- Un decreto interministeriale, subito, per inviare nuovi equipaggiamenti militari all’Ucraina e un decreto legge, da convertire in parlamento, per rafforzare il mandato politico al governo sulla collocazione internazionale.
- Il governo non avrebbe bisogno di nuovi passaggi parlamentari. Ma la premier Meloni vuole inchiodare gli alleati alle proprie responsabilità, costringendoli su posizioni atlantiste.
- Tra Lega e Forza Italia ci sono deputati e senatori poco inclini a esprimersi di nuovo sugli equipaggiamenti militari da inviare a Kyiv. A cominciare dai leader Salvini e Berlusconi.
Un decreto interministeriale, subito, per inviare nuovi equipaggiamenti militari all’Ucraina e un decreto legge, da convertire in parlamento, per rafforzare il mandato politico al governo sulla collocazione internazionale. La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, sta mettendo a punto la strategia da seguire con il ministro della Difesa, Guido Crosetto, trasformando il sostegno all’esercito di Kiev nel nuovo terreno di scontro nella maggioranza. Un’operazione che si muove lungo l’asse nazionale, ma con una visione geopolitica globale, perché avalla le richieste degli alleati Nato. Un test sull’affidabilità a più livelli, insomma. Con una premessa: dal punto di vista pratico non c’è alcun bisogno di alcuna votazione, perché il decreto Ucraina della scorsa legislatura dà una copertura temporale fino alla fine dell’anno, grazie alle risoluzioni che hanno fornito il mandato sul supporto militare agli ucraini.
Scetticismo forzaleghista
Ma la questione diventa anche l’ennesimo tema su cui la leader di Fratelli d’Italia vuole dettare la linea agli alleati, inchiodandoli alle loro responsabilità. A cominciare dalla conferma sulle sanzioni al Cremlino.
Il ragionamento è poi legato a una questione di opportunità: il decreto è stato convertito nella scorsa legislatura, con un altro quadro politico, così come le successive risoluzioni. Lega e Forza Italia sono abbastanza riottose di fronte all’ipotesi di dover esplicitamente votare a favore dell’invio di nuove armi; per i partiti di Matteo Salvini e Silvio Berlusconi sarebbe sufficiente continuare a fari spenti per evitare contorsioni interne.
La soluzione preferita è infatti di relegare la discussione al Copasir, dopo la secretazione degli atti, o al massimo, se eventualmente saranno resi pubblici, limitando il dibattito alle commissioni Difesa di Camera e Senato. Una diversità di vedute con Meloni che scuote, ancora una volta, la maggioranza.
Le opinioni raccolte alla Camera sono un termometro: Forza Italia sostiene che un passaggio in parlamento sull’invio delle armi all’Ucraina sarebbe un problema per la Lega, mentre i leghisti sostengono che il voto rappresenterebbe un grattacapo per il partito di Silvio Berlusconi.
Allo stesso tempo, ora come ora, la mancanza di un passaggio parlamentare sarebbe letto come un atto di debolezza della premier, che proprio per questo motivo è intenzionata a tirare dritta.
Malpancisti in parlamento
Di sicuro a palazzo Madama più di qualcuno, al di là del mantra «abbiamo sempre votato a favore», avrebbe difficoltà a votare l’invio degli equipaggiamenti all’esercito di Kiev, a cominciare dallo stesso leader di Forza Italia, che avrebbe qualche giustificazione per non presentarsi nell’emiciclo nel giorno del voto
E non è da meno sarebbe Salvini, che ha spesso chiesto di fermare i rifornimenti di armi all’Ucraina, almeno durante il governo Draghi. Sempre nella Lega, al Senato, ci sono Paolo Tosato e Claudio Borghi, che prima dell’invasione russa non hanno mai negato la stima nei confronti del leader del Cremlino e la contrarietà alle sanzioni.
Alla Camera c’è Domenico Furgiuele, che durante la pandemia aveva postato una card con tanto di scritta “grazie Putin”, insieme ad Alberto Bagnai, che non è stato mai tenero nei confronti dell’Unione europea, in merito ai rapporti con il Cremlino.
Un’altra compagna di banco è Marta Fascina, legata sentimentalmente a Berlusconi, che sarebbe nella scivolosa posizione di dover approvare le misure contro Mosca. Certo, tutti hanno condannato l’azione di Putin. Ma da qui alla prova del voto pro-Ucraina, ce ne passa. Per questo non sarebbero previste defezioni pubbliche di massa, ma sono date per scontati distinguo e assenze strategiche.
Gli effetti, comunque, sono attesi pure sull’opposizione, con Pd e Movimento 5 stelle divisi sulla linea da assumere. Anche per questo Pd nessuno vuole chiedere ad alta voce il passaggio parlamentare sugli aiuti all’Ucraina, preferendo il metodo seguito dall’ex ministro Lorenzo Guerini.
Il punto è che i Cinque selle, con Giuseppe Conte in testa, vogliono dare battaglia sul tema, soprattutto dopo la manifestazione di sabato scorso. Per questo chiederanno la votazione in aula, facendo le barricate.
L’attesa per il decreto
I passaggi tecnici, tuttavia, richiedono un’attenta valutazione: il sesto decreto interministeriale per gli aiuti militari all’Ucraina è in fase di studio, anche sulla base delle richieste avanzate da Volodymyr Zelensky. Il contenuto non è pubblico, ma rispetto al passato servono strumenti di difesa dagli attacchi missilistici del Cremlino.
La previsione, dunque, è che entro la prossima settimana il testo possa essere limato e presentato al Copasir, in caso di conferma della secretazione degli atti. La tentazione di Crosetto è quella di renderli pubblici, portando direttamente il confronto in commissione.
Ma almeno per il prossimo passaggio è plausibile che operi in continuità con il predecessore Guerini. La tempistica dell’emanazione del decreto è infine legata alla costituzione del nuovo Copasir, atteso per l’inizio della prossima settimana.
Dietro all’interesse politico dell’orticello italiano, c’è poi un respiro internazionale all’operazione al vaglio dell’asse Meloni-Crosetto: lanciare un chiaro messaggio agli alleati sulla continuità delle politiche in questa direzione: i fatti dopo le promesse. Per ancorare il governo alle posizioni atlantiste.
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