- Sabato 9 assemblea dell’Unione popolare che prova a fare in Italia quello che ha fatto Mélanchon in Francia. A guidare il nuovo movimento l’ex sindaco di Napoli.
- Fra i promotori un elenco di autorevoli signori e vecchie conoscenze della sinistra radicale e comunista: Moni Ovadia, Nicoletta Dosio, Paolo Maddalena, Heidi Giuliani. Poi ci sono le forze politiche: Prc, Potere al Popolo e Dema. Le prime due si sono candidate insieme nel 2018 e hanno preso l’1,3 per cento. Poi hanno già litigato.
- A benedire l’operazione arriva Manon Aubry, europarlamentare di France Insoumise. Che però lo stesso giorno è ospite d’onore dei compagni-coltelli di Sinistra italiana.
Già alla fine degli anni 90 la sinistra radicale italiana aveva provato a fare «come in Francia», dove all’epoca governava la gauche plurielle guidata da Lionel Jospin. C’erano socialisti, comunisti, radicali di sinistra, Movimento dei cittadini e verdi. In Italia si “sentiva” il «vento di Francia» – immaginifica espressione bertinottiana - così il premier Massimo D’Alema, chiamando Cesare Salvi al ministero del Lavoro, lo aveva sfotticchiato: «A’ Jospè, facce vede» (Salvi nega la battutaccia).
Poi le cose sono andate male, in Italia più che in Francia. Adesso la sinistra ritenta: fare come Jean-Luc Mélenchon, il leader di France Insoumise che alle scorse presidenziali ha sfiorato il 22 per cento, e alle legislative, con la coalizione Nupes, Nouvelle Union populaire écologique et social, è la seconda forza dell’Assemblea nazionale strappando 135 seggi.
La nuova formazione
E così arriva, e c’era da scommetterci, anche in Italia una nostrana Unione popolare. Solo che in traslation sembra la sigla di un’associazione di inquilini. Nella parte di Mélenchon c’è Luigi De Magistris, due volte sindaco di Napoli, candidato alla regione Calabria (ha preso il 17 per cento) ed ora aspirante leader nazionale, pronto a sfidare Enrico Letta per la guida della sinistra italiana.
Solo che se Mélenchon, ex socialista amico dei gilet gialli ma sgamatissimo politico di lungo corso, è riuscito a mettere insieme in Francia la sinistra radicalissima con i sopravvissuti di quella moderata, a De Magistris l’operazione non è riuscita. E così ha messo insieme quel che resta della supersinistra. Almeno per ora.
Tutta l’operazione sarà presentata domani mattina, sabato 9 luglio, all’Hotel The Hive a Roma, in un’assemblea nata da un cartello di personalità molto connotate a sinistra, non precisamente nuove conoscenze: da Paolo Maddalena, candidato al Quirinale M5s (36 voti), allo storico tacciato – ingiustamente per carità – di putinismo Angelo D’Orsi, all’inarrestabile Moni Ovadia, al vignettista Vauro, al candidato sindaco di Roma Paolo Berdini (0,4 per cento), all’ex europarlamentare Prc Eleonora Fiorenza, fino a dirigenti di movimento di altre ere politiche come Franco Russo e Guido Viale, all’autrice satirica Francesca Fornario, alla “madre” dei No Tav Nicoletta Dosio fino alle parlamentari del neonato gruppo Manifesta.
Ci sono anche grandi (più o meno) vecchi ma autorevoli signori del pacifismo e del radicalismo: da Raniero La Valle al regista Citto Maselli, dallo storico gramsciano Guido Liguori al vicesindaco di Reggio Calabria Piero Bevilacqua al mitico inviato del Tg3 di Sandro Curzi Lucio Manisco (indimenticabile corrispondente dagli Usa durante la prima Guerra del Golfo). E Heidi Giuliani, mamma di Carlo, ragazzo no global ucciso durante il G8 di Genova nel 2001 (un carabiniere fu indagato ma alla fine prosciolto dall’accusa di omicidio) e Mimmo Lucano, tre volte sindaco di Riace impegnato in una durissima battaglia giudiziaria che lo ha visto fin qui condannato per truffa, peculato e abuso d’ufficio (ma il processo è al primo grado). E ancora: Giovanni Impastato, fratello di Peppino, e Tiziana Pesce figlia del mitico comandante partigiano Giovanni.
Fin qui i padri e le madri nobili (non tutti per la verità). Dietro ci sono ovviamente le forze politiche. Anche qui vecchie conoscenze: la Rifondazione comunista di Maurizio Acerbo, e Potere al Popolo. Si sono già alleate e sfanculate alcune volte. Alle scorse politiche, insieme ma senza De Magistris, hanno preso un 1,13 per cento salutato davanti alle telecamere con cori e esultanza. Ma dopo pochi mesi l’alleanza si ruppe e Pap si tenne il nome. Stavolta ci riprovano includendo naturalmente Dema, l’associazione di De Magistris, che porta il segno del capo fin dalla sigla.
Gli occhi a Santoro
Sarà «un grande movimento popolare», promettono, promosso dalla «parte più degna del nostro Paese». Che schifa l’alleanza con il Pd, verso il quale i toni non sono carini. E spera nell’interesse di Michele Santoro: perché punta al copyright del «partito dei pacifisti» che anche il giornalista vuole fondare. Tutta salita. E poi comunque il movimento ha già il suo frontman indiscutibile ed è De Magistris.
Sarà lui a chiudere l’assemblea. In ogni caso in cima alle parole d’ordine c’è la la pace. Ma le altre sono sociali e di classe: l’appello ad unirsi alla compagnia è rivolto «a chi subisce gli effetti più duri della crisi, ma che allo stesso tempo si impegna ogni giorno per una giustizia sociale e ambientale, per un lavoro dignitoso e un salario minimo. Per i beni comuni, contro il razzismo, la violenza di genere, la mafia e la corruzione. Contro il monopolio della politica in mano alle forze del governo Draghi, che hanno tradito ogni volontà di giustizia, redistribuzione e di difesa dei nostri territori e dei nostri interessi».
Si fa come in Francia, dunque. E da lassù si aspetta la benedizione di Mélenchon. Per ora arriva quella di Manon Aubry, la giovane combattiva eurodeputata di France Insoumise, copresidente del gruppo The Left - La Sinistra che riunisce tutte le formazioni della sinistra radicale e rossoverde europea. Aubry interverrà.
Ma non è chiaro se la sua sarà una vera benedizione o un generico incoraggiamento: se la mattina parlerà a questa assemblea, la sera sarà ospite d’onore della festa di Sinistra italiana, la formazione di Nicola Fratoianni che con Europa Verde sarà alleata del Pd. E dunque avversarissima dell’Up. Sempreché, dati i precedenti, i Mélanchon d’Italie arrivino davvero al voto del 2023, e non litighino prima.
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