimina o aggredisce va punito, come previsto dalla legge. È già così, per fortuna. Chi aggredisce un omosessuale o un eterosessuale, un bianco o un nero, un cristiano o un buddhista, un giovane o un anziano, rischia fino a 16 anni di carcere. È già così. Reinvito Fedez a bere un caffè, tranquilli, per parlare di libertà e di diritti». Ma qualche giorno prima aveva affondato contro la Zan: «Ritengo di avere il diritto di pensare che l’utero in affitto sia una barbarie sul corpo di una donna. Ho perplessità sul fatto che nelle scuole con bimbi di sei anni si parli di identità di genere come se non ci fossero uomini e donne. E sono contrario alle adozioni gay». Fact-checking: la legge non punisce le opinioni, è un’estensione della legge Mancino contro l’antisemitismo e il razzismo. Il riferimento ai «bimbi di sei anni» che parlano di «identità di genere» è un’altra una bufala. La Zan istituisce una giornata nazionale contro l’omotransfobia e stabilisce che le scuole promuovano «la cultura del rispetto e dell’inclusione nonché di contrastare i pregiudizi, le discriminazioni e le violenze motivati dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere, in attuazione dei princìpi di eguaglianza e di pari dignità sociale sanciti dalla Costituzione». Iniziative di educazione civica dedicate alle discriminazioni, decise dalle scuole nella loro autonomia.
Ma la Zan è anche una legge-bandiera. Il segretario Pd Enrico Letta la spinge per ottenere una vittoria concreta ma anche simbolica. Salvini e Giorgia Meloni la respingono per ragioni uguali e contrarie. Ora la palla è in mano a Ostellari. Che si è autoincoronato relatore. Ma la mossa «può trasformarsi in autogol», secondo il deputato Alessandro Zan, estensore della legge che naturalmente ringrazia il rapper: «Il coraggio di Fedez al Concertone dà voce a tutte quelle persone che ancora subiscono violenze e discriminazioni per ciò che sono. Il Senato abbia lo stesso coraggio ad approvare subito una legge per cui l’Italia non può più attendere». Quanto a Ostellari: «Fin qui il presidente non è stato super partes, ha utilizzato tutte le sue prerogative per impedire il voto in commissione. Ora è anche relatore: una bocciatura di un eventuale nuovo testo emendato equivarrebbe a una sfiducia a lui». Dovrebbe dimettersi, insomma.
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